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Tre esperienze di illuminazione.

Tre esperienze di illuminazione.

Quella del Dalai Lama.
Quella di Ramana Maharshi.
Quella di un giovane occidentale che per anni aveva patito la mancanza di senso.

Tutti e tre i casi di risveglio hanno al cuore della loro manifestazione un'aggressione al sé o al valore fondamentale da parte del niente.

Curiosamente ne sortiscono tre conclusioni diverse:

L'io non esiste: anatman.
L'io esiste: Io come Sé fondamentale ed eterno: atman.
L'io esiste ed è il luogo della rivelazione del miracolo di nessun Dio:
che si è e non piuttosto che non si è.

Tutti e tre i casi sono stati caratterizzati da una vera e propria deflagrazione significativa nel cuore.

Le tre esperienze cadono in tre terreni culturali diversi: buddhista, vedantico, filosofico.

Ciò ne ha determinato la lettura.

Sono convinto che la comparazione tra queste esperienze radicali possa fungere da base di dialogo tra Oriente ed Occidente.

Purtroppo tali esperienze paiono rare e chi sia disposto al confronto e capace di esso, ancora di più.

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Dalai Lama
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Nei primi anni Sessanta, mentre stavo riflettendo su un passaggio di Tsongkhapa [fondatore della scuola Gelugpa a cui appartiene il Dalai Lama] sulla impossibilità di trovare una esistenza intrinseca dei fenomeni e sul fatto che tutti i fenomeni dipendono dalla concettualità, mi accadde come se una folgore mi attraversasse il petto.
Ecco il passaggio che mi causò questo:

"In una corda arrotolata il colore e le spire sono simili a quelle di un serpente e quando la corda è percepita in una zona con poca luce, si può pensare "Questo è un serpente".
Per quanto riguarda la corda, mentre la si vede come un serpente, né l'insieme né le parti della corda stessa sono neppure nel minimo modo un serpente.
Pertanto, quel serpente è semplicemente un costrutto della concettualità.
Nello stesso modo, quando il pensiero "Io" nasce in dipendenza da mente e corpo, niente all'interno di corpo e mente — l'insieme che è un continuum di momenti antecedenti e successivi, né ll'insieme delle parti in una sola volta, né le parti separate, né il continuum di una qualsiasi delle parti separate — è anche minimamente l'"io".

Inoltre non esiste nemmeno un minimo qualcosa che sia un'entità diversa da mente e corpo e che sia intendibile come "io".
Di conseguenza, l'"io" è semplicemente posto dalla concettualità in dipendenza di mente e corpo; non può mai essere stabilito in quanto avente una propria enticità."

L'impatto durò per qualche tempo e nelle successive settimane ogni volta che vedevo le persone, mi sembravano come illusioni di un mago in quanto sembravano intrinsecamente esistenti, ma sapevo che in realtà non lo erano.
Quell'esperienza, che fu come una folgore nel mio cuore, era molto probabilmente ad un livello inferiore rispetto ad una realizzazione pienamente valida e incontrovertibile.
Fu questo il momento in cui la mia comprensione della possibilità della cessazione delle emozioni afflittive divenne reale.
Anche oggi, al mattino, sempre medito sulla vacuità e porto questa esperienza nelle attività della giornata. Il solo pensare o dire "Io", come in "io farò questo o quello, spesso mi innesca quella sensazione.

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Ramana Maharshi
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Circa sei settimane prima di lasciare Madurai, nella mia vita avvenne un grande cambiamento.
Fu del tutto improvviso.
Ero seduto in una stanza al primo piano della casa di mio zio.

Ero raramente malato e quel giorno non c’era niente di anormale ma, all’improvviso una violenta paura della morte mi prese.

Non c’era niente nel mio stato di salute che potesse giustificarla; non cercai di metterla in relazione con esso o trovare ragioni per la mia paura.

Semplicemente sentii: “Sto morendo”, e cominciai a pensare a come affrontare la situazione. Non mi venne il pensiero di chiamare un dottore, parenti o amici. Compresi che dovevo risolvere il problema da solo, lì, in quel momento.

L’impatto della paura della morte spinse la mia mente a una profonda indagine e mi dissi, senza in realtà dare forma alle parole: “Adesso la morte è arrivata: cosa significa? Che cosa sta morendo? Questo corpo muore”. Immediatamente impersonai il processo della morte. Rimasi sdraiato con gli arti distesi e rigidi come se il rigor mortis fosse iniziato e imitai un cadavere per dare maggiore realtà all’indagine. Trattenni il fiato e serrai le labbra in modo da non lasciar sfuggire alcun suono, in modo che né la parola ’Io’ né alcun’altra potesse essere pronunciata.

