asia
02 Luglio 2012

La conoscenza rende liberi

I libri aprono la mente, conducono verso nuovi orizzonti, liberano la fantasia, aumentano la conoscenza. Talvolta diminuiscono i giorni di reclusione. È questa l’idea innovativa del governo brasiliano, che ha istituito il progetto “Redemption through Reading” (“Redenzione attraverso la lettura”) con cui i carcerati di quattro prigioni federali potranno vedersi scontare quattro giorni di carcere per ogni libro letto.

I detenuti potranno leggere fino a dodici libri all’anno, ottenendo una riduzione massima di quarantotto giorni. Potranno avere quattro settimane per leggere ogni libro, alla fine del quale dovranno scrivere un saggio che dimostri il loro impegno nella lettura. Una commissione valuterà l’idoneità dei singoli aspiranti partecipanti.

I penitenziari, così, disporranno di libri di letteratura, filosofia, scienza, e tutto quello che potrà stimolare i detenuti a partecipare a questo singolare progetto.

Questa lodevole iniziativa appare come una modalità alternativa di riabilitazione della popolazione carceraria, volta ad aiutare queste persone ad allargare la loro visione del mondo, tramite un percorso formativo di accrescimento personale, che al contempo può migliorare la qualità del tempo trascorso dietro le sbarre. Progetti come questo dimostrano quindi il tentativo di far spazio ad una cultura rieducativa più che punitiva, ma al contempo promuovono la possibilità di una diminuzione della pena legata ad un impegno culturale, in aggiunta ad una buona condotta.

Un problema sempre più attuale anche in Italia riguarda proprio l’effettiva possibilità di essere riabilitato che chi ha commesso un reato si trova ad avere una volta privato della libertà personale: infatti, nonostante il comune consenso sulla necessità di limitare la libertà di chi può costituire un pericolo, sembra poco chiaro quale sia poi il reale obiettivo che si vuole perseguire. 

Punizione o redenzione? La reclusione dovrebbe servire come rieducazione della persona? Sì, secondo l’articolo 27 della nostra Costituzione, che afferma esplicitamente la finalità rieducativa della pena. In particolare, la riforma del 1975 ha previsto che questa venisse perseguita sia attraverso l’attuazione di misure alternative alla detenzione, dove possibile, sia attraverso iniziative all’interno degli istituti penitenziari, inerenti a istruzione, lavoro, attività teatrali, sportive, culturali e religiose.

Purtroppo la realizzazione pratica di questo progetto legislativo lascia molto a desiderare. E i tanti suicidi che avvengono nelle carceri denotano un livello di forte drammaticità della vita dei sempre più affollati penitenziari. Oltre alle evidenti difficoltà di certe realtà, il mancato rispetto di questo progetto di legge fa sorgere il dubbio che questa ideologia di fondo non sia poi così condivisa.

Forse la diatriba che si viene a creare su questo problema riconduce a questioni più profonde, che non sono ancora state chiarite. Ad esempio, cosa pensiamo veramente sull’effettiva possibilità di ognuno di noi di poter cambiare?


Commenti:


 Risposta - 2° parte  Utente
Marianna.Turriciano
18 Luglio 2012 - 10:48
E questo crea un notevole problema di sovraffollamento, tale per cui le condizioni di vita all’interno di molti Istituti Penitenziari sono considerate lesive della dignità personale. E questo non aiuta i detenuti a diventare persone migliori. Inoltre, anche nel nostro paese la criminalità organizzata riesce ad agire direttamente dall’interno delle carceri, nonostante ci siano interventi legislativi volti a rendere più aspro il regime carcerario dei condannati per reati di mafia. Di nuovo, però, se parallelamente non vi è un discorso di crescita culturale, la criminalità organizzata credo che continuerà ad avere un “terreno facile” dove attingere adepti, sia dentro che fuori le carceri. Infine, ci si potrebbe chiedere dove va a finire la “buona reputazione” del sistema giudiziario italiano, se pensiamo a tutti i casi di “clemenza” previsti dal nostro ordinamento che fanno sì che le pene detentive non vengano quasi mai interamente scontate; per non parlare di tutti quei casi in cui la lunghezza dei processi sfocia nella prescrizione dei reati, con conseguente impunità. Sembra, quindi, che nonostante certi paesi possano essere effettivamente più efficaci rispetto ad altri, dall’esterno si abbia sempre un’idea migliore di quello che poi realmente succede. Credo perciò che sia sempre utile sottolineare l’importanza di iniziative come quella riportata nell’articolo, che potenzialmente potrebbero essere di valore, nonostante rimanga certamente aperto il problema della loro effettiva realizzazione ed efficacia, su cui, purtroppo, non possiamo avere certezza.

 Risposta - 1° parte  Utente
Marianna.Turriciano
18 Luglio 2012 - 10:47
Gentile lettore, divido la risposta in due parti. La ringrazio per il suo intervento; è importante dialogare direttamente con chi vive in certe realtà, per ampliare reciprocamente la nostra conoscenza. Mi fa molto riflettere il suo considerare questa iniziativa come un modo per far fare bella figura al governo Brasiliano senza che poi ci siano risultati veramente significativi, perché spesso purtroppo c’è una ampio divario tra le iniziali buone intenzioni delle varie iniziative e l’effettiva realizzazione delle stesse. E in Italia la situazione non è molto diversa. Anche in Italia, infatti, si cerca di incentivare l’ingresso nelle carceri di attività di tipo culturale finalizzate alla crescita delle persone, poiché solo un programma di rieducazione può porre le basi per un auspicabile cambiamento. E in certi casi queste iniziative prendono davvero piede. Come dicevo nell’articolo, però, talvolta la riuscita di questi programmi è ostacolata dalle difficoltà che si riscontrano nelle varie realtà. Probabilmente anche l’Italia, vista da fuori, sembra funzionare molto meglio rispetto ad altri paesi. E magari è anche così. Molti problemi si riscontrano però anche nel nostro sistema giudiziario, molti dei quali dovuti all’estenuante lentezza con cui si procede attraverso i tre gradi di giudizio. Basti pensare che nel 2011 su circa 68.795 detenuti, circa il 43% era in attesa di giudizio e circa il 20% era ancora in attesa della sentenza di primo grado.

   Utente
ricardojoerke
07 Luglio 2012 - 01:20
Il Brasile è un paese in cui non c'è sicurezza pubblica di qualità. La più importante ragione di questa situazione è l'impunità. La maggior parte dei carcerati non sconta tutta la pena, e invece dovrebbero rimanere molto tempo di più intrappolati. L'Italia, invece, è un paese serio: se qualcuno commete un reato, dovrà scontare la pena, senza attenuazioni esagerate. La idea di cui si parla in questo interessante articolo, devo dire la verità, e che è attribuita al governo brasiliano, è "para inglês ver", in altre parole, per fare bello effetto fuori del paese, per lo straniero, ma senza risultati significativi. Parlo questo come avvocato brasiliano: vivo nel Brasile e sopporto e sopravvivo in queste realtà. Un esempio di questa insicurezza generalizzata è che i criminali ordinano i crimini dall'interno delle prigioni, avendo al di fuori bande armate che eseguono assalti e rapimenti in maniera barbara.


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