Vacances de l'esprit

In vacanza con Franca D'Agostini - programma delle lezioni

dal 10 al 13 luglio 2010

Il concetto di verità è stato di recente al centro del dibattito filosofico. Negli ultimi decenni del secolo scorso sono state elaborate almeno due nuove teorie (o famiglie di teorie) della verità: il deflazionismo e la teoria dei truthmakers, mentre le prospettive tradizionali: il corrispondentismo, il coerentismo, il pragmatismo, hanno ricevuto nuovi sviluppi. D'altra parte, la tesi di Nietzsche: «ciò che vi è di nuovo nella nostra odierna posizione è una convinzione che finora nessuna epoca ha avuto: Noi non possediamo la verità» ha esercitato un'influenza decisiva sulla filosofia e sulla cultura del Novecento, e molti ancora oggi non esitano a ritenerla in qualche misura vera.

Lo scopo di queste lezioni è anzitutto riconsiderare le teorie contemporanee della verità, mettendoci in grado di verificare se e in quale misura, alla luce di una nuova analisi del concetto di verità, la persuasione di Nietzsche circa la «nostra» epoca sia rivedibile.

In secondo luogo esaminerò quanto e se conti davvero, nella vita pubblica e quotidiana, il concetto di verità, discutendo le tesi di chi lo considera inutile o anzi dannoso. 

Ha dichiarato Roberto Saviano: «mantenersi alla verità è il metodo migliore, l'unico, per resistere all'inglobamento in un potere  criminale». In Addio alla verità (2009) Gianni Vattimo scrive: «l'addio alla verità è l'inizio, e la base stessa, della democrazia». Che cosa intendono dire? Chi ha ragione e chi torto? Ma soprattutto: hanno davvero idee così diverse, come le loro parole fanno supporre? Lo scopo delle lezioni è cercare di rispondere, dando ragione a Saviano, e specificando quel che (ad avviso di chi scrive) intende dire Vattimo.

La necessità di questo chiarimento è a mio parere primaria, perché è probabile che nelle difficoltà che incontriamo oggi nella sfera pubblica sia operante in modo decisivo una profonda confusione riguardante l'uso di certe parole, specie parole filosofiche, come appunto ‘verità'. Questa confusione non è solo una disavventura lessicale, e la radice di un buon numero di incomprensioni e discussioni: è anche, esattamente come succedeva all'epoca di Socrate, la fonte di una serie di difficoltà etico-pratiche. Si parla molto di incertezza e declino dei valori, ma mi sembrano invece primari, e dunque più interessanti, l'incertezza e il declino a cui vanno incontro le parole-cardine della vita associata, di cui da sempre è stata depositaria la filosofia (e ‘verità' è appunto una di queste parole). Se non c'è accordo sul significato e l'uso di parole di questo tipo, se qualcuno pensa che cercare la verità sia eticamente sbagliato, e qualcun altro che sia necessario ed eticamente imprescindibile, se qualcuno pensa che non ci siano fatti, e qualcun altro esige di mantenersi ai fatti, se l'esistenza umana è per qualcuno indefinibile, e per qualcun altro ha un senso e una natura ben determinata, è ovvio che è difficile orientarsi, e non ci si deve sorprendere se quel ripensamento generale della politica, dell'etica, delle linee direttive della vita sociale, di cui tutti oggi avvertono la necessità, tarda a prodursi e manifestarsi. 

1. La verità è un'arma scettica 

In questa prima lezione presento le linee generali del discorso e introduco la mia posizione. Se consideriamo le circostanze normali in cui usiamo i termini ‘vero' e ‘falso' ci accorgiamo che la nozione di verità è una struttura concettuale che ci serve soprattutto in funzione scettica e critica, per mettere in dubbio e discutere quel che qualcuno sta dicendo. Questo è confermato dalle circostanze stesse della nascita del termine ‘aletheia' in Grecia.

Una prospettiva di questo tipo toglie il concetto di verità ai dogmatici e lo restituisce agli scettici, la toglie ai regimi teocratici e tecnocratici, e la riporta nel contesto del dibattito democratico. La teoria si manifesta perciò in aperto contrasto con ciò che dicono Richard Rorty e Gianni Vattimo, che hanno insistito molto (per ragioni diverse) sulla incompatibilità di verità e democrazia.

