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06 Dicembre 2011

Prepararsi alla morte?

Mentre in Italia si fatica a legiferare in modo chiaro anche sulla "dichiarazione anticipata di trattamento" (proprio da oggi operativo a Bologna), in Canada un rapporto di ricerca sostiene il suicidio assistito.

Argomento: Attualitą, Societą

Un rapporto di ricerca commissionato dalla Royal Society of Canada e pubblicato oggi [15 novembre 2011, n.d.r.] nella rivista «Bioethics» sostiene che il suicidio assistito dovrebbe essere legalmente permesso agli individui competenti e in grado di prendere una decisione libera e consapevole, e riscontra che, invece, i piani e le politiche per la fine della vita risultano gravemente insufficienti sia a livello personale sia a livello nazionale.

La presa di decisioni sulla fine della vita è, per i Canadesi, un problema avvolto da polemiche e contraddizioni. Il rapporto ha rivelato che molte persone desiderano morire a casa, ma pochi lo fanno, e che molti credono che la pianificazione della morte sia un atto importante da intraprendere fin da quando le persone sono in salute, ma quasi nessuno la mette in pratica. Così, mentre la maggior parte dei Canadesi sostiene, di fatto, la depenalizzazione dell'eutanasia volontaria e del suicidio assistito, ai sensi del Codice Penale canadese questi continuano a restare illegali.

La Royal Society of Canada (RSC), un'organizzazione nazionale che riunisce studiosi, artisti e scienziati illustri, crede che sia giunto il momento di mobilitare un dibattito nazionale sulle decisioni della fine della vita, dal momento che la morte assistita costituisce una questione essenziale delle politiche pubbliche sulla quale l'opinione, la pratica e la legge non riescono a porsi sulla stessa linea.

"La società ha scelto di commissionare a noi - un team di sei canadesi esperti, a livello internazionale, di bioetica, di medicina clinica, di diritto sanitario e politica, di filosofia -, il compito di preparare il rapporto per innescare un dibattito nazionale sulle questioni della fine della vita e per fornire materiale a tale dibattito" - ha spiegato il professor Udo Schuklenk, co-direttore di «Bioetica», Professore di Filosofia impegnato nella ricerca in Bioetica presso la Queen University, nell'Ontario.

"È chiaro che i Canadesi non si stanno adeguatamente preparando alla morte che noi stessi e tutti coloro che amiamo dovremo inevitabilmente affrontare", ha commentato Schuklenk. "Anche se la maggior parte della gente crede che sia opportuno esprimere i propri desideri riguardo alla cura della fine della vita (nel caso in cui non sarà più competente quando arriverà il momento), meno di un terzo ha un qualche tipo di direttiva formale anticipata, meno della metà ha designato un decisore sostituto o ha anche solo parlato dei propri desideri con la famiglia, e meno di un decimo ha trattato della fine della vita con i propri medici".

Il rapporto rivela, inoltre, che le cure palliative di qualità risultano inaccessibili a molti canadesi e mostra la necessità che lo spazio dedicato a tali cure continui ad espandersi oltre i limiti dell'ambito oncologico. Al di là del tema dell'eutanasia e del suicidio assistito, poi, molti sono gli aspetti essenziali della cura dei morenti in cui regnano confusione e incoerenza. Richiedono una seria attenzione, ad esempio, la somministrazione palliativa di sedativi e la decisione di rifiutare o di sospendere cure di sostegno vitale da parte dei pazienti contro il volere delle loro famiglie. Le incertezze giuridiche e cliniche intorno a queste pratiche causano, da un lato, sofferenze inutili per i pazienti e, dall'altro, stress per le famiglie e per gli operatori sanitari.

"Le problematiche diventano ancora più complesse e controverse quando eutanasia e suicidio assistito vengono messi a confronto", ha detto Schuklenk. "Abbiamo considerato con grande attenzione una serie di fattori: i valori canadesi, l'esperienza internazionale del regime permissivo, gli aspetti giuridici ed etici delle pratiche, e siamo giunti alla conclusione unanime che, riguardo alla morte assistita, il Canada dovrebbe avere un sistema permissivo, attentamente regolamentato e monitorato".

Nel rapporto dell'RCS, l'autonomia - o la capacità di autodeterminazione - è stata riconosciuta come un valore fondamentale per la sensibilità canadese, e il rispetto dell'autonomia richiede il rispetto delle decisioni libere e consapevoli, da parte di individui competenti, rispetto a come e quando morire. Il team dell'RSC sostiene che il solo concetto di dignità non può fornire una solida base né per sostenere né per rifiutare un regime permissivo rispetto all'eutanasia volontaria o al suicidio assistito.

"Abbiamo analizzato in modo molto dettagliato gli argomenti contro il suicidio assistito, e nessuno di essi permette di sostenere che la depenalizzazione dell'eutanasia volontaria e del suicidio assistito rappresenta una minaccia per le persone vulnerabili", ha concluso Schuklenk. "Nessun argomento dimostra che la depenalizzazione ci condurrà lungo un pendio scivoloso che dal suicidio assistito e dall'eutanasia volontaria arriverà fino all'eutanasia non volontaria o involontaria. Nessun argomento dimostra che la depenalizzazione avrà un effetto corrosivo sull'accesso o sullo sviluppo delle cure palliative".

"I Canadesi devono affrontare le difficili questioni che concernono la cura della fine della vita. Come società, anche noi dobbiamo farlo, riconoscendo la necessità di formulare e di mettere in atto un approccio nazionale alla presa di decisioni intorno alla fine della vita che porterà chiarezza compassionevole a una tematica di importanza cruciale del nostro tempo".

Traduzione dall'Inglese:  Marina Bernardini


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