Breve saggio sulla filosofia di Martin Heidegger di Manuela Ritte  – Seconda parte

Heidegger lascia l’ambito della metafisica e si colloca invece in quello dell’ontologia, contrassegnando la differenza tra essere ed ente con l’espressione Differenza Ontologica. Questo significa che l’essere non si esaurisce in un ente specifico, né si identifica con la totalità delle cose.

Quando si dice ‘differenza ontologica’ si pensa ad un oggetto e ad un concetto sull’oggetto.
L’ente decade ad oggetto ed essere a concetto sull’oggetto, ‘essere’ una proprietà ed ‘ente’ un oggetto. Ma “essere” non è un concetto, e neanche “niente” è un concetto perché qualunque parola o concetto ‘c’è invece che niente’. Questa è la vera differenza ontologica.
Non è descrivibile[1] in quanto anche la descrizione stessa è: essere è “a monte” di tutti gli essenti, è il significato ultimo[2], è il singolare, è il di più.

Nel secondo volume dell’opera “Nietzsche” Heidegger fa una ricostruzione della storia della metafisica, per mostrare precisamente a quale punto della nostra storia un intendimento più originario dell’essere viene distorto. Egli individua l’inizio del pensiero metafisico, “il processo in cui (…) il pensare l’essere è totalmente smentito a favore di una conoscenza rappresentativa dell’essente a partire dall’essente in quanto tale” [3], nel pensiero di Platone.

È con questo pensiero iniziale “che il mondo deve diventare immagine. (…) In lui si lega lo sforzo filosofico alla giustificazione del cosale “che cos’è”, mentre l’essere “stesso” (…) rimane fuori dallo sguardo.” [4]

La parola fondamentale della filosofia platonica è “idea”. In Platone la verità dell’essere è diventata correttezza dello sguardo rivolto all’idea, che consiste nella corrispondenza tra l’idea e la cosa.
In una conferenza tenuta a Roma nel 1936 Heidegger dice che “quando idea-eidos sono posti in relazione alla vista e al vedere come ciò-che-è-visto, l’essere non è più concepito nel suo stare per sé, ma solo nell’ottica in cui sta di contro, come oggetto, all’uomo. Questa deviazione dall’essenza in sé riposante dell’essere ha però per conseguenza che ora l’idea, la quale dovrebbe mostrare l’ente in quello che è, è essa stessa innalzata e reinterpretata come l’autentico essente. (…) Ma lo stesso ente, ciò che chiamiamo cose, si è ritratto nell’apparire.”[5]

Nell’opera “Nietzsche” Heidegger sottolinea che “l’Essere (idea) diventa la condizione della quale colui che rap-presenta (il soggetto), dispone e deve disporre se devono potergli stare di fronte oggetti”. [6]

La comprensione dell’essere è in questo modo possibile solo se gli è attribuita l’idea, quando c’è un adeguamento della cosa al suo enunciato, l’adequatio intellectus rei. L’enunciato si chiama logos. In questo modo il logos è diventato “il tribunale dell’essere. La dottrina del logos, la logica, diventa il fondamento visibile o nascosto della metafisica.”[7]

L’attenzione da Platone si sposta poi al pensiero dell’età moderna e di Cartesio, perché qui si delinea un ulteriore radicamento dell’oblio dell’essere. Nell’età moderna l’uomo si è stabilito come soggetto ed è diventato lui stesso la misura per la decisione su che cosa far valere come essente. Per Heidegger però a questo punto è importante non scambiare il soggettivismo con un “un mero soggettivo, egoistico e solipsistico pensare e atteggiamento.”[8] Per lui “ogni oggettività è soggettiva [non significa che] l’ente venga ridotto a una mera veduta e una mera opinione di un “io” accidentale qualsiasi.”[9] Significa invece che “ciò che viene incontro viene installato e fatto diventare oggetto che sta in se stesso. (…) “L’enticità è soggettività” e “l’enticità è oggettività” dicono lo stesso! : (…) a che tutto ciò che viene incontro e si muove determini la sua enticità in base al rappresentare in quanto rappresentare.”

