Vi sono un "vedere" sensoriale, uno coscienziale e uno esistenziale.
Il vedere sensoriale - con "vedere" sensoriale intendo, il generale, percepire con i sensi - è attribuito ad un suo organo veicolante ed elaborante; anche quello coscienziale dipende dal percepito ma, ad un metalivello, comporta anche certi gradi di consapevolezza: vedo che vedo, so che so.
Il sapere esistenziale, invece, si accende solo a seguito di un risveglio.
Una storia che bene descrive il risveglio esistenziale è quella della "pagina della radice" ne "La Nausea" di Sartre.
Altre pagine di straordinaria lucidità esistenziale sono quelle di "Che cos'è metafisica?" di Heidegger.
Nella nostra esperienza sono sempre in qualche misura accese tutte e tre le dimensioni del vedere-sapere, ma possono pesare in modo diverso.
Io insegno il risveglio alla terza e pongo che sia questa la base per un Buddhismo europeo.
Molti allievi, da trentasette anni a questa parte, hanno vissuto improvvise consapevolezze a riguardo.
Nella terza esperienza del vedere ha ruolo centrale e imprescindibile il nulla.
Sapere dell'esistenza significa realizzare la sconcertante differenza tra nulla e altro-da-nulla.
Non si tratta di capirla, ma di vivere un'improvvisa "catastrofe" (in senso greco) svelante che anche i sensi e la coscienza esistono - che sono differenti rispetto a nulla. E che ciò è inconcepibile - motivo di stupore totale e senza fine.
Il fatto che una certa sapienza sia attingibile solo a seguito di un risveglio risulta indigesto all'occidentale.
Ma, come dice lo zen, "se capisci, le cose stanno come stanno, se non capisci, le cose stanno come stanno".
Nessuno ha progettato che questo mondo e noi in esso si funzioni proprio così - le cose, semplicemente, ma anche incredibilmente, stanno così.
Nostro buon o malgrado.
Chi si risveglia all'essere, da quel momento vede ogni cosa "dal nulla" - nel suo esserci invece che non esserci.
Vi è una mente capace di tale risveglio.
I maestri buddhisti, nei secoli, si sono chiesti come poter aiutare gli aspiranti a risvegliarsi a tale sapienza fondamentale.
Anche ad Asia usiamo certe vie che si sono rivelate molto efficaci nel corso di quasi quarant'anni.
Ma, per lo più, la difficoltà non sta nei mezzi idonei all’illuminazione, bensì nello "spessore karmico" di chi vi si avvicina.
Molti hanno paura.
Paura di vedere, di vedere il fondamento infondato.
Lo spessore karmico si accumula in vite, avendo assaporato mille e mille volte il sapore del nulla.
Versi come “la morte si sconta vivendo" di Ungaretti e “verrà la morte e avrà i tuoi occhi" di Pavese, dicono qualcosa di molto significativo sul sapore di morte che ci matura in vita rendendoci idonei allo stato di non paura. Quella non paura che sola rende possibile di vedere il miracolo di nessun Dio che è l’esserci - nostro e dell’universo.
Chi è paralizzabile dalla paura di perdere qualcosa in vita - di morire vivendo - non potrà avvicinarsi alla estrema consapevolezza.
Ma chi ha adeguato spessore e finalmente vede, è libero.
Libero anche da se stesso - pur continuando ad essere.
“In questo piccolo fiore rosso
Sono davvero presenti nove cieli.”
Nakagawa roshi