Una decina d’anni fa, in settembre, partecipai ad un convegno internazionale di yoga che il mio maestro Gérard Blitz organizzava annualmente a Zinal, in Svizzera. Uno dei temi di quel convegno era “La musica sacra” e di giorno in giorno ascoltavamo canti di Milarepa da un lama tibetano, canti vedici da una straordinaria bambina, indigregoriani gallici da Reznikoff e così via.
Proprio durante l’esecuzione dei gregoriani nella chiesetta del paese, su nel coro dell’organo notai un bambino che, seduto sul pavimento di legno, ascoltava a occhi chiusi mantenendo per tutto il tempo una perfetta posizione della colonna vertebrale. Mi impressionò moltissimo e decisi che volevo conoscerlo. Così a cena mi sedetti al tavolo con lui ed i suoi genitori.
Il giorni seguenti facemmo passeggiate in montagna e devo dire che tra tutti i personaggi, maestri di yoga, di zen, docenti famosi, mistici, filosofi, che ho conosciuto o solo ascoltato durante i dieci anni che ho partecipato ai convegni di Zinal, il piccolo Alì (questo era il suo nome) è stato per me uno dei più significativi:
– Franco, vorrei chiederti una cosa…-
– Dimmi Alì –
– Io ho otto anni. Dov’ero dieci anni fa? –
E io venivo percorso da brividi…
Chissà dov’è ora il piccolo Alì e se crescendo le sue domande si sono spente?
E’ esattamente questo il nostro dramma: ad un certo punto smettiamo di porci le domande che si fanno i bambini e ci induriamo. Forse restare aperti al Mistero ci rende vulnerabili e l’adulto non se lo può più permettere?
Chi siamo noi? Perché esiste un universo, invece che nulla? Io ho quarantuno anni; dov’ero quarantadue anni fa? C’ero? Tra cento anni dove sarò? Cos’è questo universo, motivo di infinito stupore?
Un carissimo amico dice che gli capita spesso di svegliarsi in piena notte col cuore a mille perché “qualcosa” in lui ha realizzato che l’essere è IMPOSSIBILE, eppure sta accadendo! Ecco la nostra pazzesca condizione, motivo di stupore infinito.
Un lettore ci ha scritto che “Non si può restare sempre in uno stupore infinito… Coi piedi saldamente poggiati sulle nuvole”. Credo che il problema si restringa a quel “Non si può”. Forse che il piccolo Alì poteva evitare di porsi la sconcertante domanda? Forse che il mio amico può scegliere di non svegliarsi la notte immerso nello stupore più totale? Forse che possiamo scegliere quali sentimenti avere o di farli cessare a piacimento?
La vita fa di noi ciò che vuole. Ci fa pensare e sentire ciò che vuole.
Nessuno è padrone del prossimo pensiero che gli verrà in mente, né della prossima emozione… Né della prossima azione!
Se ci accade di accorgerci di esistere e che questo non è per nulla ovvio né scontato, ma che, anzi, è il vero, grande, continuo prodigio, allora ecco che torna il senso della poesia che ripropongo

Qual meraviglia soprannaturale
E qual miracolo è questo!
Tiro l’acqua dal pozzo, e porto la legna!
(P’ang-yun)

La vita continua, e il mio amico deve comunque lavorare e contribuire a mantenere la sua famiglia: cosa che adempie con responsabilità. Sembra che la vita voglia questo da lui. Esattamente come dal poeta mistico cinese di secoli fa.

Involucro di cicala,
scorza abbandonata;
umilissima!
E’ il Buddha? E’ Bodhidharma?
E’ un fiore di ciliegio o una foglia d’acero?
(Kobori Enshu)


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