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Essere, tempo, esistenza. Intervista a Franco Volpi

seconda parte
In occasione della nuova edizione di "Essere e Tempo" a cura del prof. Franco Volpi per i tipi di Longanesi, siamo andati a trovare il professore di filosofia dell'università di Padova, già ospite delle Vacances de l'Esprit 2005, per addentrarci nel pensiero di uno dei più grandi esponenti della filosofia occidentale del novecento.

parte 1 - parte 2


Domanda: Nella celebre intervista televisiva del 1969 Heidegger si rifà alla famosa prolusione "Che cos'è metafisica?" anche per gettare uno sguardo critico sulla società contemporanea, determinata a suo giudizio dal principio della soggettività moderna. Che cosa intende Heidegger per «soggettività»? E come intende superarla?

Risposta: L' intervista a Wisser è interessante non solo perché è una delle rare occasioni in cui Heidegger si è lasciato riprendere dalle telecamere, ma anche perché lì si vede come la questione dell’essere non sia affatto per lui un problema astratto, ma sia connessa con problemi fondamentali dell’uomo contemporaneo. Il quadro è profondamente mutato rispetto agli anni di Che cos'è metafisica?, e tuttavia il fatto che Heidegger si rifaccia alla conferenza del 1929 segnala che egli intende pensare in continuità con quel testo. È intervenuta la nuova attenzione per il fenomeno della tecnica moderna, che impone di modificare l'impianto trascendentale ancora troppo «soggettivistico» della prima filosofia heideggeriana. In fondo, sia in Essere e tempo sia in Che cos'è metafisica?, tutto ruota attorno all'esserci quale punto archimedeo da cui è generato e da cui dipende il senso delle cose. Già nella prolusione, il concetto di angoscia e l'esposizione dell’esserci al nulla mostrano come la generazione del senso da parte dell'esserci non stia del tutto a disposizione dell'esserci stesso, non provenga da un suo atto di consapevole e volontario conferimento, ma dipenda dalla situazione umorale in cui l’esserci si trova. Per pensare in modo radicale questa «gettatezza» dell’esserci, Heidegger è costretto ad abbandonare il primato quasi trascendentale dell’esserci e a compiere quel «salto» nell'essere e nella sua storia, che caratterizza la sua riflessione successiva. Da questa prospettiva, la tecnica, forma epocale del mondo moderno, gli appare come un destino assegnato all’uomo dall’essere. Rispetto a ciò l’uomo crede di essere un «soggetto sovrano», ma in realtà non lo è e non ha la possibilità di autosalvarsi. «Ormai soltanto un Dio ci può salvare», recita il titolo della celebre intervista concessa allo Spiegel e pubblicata alla sua morte. Chi oggi crede che l'uomo abbia nelle proprie mani la possibilità di salvarsi, non ha ancora capito la gravità della situazione. Pecca di «pelagianesimo», se così si può dire, ossia di quell’antica eresia che riteneva possibile salvarsi anche senza la grazia soprannaturale. In altri termini: non si rende conto che egli è già sempre calato in un mondo e in una storia di cui non dispone e a cui può solo cercare di adeguarsi. Questo orizzonte in cui noi stiamo, e che si sottrae alla nostra presa, Heidegger lo nomina con il termine più generale e indefinibile di tutti: l’«essere». Come comportarsi una volta riconosciutolo? C’è una virtù all’altezza delle sfide poste dalla tecnica e dal destino epocale in cui ci troviamo? Per Heidegger la virtù e la morale rimangono qualcosa di penultimo rispetto alle realtà ultime che la tecnica smuove. Non ha senso spostare questa o quella pedina sulla scacchiera, quando è l’intero tavolo da gioco che è stato ribaltato. Bisogna piuttosto fare un «passo indietro» e richiamare l'uomo ai limiti della sua finitudine: l’uomo è un problema senza soluzione umana.

Domanda: Ecco, questo fa tornare alla mente la questione della libertà, che nell'esistenzialismo, sicuramente in Sartre, è presente e fortemente avvertita. Sartre vede nella libertà un carattere costitutivo dell'esistenza, mentre Heidegger sembra distaccarsi da ciò. Afferma infatti che «lungi dall'essere l'uomo a disporre della libertà, è la liberta a disporre dell'uomo».

Risposta: Il concetto di libertà ha in Heidegger uno statuto particolare, perchè è un concetto metafisico su cui gravano tutte le precedenti stratificazioni semantiche, e che dunque va usato con molta cautela. Sicuramente Heidegger non condivide la tesi sartriana secondo cui l'uomo è condannato alla libertà. Per Sartre, l’uomo è quello speciale essere in cui l'esistenza precede e determina l'essenza: ciò significa che egli non ha una natura fissa, predefinita da una sua essenza, ma è ciò che decide di essere con la sua esistenza concreta. In questo senso, egli determina esistendo la propria natura e la propria essenza. Volendo, si può far risalire questa tesi niente meno che a Pico della Mirandola. Nella sua celebre orazione sulla dignità dell'uomo, Pico afferma che l’uomo si distingue da tutte le altre creature perché a lui Dio non ha dato un’essenza fissa, come a tutte le altre creature, ma lo ha lasciato libero di essere ciò che vuole. L’uomo è perciò un «camaleonte della natura», capace di diventare ciò che sceglie di essere, angelo o bestia. Alle soglie dell’età contemporanea Nietzsche affermerà che l'uomo è «un animale non ancora catturato», «non ancora definito». Quando in Essere e tempo Heidegger parla dell'esserci come di un «avere da essere», di un ente capace di progettarsi e di farsi carico del proprio « poter essere», sembra sostenere qualcosa di analogo alla libertà dell’esserci. Ma, per evitare ricadute nella terminologia della tradizione, egli evita di usare tale concetto preferendo espressioni «vergini» come «apertura» o «risolutezza» o «progetto». Un paio di anni dopo, nel saggio su  L'essenza del fondamento, fa invece un tentativo di usare la parola libertà con un valore positivo, intendendola non solo come «libertà da» ma anche come «libertà per». In alcuni corsi degli anni trenta, in particolare in quello su Kant del 1930 e in quello su Schelling del 1936, egli indugia a lungo sul concetto di libertà. E lo intende un fenomeno generato dalla coappartenenza di essere e uomo. Ossia: ciò che l'uomo può compiere nello spazio che gli è destinato dall'essere, è tutt'al più un piccolo ratto nei confronti dalla Lethe, della latenza e della ascosità in cui l'essere gli si sottrae. Ma quanto più crede di catturare, tanto più l'essere gli si sottrae. In questo spazio tra la volontà di catturare e l’inevitabile sottrazione, sta descritta e circoscritta la dimensione della libertà umana.

parte 1 - parte 2

A cura di Paolo Ferrante, Domenico Canzoniero, Fabio Negro.
Redazione Centro Studi ASIA

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