La riduzione delle ore scolastiche dedicate all’insegnamento della Filosofia ha suscitato grande scalpore, sia nel mondo dell’alta cultura che in quello della scuola; si tratta dell’eliminazione della disciplina “dalle tabelle disciplinari di vari corsi di laurea, come quelli di Pedagogia e di Scienze dell'Educazione, con la singolare motivazione che si tratta di una disciplina troppo specialistica”, come riportato dall’articolo di Roberto Esposito che per primo ha puntato l’indice sull’iniziativa del MIUR. “Ma c'è di peggio, – continua Esposito, – sta prendendo corpo il progetto, già sperimentato in alcuni licei, di abbreviare il ciclo delle scuole secondarie a quattro anni, con la conseguente riduzione dell'insegnamento della filosofia a due”.
In difesa dell’insegnamento del pensiero e della sua storia si sono espressi intellettuali come Stefano Rodotà, ma si è pure formata una vera e propria Costituente di Filosofia, che si è riunita per la prima volta il 2 marzo scorso a Roma, allo scopo di ribadire al nuovo ministro Giannini il “no” alla marginalizzazione delle discipline umanistiche. A questo punto manca solo un coinvolgimento forte della gente comune, che è poi la vittima più diretta (insieme agli insegnanti, sempre più precari) dell’indebolimento del pensiero nei luoghi in cui andrebbe insegnato. Per questo asia.it vi invita a mobilitarvi. Ma come? Una petizione potrebbe non essere sufficiente, come già accaduto con quella in difesa della Storia dell’Arte (iniziativa respinta dal precedente governo per mancanza di fondi, malgrado le quindicimila firme raccolte, la sottoscrizione di uomini di cultura del calibro di Salvatore Settis e di enti come Italia Nostra e il FAI). Ma firmare è senza dubbio un buon inizio.
La Costituente di Filosofia promuove una petizione per difendere e soddisfare “un vero e proprio ‘bisogno di filosofia’ nella scuola e nella società che non si può ignorare. Tale bisogno è motivato da un lato dalla capacità della disciplina di costruire quelle competenze trasversali fra le scienze naturali e le scienze sociali e quell’interculturalità che oggi la scuola prevalentemente ricerca. Dall’altro dalla capacità della riflessione filosofica di eccedere ogni applicazione strettamente pratica aprendo così la possibilità stessa di un pensiero critico, fondamentale per la formazione di cittadini consapevoli”. La petizione promossa dalla Costituente segue quella partita dall’impegno di Roberto Esposito, il quale, insieme a Giovanni Reale e Adriano Fabris, chiede non solo il blocco della riduzione o dell’eliminazione della Filosofia nell’istruzione secondaria e nell’insegnamento universitario: essa pretende dal governo anche “impegni precisi: non solo per l’ammodernamento delle strutture scolastiche e universitarie, ma anzitutto per il sostegno e il rilancio di una cultura autenticamente umanistica”.
Molto si potrebbe scrivere (ed è stato scritto e detto) per evidenziare l’importanza della Filosofia nella cultura di un Paese e nella vita quotidiana di una persona; in proposito è sufficiente sottolineare che il fatto stesso di non saper riconoscere (e quindi argomentare) l’imprescindibilità del pensiero, nella scuola e dunque nell’educazione di un individuo, significa già non essere più in grado di pensare. Su questo sarebbe necessaria una riflessione… se fossimo ancora in grado di farla.
Le poco nobili strategie che vengono adottate allo scopo di bandire dalla scuola pubblica il pensiero (e quindi la capacità critica), così come l’educazione alla bellezza e alla profondità (e quindi la capacità di introspezione ed empatia), culminano ormai con l’asportazione, nemmeno troppo chirurgica, dell’organo vitale dell’educazione di matrice europea e (è il caso di affermarlo con orgoglio) prettamente italiana: l’Umanesimo, lo studio dell’essere umano a partire da ciò che egli si domanda, da ciò che prova, da ciò che, ispirato, crea per sé e per gli altri. Le conseguenze di questo scempio sono già sotto gli occhi di chi ha avuto la possibilità di studiar(si) prima che esso avvenisse; sono e saranno invece nascoste agli occhi di quei giovani che, tragicamente, subiranno l’arbitrio di non poter essere educati a quanto di più umano li abita.