asia
14 Dicembre 2022

Il non senso danna, il non senso salva

Infondatezza equivale a impossibilità di senso.

Ad Asia affrontiamo questa radicale questione da quasi quarant’anni, ovvero da quando si costituì un primo gruppo di persone coinvolte nell'approfondimento di un'esperienza, per me decisiva, occorsami nella primavera del 1980 e che, attraverso svariati tentativi, ho avuto la ventura di riuscire a trasmettere vieppiù a un maggior numero di allievi.
Oggi tale numero è cospicuo e riusciamo trascorrere lunghi ritiri di meditazione incentrati proprio su questo problema.

Esso si sta inserendo nella cultura.

Provo qui a tracciarne i punti salienti avvalendomi della rotta aperta da Martin Heidegger.
Infatti, essendo stata fin dall'inizio la mia esperienza di risveglio all'essere incentrata sullo stupore espresso nella domanda fondamentale heideggeriana "perché in generale l'essente e non piuttosto niente?", trovai che le nostre due esperienze erano sovrapponibili e dunque mi avvalsi della via aperta dal Maestro della Foresta Nera che considero autore del primo Sutra d'Occidente: "Che cos'è Metafisica?".

Che significa "essente"?

Lo si intenda come il "totalmente altro" rispetto a niente.

Che significa "essere"?

Va inteso come il "fatto che" l'essente non sia niente, ma differente rispetto a niente.

Essere: il fatto di differire da niente.

Questo è patito: la consapevolezza di differire da niente è vissuta in un pathos.

La tonalità centrale di tale pathos è il senso dello stranimento: è strano esserci, non è per nulla scontato.

Tale tonalità può variare ed essere patita come stupore, meraviglia, "monstrum", spaesatezza, assurdità, incapacitazione..

Occorre calarsi in tali sapori emotivi - non in senso psicologico! - per tradurre i loro significati in quelli del logos.

Vi è un sentire emotivo legato intrinsecamente al fatto d'essere: ecco la scoperta heideggeriana che si può confrontare con la sofferenza ontologica buddhista (dukkha).

Su tale cammino si realizza che ciò che proviamo è suscitato dal sentire profondo che il fatto di essere dell'essente - di tutto ciò che differisce da niente - è assolutamente ingiustificabile, senza fondamento.

Infatti se fondamento e giustificazione ci fossero, esistendo, appunto, essi rientrerebbero nell'essente, con ciò trovandosi a far parte di tutto ciò che differisce da niente e facendo quindi parte del problema, non della risposta a quel terribile "perché?" della domanda fondamentale.
La differenza tra essente nella sua totalità e niente è totale.

Anche un Dio rientrerebbe nell'essente.

Ci troviamo così nell'infondatezza.

Non v'è ragione per il nostro esserci - né per quello di tutto il restante mondo.

Siamo gratuiti e, nei termini del principio di ragione leibniziano "in virtù del quale giudichiamo impossibile che alcun fatto sia vero od esiste se non v'è ragione sufficiente perché sia così e non altrimenti."...

siamo IMPOSSIBILI.

Eppure eccoci qui.

Da cui uno stupore senza fondo.

L'infondatezza uccide il senso, poiché anche ogni senso esisterebbe.

Siamo senza senso ultimo.

Ma lo sappiamo.

E qui ci soffermiamo..

Siamo limitati, ma non finiti.

Sappiamo che non possiamo sapere.. ma lo sappiamo.

Il sapere dell'essere è la nostra libertà nella costrizione ad essere
Costrizione ad essere: chi lo ha mai chiesto? E a chi?.

Ci ritroviamo gettati nell'esistenza - sebbene nessuno ci abbia gettati poiché anche il "gettante" dovrebbe già esistere e sarebbe, con ciò nelle nostre stesse condizioni.

Ma lo sappiamo.

Non v'è senso dell'esistenza - ma lo sappiamo.

Dunque siamo costretti, e con ciò limitati, ma lo sappiamo, e con ciò NON finiti.

(Estasi..)

L'occidentale delle avanguardie esistenzialiste è giunto molto lucidamente alla orrida consapevolezza dell'esser gettati e l'ha espressa - secondo codici diversi da quelli del Oriente, soprattutto buddhista - a mio avviso molto chiaramente.

Ma non conosce la cura.

Per l'occidentale la piena consapevolezza di tale insensato esistere è maledizione.

Ricordate il "l'esistenza precede l'essenza" di Sartre?
Sembra che qualche intellettuale francese, a seguito di tale inappellabile sentenza, si sia suicidato.

Il non senso lo uccise.

L'esistenza lo uccise.

Dopo Dio, era morto anche ogni possibile senso laico e dunque perché vivere ancora?

Il Buddha si pone proprio qui dove noi giungiamo sgomenti.

Egli ripropone la questione della liberazione dal patimento per il ritrovarsi ad esistere lungo filo insensato che attraversa le vite.

Come si risolve?

Risolvendo il patimento.

Come?

Abbiamo detto che la risposta alla domanda fondamentale non esiste e sia il Buddha che i Rishi del Rig Veda lo sapevano bene.

Con la differenza che i Rishi non avevano consapevolezza dell'essere in quanto infondatezza.

Essi salvavano un ente: l'atman-brahman e ciò diverrà il tema centrale del Vedanta e dello yoga.
Tale eterna coscienza realizzava, uno volta ritrovatasi, la propria eterna inattaccabile pace e beatitudine.

Un esempio fulgido che vale per tutti: Ramana Maharshi.

Il Buddha, invece, riduce anche l'atman, nei termini di coscienza, a mero elemento dell'esistenza: cosa tra cose, dharma tra i dharma.

La tappa ultima della liberazione non è in un ente - neppure quello ultimo ed assoluto.

Da dove dunque la soluzione al patimento?

Dalla lecita relazione tra l'ente (io, tu, noi..) - che è sempre intinto della luce del saper d'essere - e il proprio gratuito ritrovarsi ad essere.

Tale "lecita relazione" è liberazione.

Ma è sufficiente scriverne o dirlo? Se fosse possibile insegnarlo e trasmetterlo attraverso le sole parole, la sofferenza più radicale - quella dell'assurdo trovarsi gettati nell'esistenza - sarebbe facilmente eradicabile, ma così non è.

Occorre realizzarlo.

Occorre meditare, spendere su ciò la propria vita che, d'altronde, altri sensi non ha.

Ecco perché sostengo, con Heidegger, che la filosofia così come s'è sviluppata in Occidente, attraverso il solo logos, sia giunto alla fine.

Occorre introdurre la pratica, il "laboratorio".

E questo è la meditazione sulla e nella infondatezza.
Meditazione dell'essere: da parte dell'essere, circa l'essere.

Ciò che da decenni facciamo ad Asia.

E funziona.


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