Il linguaggio parlato e scritto ha dei seri limiti nell'esprimere e soprattutto trasmettere quel che si esperisce, ma è utile per pulire la via verso la visione del limite dove, infine, risulta chiaro che non si può ulteriormente comunicare attraverso le sole parole.
Però la precisione e l'accuratezza del dire filosofico sono importanti quanto l'evocazione del dire poetico o mistico.
Fu per me fondamentale la chiarezza heideggeriana per riconoscere il vero significato di una sconvolgente esperienza di risveglio all'essere accadutami qualche tempo prima, nel 1980.
La "differenza ontologica" tra essere ed ente e tra ente e niente mi diede accesso soddisfacente e convincente al Buddhismo Prajnaparamita, con ciò convincendomi che il vero ponte tra Buddhismo e Occidente debba passare attraverso la Prajna, la "sapienza che è andata al di là", che io chiamo "sapienza differente".
Sono cose difficili, di primo acchito, ma si può porre ordine in tutto ciò a condizione di risvegliarsi all'esperienza dell'essere in quanto differenza.
Ricordo un viaggio ad Aachen.
Dovevamo incontrare ed intervistare Walter Biemel (1918 - 2015), uno dei più vecchi allievi e intimi amici di Heidegger.
Fui attraversato da una folgore nel cuore quando raccontò dell'improvviso risveglio, accaduto al Maestro della Foresta Nera, al significato e al valore del niente nella comprensione del significato di "essere" - essere che era stato il tema della ricerca di Essere e Tempo, ma, a detta del Maestro stesso, una ricerca incompleta.
Heidegger si illuminò sul ruolo del niente in un campo innevato - nel 1928.
Ciò accadde un anno dopo la pubblicazione di Essere e Tempo, nel 1927.
"Che cos'è metafisica?" (1929) rappresenta la narrazione fenomenologica di tale risveglio.
Io considero "Che cos'è metafisica?" il "Primo Sutra d'Occidente".
La "prima" differenza ontologica in quanto differenza tra ente e niente appare per la prima volta in questa breve e densissima opera sebbene i precursori esperienziali, come la "angoscia-paura", Angst, appaiano già in Essere e Tempo.
Trovo che occorra precisare il significato di alcuni termini fondamentali per la costruzione di questo ponte tra l'esperienza esistenziale heideggeriana e quella buddhista.
Niente: vi sono almeno tre significati di niente in Heidegger:
1. il nihil negativum - il niente - che io scrivo, traducendo, con la n minuscola - il niente tout court; esso si dà in un sapere che non può avere contenuto alcuno.
2. Niente - con la N maiuscola; è il Niente delle cose che sono "sfuggite di mano" nell'esperienza della Angst, allorché "nienteggiano". Interessante qui il confronto con certe esperienze di "panico" dove il mondo si derealizza nella sua totalità.
Possiamo anche chiamarla "epoché spontanea".
3. il Niente donante essere agli enti; esso è il differente, il non entificabile.
È equivalente all'Essere (Sein, Seyn, Sein barrato) della "seconda differenza ontologica", l'Ereignis, l'Evento.
È l'Essere che si dà, Es gibt, nella Storia dell'essere e di cui ci chiediamo il senso.
La fondamentale Differenza è quella tra niente (che io scrivo, traducendo, con la n minuscola: nihil negativum) e l'altro-da-niente, ovvero l'essente.
Magnifico e da brividi chiedersi cosa mai "sia" l'altro-da-niente.. il Niente (N maiuscola - a mio avviso la "tathata" buddhista, la medesimezza, il non-altro).
È altresì da brivido chiedersi come "il Niente che nienteggia" si ridia quale ente e storia nella Ereignis.
Ancor più da brivido è, affacciandosi a tale Niente "ridotto", sentirsi estorcere da esso lo stupefatto, fondamentale, domandare :
- Perché, in generale, c'è ente, e non piuttosto niente?
Qui il niente è proprio il nihil negativo: proprio niente!
Sebbene Heidegger lo abbia successivamente inteso anche in senso storico: il donarsi del Niente come enti ed eventi della Storia.
Ecco ciò che accadde a Heidegger nel 1928, a Todnauberg, nella Foresta Nera, in un campo innevato:
un Satori.
Da ciò dovremmo riiniziare a chiederci "cos'è esperienza umana?".
O come avrebbe detto Heidegger: "Quali sono le possibilità (di conoscenza) fondamentali dell'esserci umano?".
Io chiedo: che significa sapere?
Per avere accesso al sapere fondamentale è sufficiente pensare logicamente?
Heidegger avvertì penosamente la mancanza di potere del mero dire filosofico.
Provò diverse vie: dall'esasperata creazione di neologismi che con disperata ferocia cercavano svelamento nella radice delle parole - col risultato di produrre testi incomprensibili - alla finzione di un dialogo quasi teatrale a più voci, al dire poetico - a mio avviso il suo risultato migliore, sebbene meno conosciuto.
Per poter risvegliare in altri ciò che trasformò lui - il satori sui campi innevati - gli mancò la meditazione.
Cosa di cui D.T. Suzuki gli chiese: se il corpo avesse qualche ruolo nella sua ricerca - Suzuki si riferiva alla meditazione.
Heidegger rispose che, in effetti, nell'immobilità del risveglio a letto, la mattina, gli giungevano intuizioni determinanti.
La Filosofia vive grandi intuizioni, ma non ha mezzi per trasmetterle, a parte la scrittura.
Io sono convinto che la FIlosofia futura dovrà attingere alla meditazione o sarà giunta alla sua fine, ad uno sterile parlare sul parlare senza poter attingere alle "possibilità fondamentali dell'esserci umano".
Questo è lo sforzo di ASIA.
Foto: La scrivania della casa di Heidegger sulle prima colline di Friburgo dove siamo stati ospitati dalla nipote Gertrud.