Negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare della vicenda, invero piuttosto imbarazzante, della cittadinanza onoraria inizialmente offerta al Dalai Lama dalla giunta Pisapia e poi frettolosamente ritirata, sembra, in seguito a una telefonata direttamente dalla Cina; al momento pare che a Milano ci si orienti a "concedere a Tenzin Gyatso l'onore di partecipare a una seduta di Consiglio in cui potrà parlare alla città". Il diretto interessato, da parte sua, ha minimizzato la vicenda, affermando di non voler creare problemi a nessuno; domenica Sua Santità ha invece incontrato, a Mirandola, il cuore ferito dell'Emilia terremotata, concretizzando la propria solidarietà in una donazione di cinquantamila dollari devoluti alla Croce Rossa dell'Emilia Romagna in favore delle popolazioni colpite delle province di Modena, Mantova e Ferrara – donazione che, ha promesso a Mirandola, raddoppierà. "Non è possibile visitare persone così provate dal sisma arrivando a mani vuote", ha affermato.
Il Dalai Lama sarà comunque nella città meneghina il 27 e il 28 giugno, si legge sul sito dell'evento, per dare un insegnamento su I tre aspetti principali del sentiero, testo fondamentale di Lama Tzong Khapa, conferire l'iniziazione di Avalokiteshvara, il Buddha della compassione, e tenere una conferenza pubblica. Intanto, sul carosello delle polemiche sono saliti tutti, dalla cosiddetta politica alla cosiddetta antipolitica, con interventi spesso dimentichi di un passato molto prossimo, in cui il mondo istituzionale ha spesso preferito far passare Sua Santità dalla porta di servizio, limitandosi ad accettare incontri non ufficiali, o addirittura non incontrarlo affatto.
Mentre molte (perlopiù piccole, e non troppo ricattabili) città italiane, da Brescia a Verbania, si affrettano a proporre la cittadinanza a Tenzin Gyatso (con relativa, puntuale bagarre in giunta), restano le domande: se Milano, causa la spada di Damocle dell'EXPO (che però era presente anche prima della proposta…), non ha o non vuole assumere la posizione netta che nel 2009 fu di Parigi (che invece conferì l'onoreficenza, con buona pace di un'irritatissima Pechino), perché mai infilarsi in un simile cul-de-sac? Ma soprattutto: in che modo, a parte il riverbero mediatico della vicenda, la cittadinanza a Sua Santità può davvero venire in aiuto alla complessa situazione del popolo tibetano, al quale tutto il mondo occidentale sembra esprimere solidarietà, ma che continua a subire il sanguinoso giogo cinese? E' lecito sperare che, prima o poi, si faccia spazio a provvedimenti più concreti, anche solo per testimoniare una sincera, pure se impotente, vicinanza ad una cultura e a esseri umani che il colosso cinese sta annientando col massacro? Al cospetto delle atrocità subite da uomini e donne del Tibet e del loro disperato tentativo di ribellione suicida (il 15 giugno scorso un altro Tibetano si è immolato, il più anziano della lunga serie di suicidi da marzo dell'anno scorso), onoreficenze, polemiche, strumentalizzazioni ci sembrano scampoli striminziti di una coperta sempre troppo corta, stesa a coprire malamente il silenzio assordante della rassegnazione.