La mia opinione è che tanto Vattimo quanto Rorty (quanto molti altri autori, in particolare i teorici della democrazia) intendono per ‘verità' qualcosa di diverso da quel che si può ragionevolmente intendere. Ma naturalmente si tratta di capire che cosa esattamente noi tutti intendiamo per ‘verità', e in che cosa consista l'analisi filosofica del concetto di verità. 

2. Che cosa significa ‘vero'? 

In questa seconda lezione presento nei tratti generali le principali teorie della verità, che si sono sviluppate nel corso del Novecento (in precedenza non esistevano propriamente ‘teorie della verità'): il corrispondentismo, il coerentismo, il pragmatismo, la teoria semantica, il deflazionismo, la teoria dei truthmakers (fattori di verità). Accennerò anche - perché utile per l'analisi successiva di Vattimo - ad alcune teorie della verità elaborate in ambito continentale (in particolare quella di Heidegger, e quella di Gadamer).

In conclusione, farò vedere che tutte le teorie di cui sopra sono accomunate da un territorio problematico comune, e offrono singolarmente specifici contributi per trattare e in qualche caso risolvere i diversi problemi che il concetto di verità suscita per noi. Per esempio: abbiamo davvero accesso alla realtà, come la nozione di verità sembra presupporre? Oppure: posto che la realtà ‘in sé' sia inattingibile alla conoscenza, l'appello alla ‘realtà' contenuto nella richiesta di verità non è forse un appello all'autorità? 

3. La realtà dei fatti 

In questa lezione fisso un concetto basilare (e ampiamente condiviso) di verità come verità realistica, ossia, semplicemente: vero è il discorso che ci dice come stanno le cose. Questa nozione di verità ha alcune caratteristiche tipiche, nel nostro linguaggio e nel nostro pensiero. In particolare: è dispensabile (ossia possiamo farne a meno: dico ‘è vero che Dio esiste', e potrei più brevemente dire ‘Dio esiste'); ma è anche inaggirabile (ossia è presente in qualunque cosa io dica; per esempio dico ‘Dio esiste' e naturalmente intendo che è vero che Dio esiste).

Posto che la verità intesa in senso realistico sia inaggirabile, ci chiediamo: per cercare la verità, esigere il vero, presupporre che vi debba essere, dobbiamo essere dei metafisici, ossia avere una certa visione della realtà? Chi ammette una realtà ‘là fuori', ci dice Rorty, è come qualcuno che ammette un Dio ‘là fuori'. In un certo senso è così, ma si tratta di far vedere che il senso per cui è così è irrilevante, e quello per cui non è così è quello che realmente importa. 

4. Nichilismo, scetticismo, relativismo 

Se le lezioni 1-3 riguardano principalmente la natura della verità (che cosa significa la parola e che cosa comporta sul piano filosofico). Le lezioni dalla 4 alla 7 riguardano piuttosto le condizioni della verità, ossia: la nostra capacità effettiva di distinguere il vero dal falso (o fornire un criterio per distinguere l'uno e l'altro).

In questa lezione esamino in breve e discuto la questione del nichilismo, e le altre più o meno radicali teorie che esibiscono ragioni contro la verità. Che cosa è ed è stato il nichilismo? Siamo ancora oggi nichilisti? Quali sono le ragioni fondamentali degli scettici e dei relativisti riguardo alla verità?

La conclusione che miro a suggerire è che il vero problema della verità è il problema della contraddizione, ossia il fatto che per le tesi più controverse (su cui appunto più di frequente si pone la questione della verità) ci troviamo di fronte a situazioni in cui una certa proposizione p sembra vera, ma sembra vera anche la proposizione non-p. 

5. Le leggi classiche della verità 

È possibile accettare vere contraddizioni? Per esempio: si può ammettere che abbia ragione chi sostiene che lo sviluppo economico di un paese è più importante della solidarietà sociale, ma abbia anche ragione chi sostiene il contrario, e dunque che entrambi dicono il vero? La questione è da sempre controversa, e richiede che si rifletta sulla logica che sta alla base del nostro comune e tradizionale uso della parola verità.

