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ll dialogo tra ente e niente

Argomento: Filosofia
Disse il niente all’ente: “Tu occupi il mio trono: il regno è mio! Tu sei un usurpatore, che ci stai a fare lì?”.
L’ente fu imbarazzato perché era vero. Le tonalità emotive che assalivano d’un tratto l'ente: lo strano, l’assurdo, lo stupore e l'incapacitazione d'essere, erano i segni di questo imbarazzo che aveva preso a tormentarlo e, tra sé e sé, rimuginava:
“Che ci sto a fare qui? Il mio posto non è qui, ma neppure si dà che il mio posto sia un altro. Il mio posto, in realtà, non c’è: io non dovrei esserci poiché assolutamente nulla mi giustifica!
Però la paura e l'amor proprio gli suscitavano un po' di combattività ("in fin dei conti sono qui da sempre…"), così che, reciprocamente, il niente all’ente e l’ente al niente, si urlavano: “Giù dal trono, usurpatore!”
L’ente si ostinava: “Ah no! Tu, niente, non sei degno del trono, tu sei il mio opposto, sei poverissimo, non hai nulla né sai nulla: io ho la conoscenza, io ho la scienza, la filosofia… io ho l’arte!”.
Ma dopo un po’, proprio quando il niente stava per averne abbastanza di quell'ottuso, l’ente, in una crisi di coscienza, ammise: “Accidenti, vuoi vedere che il niente ha delle ragioni? Ha proprio delle ragioni!”
Così, alla fine, l’ente si imbarazzò: ammise che stava sul trono perché non riusciva a sparire, non perché ne avesse diritto.
Il niente, accortosi dell'imbarazzo dell'ente, impietoso, gli gridava ancor più forte: “Vattene dunque!”
E l’ente: “ E dove vado? Mi chiedi un’operazione impossibile. Non ho un altro posto dove andare. Mi chiedi qualcosa che non posso fare: diventare te, diventare niente. Tu mi condanni ad un eterno imbarazzo di cui non sono colpevole!”
Quasi sussurrando una preghiera l’ente supplicava il niente: “Stai zitto per favore, non mi tormentare!"
Poi ebbe un'idea: "Senti, pareggiamo i conti, facciamo cinquanta e cinquanta! Facciamo che io parlo di te e tu stai qui tramite me e mi suggerisci quello che devo dire di noi? Facciamo così?”
Ed il niente, forse mosso da una certa compassione: “Hum, si può fare”; e rilanciò:
“Facciamo una co-produzione, vuoi dire?”
E il niente e l'ente cominciarono a discutere il contratto di co-produzione.
“Va bene,” disse il niente “ti lascio essere purché tu significhi esclusivamente me: niente.”
E l'ente: “Ma anch’io volevo significare qualcosa!”
E il niente: “Eh no. Non se ne parla. Tu devi esclusivamente, in ogni dettaglio, sempre e solo significare me. Ci sarai, ma sarai vuoto di significato e senso! Sembrerai esserci, ma chi ti cercherà per capire cosa tu significhi, troverà sempre e solo me.”
”E va beh…" cedette l'ente "… piuttosto che vivere in questo vergognoso imbarazzo!”.
Ma, giusto prima di firmare il contratto, l’ente, angosciato dalla prospettiva di non poter mai più significare autonomamente se stesso, ebbe un'intuizione vincente:
“Però anch’io ho una richiesta: che tu continui a essere te stesso, che continui a non esserci. In fin dei conti, se io non parlo di te, tu non ci sei, sei un bel niente; e dunque io chiedo che tu semplicemente sparisca!”.
E come l’ente aveva compreso di non poter diventare niente, così pure il niente realizzò di non poter tradire la propria natura senza dar ragione all’ente, con ciò contraddicendo, però, il proprio reclamo di giustizia.
Così sparì ancor più nel niente e da allora non si vede più al punto che l'ente ne ha perfino perso la memoria.
Filosofia, scienza ed arte hanno, da allora, avuto una crescita enorme. Le biblioteche si sono riempite di discorsi ed indagini sull’ente e pare che forse ci siamo, che si stia per trovare l’origine prima dell’ente: un ente nascosto e misterioso davvero speciale e divino!
Altre voci dell'ente sostengono che la fonte di tutto sia un nuovo tipo di ente detto “vuoto quantistico”…
Da allora, però, quando l'ente si sorprende a domandarsi "che ci sto a fare qui?", avverte il sapore di un'ingiustizia da lui commessa in un lontano passato e di una frase incompleta che è sempre lì sulla punta della lingua…
"che ci sto a fare qui?… "
ma non riesce a ricordare cos'altro dovrebbe aggiungere alla frase per completare la perplessa domanda.
E, accendendosi una sigaretta, si sorprende a soffrire.
O forse è nostalgia?

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