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12 Novembre 2007

I limiti della logica

Argomento: Filosofia, Matematica

La logica formale rappresenta il nucleo del rigore scientifico: le scienze esatte utilizzano la matematica e la matematica può in linea di principio essere tradotta nel simbolismo della logica formale. Il dibattito sui fondamenti della matematica, avvenuto fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX riguardava in gran parte proprio il rapporto fra logica e matematica, e l’ancora attuale dibattito che riguarda l’intelligenza artificiale e il rapporto mente-cervello non può fare a meno di confrontarsi con i due teoremi di incompletezza dimostrati da Gödel. Ecco perché una riflessione sui limiti della logica non riguarda solo la specifica disciplina, ma coinvolge la natura della matematica, della scienza ed anche del pensiero umano. In queste pagine riportiamo una sintesi di alcune nozioni fondamentali di logica formale e qualche elemento del ricco dibattito intorno al tema dell’intelligenza artificiale, per evidenziare, infine, quello che può essere considerato un limite della logica, in qualche modo già noto, ma forse ancora non abbastanza evidenziato.

Qualche cenno storico

Il primo filosofo che si sia posto il problema di analizzare le regole per pensare in modo corretto è stato Aristotele, che ha definito i postulati fondamentali della logica; data una proposizione A:

  1. principio d’identità: A è uguale a A;
  2. principio di non contraddizione: non è possibile che valgano contemporaneamente A e non-A;
  3. principio del terzo escluso: o vale A o vale non-A.

La logica aristotelica si sviluppa tramite il metodo dei sillogismi: forme proposizionali che garantiscono la veridicità delle conclusioni a partire dalla veridicità delle premesse. Nel XIX secolo, tuttavia, il matematico Gottlob Frege si rende pienamente conto dei limiti di una logica che non riesce neanche a descrivere il sistema della geometria euclidea, e si inventa, così, una logica del tutto nuova e molto più potente. La logica di Frege ha diverse caratteristiche:

  • è simbolica: non utilizza il linguaggio naturale, che rischia di essere troppo ambiguo nella definizione dei significati e nelle regole grammaticali, ma un simbolismo inventato dallo stesso Frege;
  • si basa sul concetto di insieme, che viene definito, in modo abbastanza ingenuo, come tutti gli elementi che condividono una determinata proprietà;
  • viene realizzata con un obiettivo ben preciso: formalizzare tutta la matematica, in modo da dimostrare come tutte le proposizioni matematiche possano essere ricondotte ad affermazioni logiche, e quindi universalmente condivisibili. Frege, infatti, è convinto che le tutte proposizioni della matematica siano analitiche, siano, cioè, vere a priori, senza nessun rierimento al mondo empirico.

Il suo programma, di ricondurre la matematica alla logica, dandole, così, un più solido fondamento, viene chiamato logicista.

Quando Frege sta per pubblicare il secondo e conlusivo volume della sua opera, riceve una lettera dal giovane Bertrand Russell, che gli dimostra come il suo sistema porti irrimediabilmente ad una contraddizione. Si possono, infatti, dividere tutti gli insiemi in due famiglie: gli insiemi che contengono se stessi (come l’insieme di tutti gli insiemi, o l’insieme di tutti gli enti matematici, ecc.) e gli insiemi che non contengono se stessi. Ora consideriamo l’insieme degli insiemi che non contengono se stessi, e chiamiamolo X; X appartiene a se stesso? Per come X è definito, se X appartiene a se stesso, allora non può appartenere a se stesso, e se X non appariene a se stesso, allora deve appartenere a se stesso. Questa celebre antinomia è chiamata l’antinomia di Russell, ed è stata sufficiente per mettere in crisi definitivamente il programma logicista di Frege, poiché dimostra che il concetto di insieme, inteso in senso intuitivo, non può essere utilizzato per fondare la matematica. Lo stesso Russell cercherà di sviluppare il programma logicista, ma senza successo. Un’altra possibilità di dare un fondamento alla matematica, invece, viene portata avanti, tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, da David Hilbert con il programma formalista, in base al quale egli vuole esprimere la matematica come un sistema assiomatico formale. I sistemi assiomatici possono essere essenzialmente di due tipi: materiali o formali. Un esempio di sistema assiomatico materiale è la geometria euclidea: a partire da cinque assiomi o postulati, Euclide ricostruisce tutta la geometria:

1. Dati due punti, per essi passa sempre una linea retta.

2. Un segmento può essere prolungato su entrambi gli estremi illimitatamente.

3. Si può descrivere un cerchio di centro e raggio arbitrari.

4. Tutti gli angoli retti sono uguali fra loro.

5. Se in un piano due rette sono incontrate da una terza retta, e questa forma con le prime due, nella medesima parte, angoli interni la cui somma è minore di due angoli retti, allora le due rette si incontrano dalla stessa parte.

