Interdipendenza nelle isole oceaniche ed esperienza della finitezza*

Leggi il quarto capitolo: perchè non crediamo ai dati sulla crisi ambientale?

5. Il vivente umano: consapevolezza della finitezza

 

Dobbiamo sviluppare la nostra capacità
di sentire le nostre emozioni e quelle degli altri
di percepire la bellezza del mondo,
e di pensare nel modo giusto.

Pierre Lévi[1]

L’Uomo non è solo sentire la vita, ma è l’esperienza di sapere di esistere, in modo situato in un corpo e in un ambiente. In noi – ma forse anche in altre specie – il sentire prende una specifica profondità: non solo sentiamo la finitezza, ma anche sappiamo della finitezza. Per noi non è solo una funzione vitale, uno strumento per la sopravvivenza come artigli e zanne, né un dato antropologico variabile in diverse popolazioni. Per me, in prima persona, la finitezza ha un significato, un valore assoluto che si rivela quando nel mio vissuto si estende rapidamente e arriva a riguardare tutto. L’innesco può fornirlo un disastro ambientale, un sapore improvviso che dice: “Mai più questa foresta, questa barriera corallina, questa relazione”, e poi si estende a tutto. Ormai consegnati a un’epoca storica in cui non sopravvivono visioni forti del mondo, restiamo sempre più spesso con questo sentire che tutti i significati sono strutture fragili, fondate su nulla, barchette fluttuanti senza terraferma cui approdare.

In questo sentire consapevole della finitezza di tutto si può forse ravvisare la specificità – ma non sappiamo se l’unicità – dell’esperienza umana. Come ha scritto un fenomenologo molto attento al mondo dei sentimenti, Max Scheler: «Nel suo volgersi intorno, l’uomo affonda necessariamente il suo sguardo nel nulla, e scopre anzi la possibilità del “nulla assoluto”. Il che lo porta a chiedersi: perché vi è un mondo? Perché vi sono io?»[2]
In genere ci distogliamo da questo sguardo nel nulla scivolando verso progetti che ci forniscano sollievo e sicurezza. Ma questi progetti implicano sfruttamento delle risorse e distruzione di ambienti naturali, e di nuovo generano senso di finitezza, che di nuovo ci sospinge verso progetti, in un ciclo di sofferenza.

Questa esperienza circolare è consapevole e intrisa di tonalità emotive: la possiamo indicare come un esser-gettati-nel mondo, sempre appongiandoci alla terminologia che Martin Heidegger usa in Essere e tempo. Un ritrovarsi con un certo umore e patire, da cui cerchiamo continuamente di fuggire. Ma «chi potrebbe nascondersi dal fuoco che mai si estingue?» (Eraclito).

Quando, grazie all’atto di consapevolezza umano, il senso di finitezza si estende a “tutto”, l’interdipendenza diviene davvero sentita nella situazione emotiva:

–         nel suo aspetto positivo e negativo, dove mostra organismi e ambienti senza confini reali, che sono Uno e Niente. Ora percepiamo nella carne l’unità e l’instabilità del nostro spazio vitale, la caducità nel tempo, l’incapacità di dare significato al mondo e a noi stessi;

–         nel suo aspetto senza una base, che apre alla percezione di fine di tutti i fondamenti e ci fa ritrovare nella condizione di “esser gettati”, senza una ragione che ci sostenga per capire e agire.

Nell’esperienza vissuta di finitezza di “ogni cosa”, siamo dunque spinti a prendere in considerazione un altro significato di co-produzione. Non è solo mancanza di confini e produzione continua di identità-mondo. Ogni co-produzione circolare mostra che non c’è origine, non c’è fondamento. Da quando l’Uomo sa di esistere, nelle parole di Scheler, “affonda necessariamente lo sguardo nel nulla” e si trova senza giustificazione.

Tuttavia, anche se “tutto è infondato”, abbiamo la possibilità di fermarci, di fare silenzio, di guardare a fondo nel fuoco eracliteo. Non lo facciamo perché, colpiti dalla mancanza di fondamento, iniziamo a pensare che sia la negazione di ogni verità o valore.

Nel prossimo capitolo esamineremo come, incapaci di sbrogliare noi stessi tra gli estremi di un mondo oggettivo-sostanziale e di una realtà co-prodotta senza base, tendiamo ad aggrapparci a promesse di sollievo individualiste, modaiole, retoriche. O tendiamo a cadere nel nichilismo.

 

Leggi il capitolo “Ecologia e finitezza”/1: perchè facciamo scelte eco-ambientali rovinose?

Leggi il capitolo “Ecologia e finitezza”/2: è possibile coniugare ecologia ed economia?

Leggi il capitolo “Ecologia e finitezza”/3: esiste davvero l’essenza di un fenomeno vivente?

Leggi il capitolo “Ecologia e finitezza”/4: perchè non crediamo ai dati sulla crisi ambientale?

Leggi il capitolo “Ecologia e finitezza”/6: come riusciamo a “distrarci” dal problema ambientale? 

Leggi il capitolo “Ecologia e finitezza”/7: da dove ripartire per uscire dall’emergenza ambientale? 

 


[1] P. Lévi, Il fuoco liberatore, Ed. Luca Sossella, Roma, 2000.

[2] M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo, Ed. Armando, 1998, p. 187.