Per Heidegger Cartesio rappresenta l’inizio decisivo per la nuova base della metafisica dell’età moderna. Cartesio si è posto come prima domanda: “Per quale via l’uomo giunge da sé e per sé a una prima verità incrollabile, e qual è questa verità prima? (…) La sua risposta suona: ego cogito, ergo sum. ll suo compito divenne “di fondare il fondamento metafisico per la liberazione dell’uomo nella nuova libertà in quanto autolegislazione sicura di se stessa”

Nella sua analisi, da Cartesio Heidegger passa all’ultimo rappresentante della metafisica, che individua in Nietzsche. I corsi heideggeriani dedicati a Nietzsche tenuti a Friburgo tra il ’36 e il ’46 riflettono una delle punte più alte della tematizzazione nel nostro secolo del problema del nichilismo. Heidegger guarda a Nietzsche essenzialmente attraverso l’ottica della volontà di potenza. Essa perde in Heidegger ogni rilievo antropologico per delinearsi come il luogo in cui si disegna il compimento della metafisica.
Nell’opera “Nietzsche” Heidegger introduce il lettore alla filosofia di Nietzsche, che con la sua trasvalutazione dei valori ha fatto vedere l’illusorietà dei valori tradizionali e ha posto come unico valore reale la volontà di potenza. Heidegger però sostiene che anche Nietzsche è rimasto intrappolato in un pensiero oggettivante. Nietzsche è per Heidegger, come sottolinea Müller-Lauter, “il filosofo tramite il quale il reale si è svelato come volontà di potenza; per la tarda fase della modernità ciò significa che il reale si mostra nelle modalità della oggettivazione determinata dalla tecnica.”[10] 

Nietzsche per Heidegger non è solo rimasto nelle scia della metafisica, ma ha portato anzi con il suo pensiero dei valori la metafisica al compimento. Heidegger dice a proposito nella Lettera sull’Umanismo: “Si tratta piuttosto di capire che proprio quando si caratterizza qualcosa come “valore”, ciò che così è valutato viene ammesso solo come oggetto della stima umana. Ma ciò che qualcosa è nel suo essere non si esaurisce nella sua oggettività e ciò tanto meno se l’oggettualità considerata ha il carattere del valore.”[11]

Con la caratterizzazione di Nietzsche dell’ente come volontà di potenza, l’esistenza viene spogliata di tutto: alla fine rimane la pura volontà che vuole solo se stessa. Però sulla volontà stessa Nietzsche non osa farsi un’ulteriore domanda. Convinto di occuparsi dell’essere, rimane sul piano dell’ente e della positività dell’essere. Il compimento della metafisica attraverso Nietzsche si identifica, in ultima analisi, con una visione del mondo. Heidegger dice in La storia dell’Essere: “La visione del mondo è la malaessenza della metafisica, è la metafisica nella sua solidificazione senza fondamenta e senza meditazione. Pensa in “idee” e “valori” e con “finalità”. Tutto questo però solo come mezzo al servizio delle macchinazioni, la cui essenza non potrà mai afferrare. Col compimento della metafisica ha inizio il dominio della sua malaessenza. (…) Il compimento della metafisica è la fine della filo-sofia.[12]

Note:

[1] La Differenza Ontologica non è descrivibile in quanto afferrabile, ma parlarne senza afferrarla è la differenza ontologica in atto.
[2] senza dimenticare che anche il significato è.
[3] Che cos’è metafisica?, p. 18.
[4] R. Marten, Heidegger lesen, Fink, München 1991, p. 119.
[5] M. Heidegger, L’Europa e la filosofia, Marsilio, Venezia 1999, p. 31.
[6] M. Heidegger, Nietzsche, p. 230.
[7] M. Heidegger, L’Europa e la filosofia, p. 31.
[8] Nietzsche, p. 778.
[9] Ibid.
[10] W. Müller-Lauter, Volontà di potenza e nichilismo, Nietzsche e Heidegger, Parnaso, Trieste 1998, p. 153.
[11] M. Heidegger, Lettera sull’Umanismo, Adelphi, Milano 1995, p. 82.
[12] M. Heidegger, Die Geschichte des Seyns