I postulati esprimono le proprietà degli enti fondamentali, o primitivi, che formano il sistema che si vuole descrivere, la geometria euclidea in questo caso. A partire da essi si deducono logicamente altre proposizioni che rappresentano i teoremi del sistema. Osserviamo che i postulati non si dimostrano, ma sono accettati in quanto evidenti di per sé. Un sistema assiomatico formale, invece, si distingue da quello materiale perché i termini primitivi non sono definiti esplicitamente; se la geometria di Euclide parla di punti, rette e piani, quella di Hilbert parla di oggetti astratti, che in base alla loro proprietà possono essere identificati come punti, rette e piani, ma anche con altri oggetti matematici.


Un esempio di sistema assiomatico formale è il seguente:

1. se A ≠ B allora A ◊ B oppure B ◊ A;

2. ¬A◊A

3. se A ◊ B e B ◊ C, allora A ◊ C.

Notiamo che i tre assiomi riguardano simboli che non hanno ancora un significato ben preciso: A, B e C, e la relazione binaria ◊ (mentre supponiamo che il simbolo “¬” voglia dire “non”, e “≠” significhi “diverso”). Gli assiomi rappresentano una definizione implicita dei simboli in essi contenuti, ma per dare ai simboli un significato, è necessaria un’interpretazione, che non è sempre univoca. Nel nostro caso, ad esempio, A, B e C possono essere numeri relativi, cioè interi positivi o negativi, e il simbolo ◊ può rappresentare la relazione >. Oppure A, B e C quadrati di varie dimensioni, e ◊ è la relazione che significa “essere contenuto”. In tutti e due le interpretazioni si può facilmente vedere che i tre assiomi sono veri. Nel sistema assiomatico materiale il significato è direttamente presente negli assiomi; in quello formale gli assiomi rappresentano solamente la struttura logica del sistema; il significato si ha quando i termini primitivi del sistema vengono interpretati. Quando tutto un sistema assiomatico formale viene interpretato, allora si ha un modello.

In passato l’essenza di un sistema matematico veniva vista nella combinazione tra forma (la struttura logica) e contenuto (il significato che gli veniva attribuito). Il punto di vista moderno, invece, è che un sistema matematico è sostanzialmente una pura struttura logica, cui si può annettere un significato o meno[1].

Questo passaggio ha avuto conseguenze enormi; in un sistema assiomatico materiale, ad esempio, può essere descritta solo una geometria: quella reale, del mondo che ci circonda, poiché gli assiomi devono essere riconosciuti come veri. In un sistema assiomatico formale, invece, si possono inventare nuove e diverse geometrie rispetto all’intuitiva geometria euclidea, poiché non è importante quanto il sistema sia vero, ma piuttosto quanto sia coerente. Nelle geometrie non euclidee possono valere proprietà per nulla intuitive; nella geometria iperbolica, infatti, per un punto esterno ad una retta possono passare infinite distinte rette parallele alla retta data, mentre nella geometria riemanniana non ne passa nessuna, e nella geometria euclidea c’è un’unica parallela. Quale, fra tutte queste geometrie, sia quella che descrive il nostro spazio (o il nostro spaziotempo), è una questione che non riguarda la geometria in senso stretto, ma piuttosto la fisica: è una questione principalmente sperimentale. I sistemi assiomatici formali sono composti da due parti strettamente connesse: la sintassi e la semantica. La sintassi rappresenta l’insieme dei simboli e delle regole necessarie per sviluppare le dimostrazioni dei teoremi: tramite i simboli si possono costruire le proposizioni; se una proposizione è dimostrata si chiama teorema, se si pensa che sia dimostrabile, viene chiamata congettura[2]. La semantica, invece, si occupa dei significati dei simboli: ogni simbolo di per sé non ha alcun significato; per averne deve essere interpretato, deve essere cioè associato ad un ente geometrico o matematico che fa parte del contesto che è stato assiomatizzato. Un punto molto importante relativo a questa distinzione, è che si può parlare di verità solo nell’ambito della semantica; la sintassi rappresenta l’aspetto del calcolo formale: una proposizione che può essere dimostrata a partire da un insieme di assiomi sarà detta valida, ma non vera. Solo una proposizione della matematica o della geometria può essere considerata vera o falsa, all’interno del contesto di riferimento. A questo punto, rispetto al programma di Hilbert di fondare la matematica, si pongono due questioni essenziali:

  • la completezza: affinché un sistema formale possa ritenersi adeguato, esso deve essere in grado di dimostrare tutte le proposizioni vere che possono essere scritte con il suo simbolismo; un sistema formale per il quale la dimostrabilità (proprietà sintattica) sia equivalente alla verità (proprietà semantica), si dice completo.
  • la coerenza: una caratteristica essenziale di un sistema formale è la coerenza, cioè l’impossibilità di derivare una proposizione e il suo opposto; anche perché, se un sistema non è coerente, al suo interno si possono dimostrare tutte le proposizioni, e quindi diventa sostanzialmente inutile.

