I libri aprono la mente, conducono verso nuovi orizzonti, liberano la fantasia, aumentano la conoscenza. Talvolta diminuiscono i giorni di reclusione. È questa l’idea innovativa del governo brasiliano, che ha istituito il progetto “Redemption through Reading” (“Redenzione attraverso la lettura”) con cui i carcerati di quattro prigioni federali potranno vedersi scontare quattro giorni di carcere per ogni libro letto.
I detenuti potranno leggere fino a dodici libri all’anno, ottenendo una riduzione massima di quarantotto giorni. Potranno avere quattro settimane per leggere ogni libro, alla fine del quale dovranno scrivere un saggio che dimostri il loro impegno nella lettura. Una commissione valuterà l’idoneità dei singoli aspiranti partecipanti.
I penitenziari, così, disporranno di libri di letteratura, filosofia, scienza, e tutto quello che potrà stimolare i detenuti a partecipare a questo singolare progetto.
Questa lodevole iniziativa appare come una modalità alternativa di riabilitazione della popolazione carceraria, volta ad aiutare queste persone ad allargare la loro visione del mondo, tramite un percorso formativo di accrescimento personale, che al contempo può migliorare la qualità del tempo trascorso dietro le sbarre. Progetti come questo dimostrano quindi il tentativo di far spazio ad una cultura rieducativa più che punitiva, ma al contempo promuovono la possibilità di una diminuzione della pena legata ad un impegno culturale, in aggiunta ad una buona condotta.
Un problema sempre più attuale anche in Italia riguarda proprio l’effettiva possibilità di essere riabilitato che chi ha commesso un reato si trova ad avere una volta privato della libertà personale: infatti, nonostante il comune consenso sulla necessità di limitare la libertà di chi può costituire un pericolo, sembra poco chiaro quale sia poi il reale obiettivo che si vuole perseguire.
Punizione o redenzione? La reclusione dovrebbe servire come rieducazione della persona? Sì, secondo l’articolo 27 della nostra Costituzione, che afferma esplicitamente la finalità rieducativa della pena. In particolare, la riforma del 1975 ha previsto che questa venisse perseguita sia attraverso l’attuazione di misure alternative alla detenzione, dove possibile, sia attraverso iniziative all’interno degli istituti penitenziari, inerenti a istruzione, lavoro, attività teatrali, sportive, culturali e religiose.
Purtroppo la realizzazione pratica di questo progetto legislativo lascia molto a desiderare. E i tanti suicidi che avvengono nelle carceri denotano un livello di forte drammaticità della vita dei sempre più affollati penitenziari. Oltre alle evidenti difficoltà di certe realtà, il mancato rispetto di questo progetto di legge fa sorgere il dubbio che questa ideologia di fondo non sia poi così condivisa.
Forse la diatriba che si viene a creare su questo problema riconduce a questioni più profonde, che non sono ancora state chiarite. Ad esempio, cosa pensiamo veramente sull’effettiva possibilità di ognuno di noi di poter cambiare?