“Bene allora”, mi dissi “questo corpo è morto. Sarà portato rigido al luogo di cremazione e ridotto in cenere.

Ma con la morte di questo corpo io sarò morto (finito)?

Questo corpo è “Io”?

Esso è silente e inerte ma sento la piena forza della mia personalità e anche la voce “Io” dentro di me, di là dal corpo.

Allora io sono l'atman che trascende il corpo: il corpo muore ma l'atman che lo trascende non è toccato dalla morte.

Questo significa che sono l'atman immortale”.

Tutto ciò non fu un pensiero inerte; mi percorse vigorosamente come viva verità percepita direttamente quasi senza processo pensante.

“Io” era qualcosa di assolutamente reale,

l’unica realtà del mio stato presente, e tutta l’attività conscia connessa con il corpo era focalizzata su quell’“Io”.
Da quel momento in poi l’“Io” o Sé (atman) trattenne l’attenzione su se stesso grazie al suo potente fascino. La paura della morte era svanita definitivamente.
L’assorbimento nel Sé continuò ininterrotto da quel momento in avanti. Altri pensieri potevano venire e andare come note musicali, ma “Io” continuò come la nota fondamentale, la shruti che sottintende e si fonde con tutte le altre note. Nonostante il corpo fosse impegnato a parlare, leggere, o qualsiasi altra cosa, ero sempre focalizzato su “Io”.
Prima di quella crisi non avevo una chiara percezione del mio Sé e non ne ero attratto consciamente. Non sentivo interesse diretto o percepibile verso il Sé e, ancor meno, alcuna inclinazione a dimorare permanentemente in esso.

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Giovane occidentale in ricerca
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Un pomeriggio di primavera del 1980, avevo venticinque anni, mi stavo recando al lavoro e camminavo lungo il solito percorso che, a Bologna, dalla piazza Maggiore mi portava verso la via Castiglione, passando sotto il Pavaglione e attraversando la piazza Cavour.
Camminavo con la testa bassa, immerso com’ero, da quando avevo memoria e uso della ragione, nell’enigma della vita.
Dopo altalenanti adesioni al pensiero scintifico-positivista più hard e ritorni colmi di rimorso e devozione al seno di Santa Madre Chiesa, attraverso percorsi di yoga e meditazione, ero giunto al punto di investire Dio di ogni possibile senso dell’esistenza, chiedendomi però come essere certo che Dio esistesse.

Avevo cercato una testimonianza del divino provando di essere testimone di eventi prodigiosi, dalla levitazione degli yogi ai miracoli di Lourdes; avevo visitato gli eremiti di Monte Athos alla ricerca di una conferma decisiva, ma ogni volta che avevo approfondito, avevo scoperto che non potevo essere sicuro che fossero prove del divino.

E così eccomi lì, immerso nei dubbi più profondi.

Camminando così assorto, fronte al suolo, passai davanti alla vetrina di un negozio che all’epoca vendeva dischi musicali. Mi chiedo ancora chissà perché mai abbia alzato gli occhi… ma la svolta della mia vita ebbe inizio da quel gesto.

Intravidi la strana copertina di un Lp: sospeso negli spazi cosmici, il nostro pianeta, e dietro appariva la faccia di un vecchio barbuto e una sua mano che indicava la terra; di Dio insomma.

Rimasi colpito, sconcertato, poiché vedevo l’oggetto della mia sofferta ricerca di un senso della vita espresso così caricaturalmente, ma poi considerai che forse mia nonna, santa donna, Dio se lo figurava proprio così. Credo che sia stata questa mistura di comico e serioso ad innescare in me una perplessità e ad aprire un canale attraverso cui prese ad affiorare via via uno stato di domanda accompagnata dal timoroso presagio di essere in prossimità di una scoperta definitiva…

Cominciai a chiedermi se l’idea di Dio non potesse esaurirsi solo in un bisogno dell’animo umano, in un riferimento da pregare come alleato o da bestemmiare nella malasorte. Il dubbio divenne talmente intenso e patito da risuonarmi nelle viscere.
Presagivo che dalla risposta sarebbe dipeso il mio futuro spirituale: ateo o credente.

E stava affiorando il sapore di una risposta negativa su Dio.
Mi stavo profondamente convincendo che avevo per anni cercato un fantasma, che Dio era un non-senso.
Non era una risposta dedotta la mia, ma piuttosto un pregnante sospetto, una coloritura del cuore che però mi stava persuadendo.

