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04 Settembre 2007

Antologia di Spoon River

Letture consigliate...


Antologia di Spoon River
di Edgar Lee Masters, Einaudi 2005(*)
Traduzione di Fernanda Pivano
Prezzo: €11,50


Nascere e vivere in un paesino di poche centinaia di anime significa, camminando anni dopo nel piccolo cimitero, riconoscere la maggior parte delle tombe: ricordare i nomi, associarli a visi scomparsi e a vite più o meno lunghe, più o meno interessanti, conosciute più o meno da vicino; se si è più fortunati, vuol dire soprattutto vedere tutte quelle vite – e di rimando la propria –, tutte quelle relazioni di odio e amore ormai consumati, vederle come gli strani pezzi di un collage madreperlaceo, il cui riflesso scalda il cuore nella domanda: “Cos’è successo? Cos’è stato tutto questo? E cos’è ora?”. L’Antologia di Spoon River offre un’esperienza simile: intorno al 1915, ispirandosi all’Antologia Palatina, l’avvocato statunitense Edgar Lee Masters scrisse in forma di versi gli epitaffi di molti dei defunti di Petersburg e Lewistown, i due villaggi in cui trascorse infanzia e adolescenza; solo negli anni Sessanta, quando Fernanda Pivano (che fu la prima a tradurre in Italiano l’Antologia e a pubblicarla nel 1943 con l’aiuto di Pavese) si recò sulle rive del fiume Spoon in cerca del fantasma di Masters, questi cominciò ad essere lentamente riabilitato dagli abitanti dei due piccoli centri, inviperiti per le rivelazioni contenute nelle poesie… e forse un po’ delusi, nel vedere le vite dei cari scomparsi narrate tanto in breve, con parole così lapidarie.

E proprio in ciò sta la magia di questa raccolta: al di là dei giudizi sull’autore e la sua poetica (lo stesso Masters si diceva divertito dalle esagerazioni positive e negative dei propri critici), leggendo questi epitaffi si sperimenta una sottile meraviglia, accompagnata da un senso strisciante di stranezza. Nel vedere scorrere anni e anni in qualche breve verso, e piccole tragedie, e abitudini tenaci, e profondi affetti semplicemente nominati – benché spesso con parole piene di pathos –, si prova lo stesso stupore che talvolta caratterizza una chiacchierata con un vecchio amico che non si vedeva da tempo, in cui si raccontano “dieci anni in poche frasi”, come direbbe Guccini: non si può che constatare straniti che la travolgente intensità di desideri e speranze è semplicemente svanita, come un’ombra, e che nulla di ciò che ci è accaduto sembra ormai molto rilevante…

Una radicale perplessità può allora tradursi in parole: qual è il significato più autentico di vivere e morire?

La narrazione di Masters svela non tanto il brandello di esistenza di ognuno, perso ormai per sempre alla vita, quanto la forza più intensa che l’ha definito: voglia di rivalsa, rancore, desiderio di vendetta, brama di ricchezza, amore… vite irresistibilmente trascinate, in fondo, da non più di una o due di queste passioni; percorsi determinati da un obiettivo più o meno conscio, in cui ciascuno dei morti di Spoon River credette di riconoscere il senso del proprio esserci. Leggendo, tutto questo appare, in qualche modo, “troppo” per una vita sola, e “troppo poco” in una morte; eppure qualcosa è accaduto, qualcosa di grande, di cui fatalmente ci sfugge il significato.

Ne deriva una quasi nullità della poesia, proprio perché non narra che gli avvenimenti di una vita, tanto ammalianti nell’istante del viverli, tanto futili se guardati attraverso le orbite vuote della morte. La forma insipida di un essere umano, le sue passioni disseccate cui pure, talvolta, i poveri resti si ostinano ad aggrapparsi; tentativi di giustificarsi, rimpianti, o più semplicemente il racconto spoglio del morso fatale di un serpente, durante una delle tante battute di caccia: cos’è accaduto?

Le molte voci dell’Antologia invitano sovente il lettore a considerare la loro sorte, ad esprimere un giudizio che possa dar loro il sollievo di una risposta – e non è un caso che molte delle poesie siano formulate in guisa di domanda, più o meno retorica: come se, per quanto radicata, ogni forte convinzione si dovesse nutrire di infinite conferme, anche dopo la morte. Ed è il valore soggettivo di questa raccolta a renderla preziosa, la possibilità di leggere sulla propria personale vicenda la stessa assurdità, non priva di ironia, che avviluppa i racconti dei defunti di Spoon River; a partire da tale possibilità, ha senso per il lettore provare a scrivere il proprio epitaffio, sulla falsariga di quelli di Masters: al di là delle sue capacità artistiche, scoprirà un’occasione preziosa per guardare il proprio passaggio sulla Terra con uno sguardo davvero inconsueto (“…E io che andai a tutti i funerali/che ci furono a Spoon River, giuro che mai/ho visto la faccia di un morto senza pensare che pareva/qualcosa di lavato e stirato”. Op. cit., da La signora Kessler).

Un’altra opportunità di farsi attraversare dall’opera di Masters è quella, per gli amanti della canzone d’autore, di confrontare i suoi versi con quelli di De André, che nell’album Non al denaro non all’amore né al cielo scelse e riscrisse otto epitaffi dell’Antologia, chiedendo poi a Nicola Piovani di musicarli; chiedersi cosa aggiunga e cosa tolga la musica a testi tanto peculiari, e cosa apportino le modifiche deandreane ai versi originali, è interessante e utile per non subire passivamente l’arte, ma perché davvero ci doni quella linfa di cui si nutre la nostra più profonda intelligenza.

A cura di Linda Altomonte
Centro Studi ASIA

(*) A dispetto delle innumerevoli edizioni presenti in commercio (ben ottanta dal 1943!), consigliamo l'edizione Einaudi 2005: la traduzione di Fernanda Pivano - come è possibile notare confrontandola col testo inglese a fronte - risulta particolarmente espressiva, capace di evocare i ritmi ed i significati originali, pur restando estremamente fedele alle parole di Masters.

 

 


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