E' sempre più chiaro, soprattutto a chi purtroppo ha avuto modo di sperimentare in prima persona l'approccio della medicina occidentale alle malattie gravi o croniche, o ad eventi come nascita o morte ospedalizzati, quali siano le conseguenze in questo dominio della concezione di 'essere umano' come 'macchina biologica da aggiustare', tanto diffusa in questa parte di mondo: il sentire profondo del paziente viene perlopiù ignorato, perché si ritiene non abbia alcun ruolo nel processo (di guarigione, o di nascita, o di inevitabile avvicinamento alla morte). Ma il senso dell'irrimediabile, del 'mai più', del profondo mistero che sperimentano un malato, una puerpera o un morente sono concretissimi pugni allo stomaco, strette alla gola, esplosioni del cuore, e sono elementi fondamentali di un'esperienza che, se considerata a partire dagli stravolgimenti e degli insegnamenti interiori che essa porta in dono, può davvero alzare il sipario su uno scenario nuovo, più prossimo a ciò che è propriamente 'umano'.
Per questi motivi segnaliamo un'interessante iniziativa tutta bolognese. Avrà inizio questo febbraio una sperimentazione che potrebbe determinare in Italia un cambiamento nella nostra idea di 'cura': l’affiancamento della pratica meditativa Tong Len alla tradizionale terapia a cui sono sottoposti i pazienti oncologici. Lo scopo di tale sperimentazione è verificare se la meditazione, da un lato, possa contribuire a migliorare le condizioni di ansia e di stress che accompagnano i pazienti di oncologia, e dall’altro determini anche cambiamenti fisici, come eventuali variazioni di alcuni valori del sangue. Saranno selezionati ottanta pazienti, dei quali solo quaranta si sottoporranno al test, ma l’identità di questi ultimi resterà ignota all’équipe medica che valuterà gli eventuali progressi.
La sperimentazione è guidata da Gioacchino Pagliaro, direttore del reparto di Psicologia clinica dell’Ospedale Bellaria di Bologna e meditante da più di vent’anni. La meditazione Tong Len che Pagliaro ha deciso di sperimentare è una pratica volta a sviluppare una mente altruistica: Tong Len letteralmente significa “prendere e dare”; il meditante, attraverso la compassione verso tutti gli esseri viventi, 'prende su di sé' la sofferenza altrui e se ne appropria: partecipe del dolore degli altri, la sua mente egoistica e aggrappata all’Io - quella mente in cui origina la sofferenza - viene distrutta. Successivamente si ha la fase del 'dare': il meditante condivide con gli altri esseri sentimenti positivi, liberandoli dalla negatività che reca con sé sofferenza fisica e mentale.
Il cambiamento insito a una sperimentazione di questo tipo consiste, per la medicina occidentale, nell’iniziare a considerare, con maggiore consapevolezza, il paziente come soggetto attivo del processo di malattia e di cura, nonché come unione di mente e corpo. Questa apertura verso altri approcci alla sofferenza potrebbe ridimensionare il difetto fondamentale della medicina occidentale: il paziente-oggetto, ovvero il rischio di considerare il malato solo in termini di corpo e di biologia, come se nel processo di guarigione, così come in quello di malattia, non avessero altrettanta importanza il sentire e la mente. In questa direzione è già stato compiuto un grande passo nell'ambito della psicoanalisi, ma l’introduzione della pratica meditativa tibetana fra le terapie oncologiche potrebbe determinare una svolta ancora più profonda e innovativa per l’Occidente.
Non solo: comincia forse a farsi strada, nel sentire comune, la fondamentale mancanza di una cultura autenticamente umanista, che sia cioè in grado di accogliere non solo ciò che prova qualunque soggetto umano (o, in generale, senziente), ma soprattutto i significati veicolati da quei pugni allo stomaco, da quelle strette alla gola, da quelle esplosioni del cuore: il senso di finitudine, ma anche la meraviglia, la compassione, la percezione del mistero che siamo reclamano ormai il posto che spetta loro, sia nel nostro quotidiano che nelle esperienze 'straordinarie' (malattie, nascita, morte) che, prima o poi, in prima o in seconda persona, siamo tutti chiamati a vivere.
La notizia sul Corriere della Sera (Bologna) e sul Sole 24 ore