Stava vincendo.

E via via mi ritrovavo così gettato nel crudo, spoglio e freddo mondo-senza-Dio.

Un sapore secco con venature di toni misteriosi, però.

Così fu proprio questa condizione nuda a innescare la miccia di una consapevolezza che prese ad affiorare per scintille di ricordi..
Ero bambino, sui quattro anni (età che ricordo perché in seguito cambiammo casa), e una mattina nella veranda inondata di carsico sole istriano, rimasi gelato ed affascinato dalla scoperta che esistevo io, proprio io, che non c’era qualcun altro al posto mio: c’ero proprio io!

E da ragazzo, un giorno mentre guardavo l’ovviamente familiarissimo volto di mia madre, esso mi divenne d’un tratto sconosciuto e freddo, quasi mostruoso, come se oltre l’impossibilità di riconoscerlo come il volto della mamma, non sapessi neppure cosa fosse un essere umano. Durò qualche istante, poi il volto tornò a rivestirsi di familiarità. Altri momenti di spaesamento e sconosciutezza dell’ovvio avevano costellato la mia vita e mi riaffioravano ora rivestiti di un sapore emotivo particolare che ritrovavo in quelle scintille di ricordi che, come perle collegate da un unico filo, mi precipitavano, con improvvisa accelerazione, alla grande gemma che stava imponendosi dispiegando la sua abbacinante e stordente preziosità.

Poi fu un botto del cuore e della mente.

Mi si schiuse la verità.

il nudo mondo-senza-Dio, l’impossibile ma reale effetto senza causa, gridò, attraverso una scossa di corrente ad altissimo voltaggio che scosse ogni cellula del mio corpo.

Gridò il proprio essere.

Stranito ed incapacitato, come se mi fossi materializzato in quel momento, mi ritrovai a balbettare “.. ma anche se Dio non esiste io sono qui a sapere che Dio non esiste!… e il mondo c’è…”.

L’esistente indubbiamente c’è, l’effetto c’è anche senza causa - e continua ad esserci.

Dio non è necessario all’essere, poiché, se c’è, anche Dio è.

Da dove? Come?

La consapevolezza di essere irruppe come onda anomala, ustionandomi il cuore d’emozione stranita, colto da un immane spavento per un evento di implicazioni enormi e irreversibili: essere.

Impossibile ma indubitabile.

Essere, io sono.. questo fatto così concreto, evidente, di cui ero chiaramente a conoscenza anche prima - tutti sanno di esserci - ora affiorava con quel particolare sapore di spaesamento che avevo provato anni prima, da bambino, da ragazzo, finalmente non solo abbozzato, ma compiuto, come energia liberata, come fiume in piena che si riversasse nel mare.

Vibravo dello stupore più profondo che mai avessi vissuto.
E sentivo d’aver vissuto per quel momento, per quella consapevolezza.

Contemplai per giorni il sapore della scoperta di essere, sapore che, come cenere residua dal grande fuoco dello stupore che quella scoperta aveva accompagnato, mi faceva vibrare cuore e viscere in modo inquietante, però pieno di fascino premonitore d’altro ancora.

Pareva che l’essere si fosse spostato, che fosse slittato fuori dal suo posto normale perdendo la patina di scontentezza del suo essere.

Un giorno, con difficoltà, le parole osarono di decifrare quel sapore del cuore, per rendere servigio alla consapevolezza. Ne uscì qualcosa che aveva bisogno di lettere dissonanti: sr..assr...srd... msrd...str... assurdo… strano... mostruoso… impossibile…!

Stare essendo è strano, assurdo, mostruoso, impossibile - e perciò supremamente stupefacente - e questi significati ora premevano attraverso le mie viscere fino a prendere la forma e la vibrazione di pensieri e voci che mi pareva di star creando proprio allora.

Il fatto che il mondo sia mi apparve oltre ogni possibilità di ragione e capacitazione. Ecco cosa non mi tornava causando quella particolare sensazione di stranezza e spavento, come di fronte a qualcosa che non dovrebbe stare accadendo.
Che il mondo sia invece dell’infinitamente più semplice e legittimo nulla di mondo era (ed è) pazzesco!

Rimasi stordito dalla meraviglia e devo dire che non mi sono più riavuto: ogni volta che la mente si avvicina al baratro della piena consapevolezza d’essere, ne resta folgorata.

Scrivo queste righe all’età di sessantadue anni, ma il mio tempo si è fermato a quel metafisico pomeriggio.


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