Normalmente ciò che è vero non può essere falso, e viceversa. Dunque vero e falso sono mutuamente esclusivi, si escludono a vicenda. D'altra parte ciò che non è vero è falso, e ciò che non è falso è vero. Dunque vero e falso sono congiuntamente esaustivi, cioè insieme esauriscono le possibilità: non c'è un terzo. Queste evidenze sono alla base delle leggi classiche della verità: la legge di non contraddizione (vero esclude falso e viceversa: dunque una proposizione non può essere vera-e-falsa nello stesso tempo), e la legge del terzo escluso (non c'è terzo tra vero e falso, dunque una proposizione non può essere né vera né falsa).

Eppure spesso ci troviamo di fronte a casi di proposizioni che sono (o sembrano essere) né vere né false, oppure vere e false nello stesso tempo. Inoltre molto spesso ci sono proposizioni quasi-vere, o vere per alcuni e non per altri, o solo molto probabilmente vere... Tutte queste circostanze sono previste dalla logica, e in particolare: dalle logiche non classiche, e dalla logica probabilistica.

È utile avere un'idea generale e preliminare di questi modi più sfumati e pluralistici di intendere le "leggi della verità" perché ci si rende conto in questo modo che non è necessario sbarazzarsi della nozione realistica verità, per fare sì che i nostri discorsi e i nostri ragionamenti siano adeguati alla complessità e alle sfumature del reale, e del nostro pensiero. 

6. Internet e l'alleggerimento dei trascendentali 

In questa lezione rifletto su che cosa comporti tutto questo oggi, nell'era dei mass media, e di internet, ed esamino in breve la differenza tra la nostra posizione riguardo alla verità e quella che potevano avere Nietzsche e Dilthey, alla fine dell'Ottocento.

In particolare con l'esplosione del mondo dell'informazione si è determinato un nuovo rapporto con la nozione di verità. Siamo consapevoli che tutto ci arriva come identicamente ‘vero', anche il falso. Questo determina circostanze peculiari che rendono più ‘leggero', meno pesante sul piano pratico e politico, il ricorso a parole come ‘verità' e ‘realtà'. Vattimo interpreta queste circostanze in particolare con riferimento alla nozione di ‘essere', parlando di indebolimento-svuotamento del concetto di essere. Io ritengo che ciò riguardi tutte le «parole straordinarie» della tradizione filosofica, come ‘vero', ‘esistente',  ‘giusto', ‘bello', che la tradizione a un certo punto chiamò «trascendentali».

Come Vattimo, ritengo che questo processo non costituisca un vero problema, se si ricorda che le parole filosofiche, proprio perché sorte da un impulso scettico-critico, sono di fatto e devono mantenersi mobili e leggere. Io collego l'alleggerimento alla democratizzazione delle conoscenze. 

7. Verità e politica 

In questa lezione esamino il ruolo del concetto di verità nel confronto pubblico, e in politica. Come ho asserito in apertura la nozione di verità è un elemento strutturale della pratica democratica. La verità non è essenziale per una politica monocratica o teocratica, ma lo è per una politica democratica. Lo è non per ragioni etiche, ma per ragioni pratiche: non ha senso l'intero procedimento democratico se non si postula che si possa dire la verità, comprenderla, valutarla, smascherarla.

Ma esiste, è pensabile, la verità nella pratica politica? Esamino le due principali difficoltà dell'uso del concetto di verità in ambito pubblico, e faccio vedere che - come riteneva Simone Weil - il più accanito e pericoloso nemico della verità è il potere istituito, ossia il potere strutturato delle Chiese, dei Partiti, della Scienza, della Religione (non della scienza e della religione). Rispetto a questi nemici della verità che se ne appropriano nominalmente, il compito della filosofia (con la ‘f' minuscola) consiste nel «rendere di nuovo fluido ciò che si è irrigidito», come dicevano, in vario modo, Heidegger, Hegel, Wittgenstein. Ritornato alla filosofia e tolto al potere istituito, il concetto di verità può allora svolgere il suo originario e specifico compito scettico e critico.

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