Nel 1931 Kurt Gödel dimostra sia l’incompletezza di qualunque sistema formale che riesca ad esprimere l’aritmetica, sia l’impossibilità che un sistema formale coerente riesca a dimostrare la propria coerenza. Più precisamente Gödel dimostra che un qualunque sistema formale coerente che possa esprimere l’aritmetica, possiede almeno una proposizione che è vera e nello stesso tempo non dimostrabile. Quindi la verità rappresenta un ambito più ampio della dimostrabilità: non tutte le proposizioni vere della matematica possono essere dimostrate. Inoltre, un sistema formale di questo tipo non può dimostrare, al proprio interno, una proposizione che affermi la propria coerenza. In questo modo il programma di Hilbert, con delusione di alcuni, trova la sua fine. Altri, invece, hanno trovato soddisfazione nei teoremi di incompletezza di Gödel:

Un eventuale successo del programma avrebbe stabilito la completezza della matematica reale, il che vuol dire anche della sua chiusura: “Inutile discutere altri assiomi, nulla ci è sfuggito.” Inoltre il programma avrebbe portato a una meccanizzazione completa della matematica. [...] Quello che i formalisti hanno in mente è un modello meccanico e meccanicistico della matematica (e del mondo) nel quale tutto potrebbe essere ricondotto a giochi simbolici effettuati da un calcolatore gigantesco, L’idea che si profila dietro tale prospettiva è sgradevole; d’altronde il trattamento puramente formale del linguaggio, che ne dimentica il contenuto, si chiama burocrazia nel linguaggio corrente. Piuttosto che dispiacersi che Gödel ci abbia allontanati dalla soluzione finale, rallegriamoci per gli spazi da lui lasciati alla creatività[3].

I matematici, comunque, hanno continuato tranquilli il loro lavoro: i teoremi di Gödel hanno certamente influenzato più le riflessioni filosofiche sulla matematica o sull’intelligenza artificiale, che lo sviluppo della ricerca matematica.

2 La logica formale

Analizziamo più in dettaglio un sistema assiomatico formale; esso ha bisogno di[4]:

1. un insieme di simboli, che rappresentano l’alfabeto del linguaggio formale;

2. un insieme di proposizioni realizzate con i suddetti simboli, che rappresentano le formule ben formate, cioè le formule che sono correttamente costruite con il linguaggio a disposizione[5];

3. un insieme di formule ben formate chiamate assiomi;

4. un insieme finito di regole di deduzione (o di inferenza), che permettano di dedurre formule ben formate come diretta conseguenza di altre formule ben formate.

I simboli sono del tutto arbitrari; le formule ben formate sono formule che sono costruite in modo da avere senso all’interno del linguaggio; ad esempio in matematica “2 ≠ 3” ha senso, mentre non lo ha “< x 2”. Gli assiomi sono un insieme di formule ben formate che rappresentano le formule iniziali da cui far partire la catena delle deduzioni, in modo da arrivare ad ottenere le altre formule ben formate che sono dimostrabili. Gli assiomi hanno un valore in qualche modo convenzionale; si può scegliere un insieme di assiomi o un altro a seconda della convenienza. Le regole di deduzione permettono di passare dagli assiomi ad altre formule ben formate, e poi da queste ad altre formule ancora, e così via; esse hanno quindi un ruolo essenziale nello sviluppo del processo della dimostrazione. Una delle regole di deduzione più diffusa è il modus ponens:

A

A→B
−−−−

B

data A e se A implica B, allora segue direttamente B; dove A e B sono due formule ben formate.

E’ interessante osservare che il modus ponens, in quanto regola di deduzione, ha la caratteristica di essere molto ragionevole; infatti, lo si pone alla base di tutto il calcolo logico per la sua indubitabilità, poiché è difficile anche solo ipotizzare che non sia corretto. Questa precisazione è molto importante: si sceglie il modus ponens come regola di deduzione perché la consideriamo corretta,

ma non abbiamo una dimostrazione della sua corretezza, né argomenti che non la presuppongano. In altri termini, se qualcuno non fosse convinto dalla validità del modus ponens, non si potrebbero portare prove a suo favore che non lo utilizzino già; e d’altra parte, qualunque ragionamento si volesse proporre per metterlo in dubbio, bisognerebbe utilizzarlo. Alla base della logica formale, quindi, c’è una regola di deduzione che viene accettata in quanto è considerata intuitivamente corretta; si potrebbe sostituire al modus ponens un’altra regola di deduzione, ma abbiamo comunque bisogno di un criterio di inferenza che in qualche modo preceda la formalizzazione logica. Più in generale

Il matematico non dovrebbe mai dimenticare che l’autorità ultima è la sua intuizione e così, nel caso di un conflitto irriducibile fra l’intuizione e un sistema logico, egli dovrebbe abbandonare la logica. Può provare altri sistemi logici, e forse trovarne uno di suo gradimento, ma sarebbe difficile cambiare l’intuizione[6].

Forse questa riflessione lascerà perplesso chi ha osservato come l’intuizione tragga spesso in inganno e non è un criterio sufficientemente affidabile nell’ambito cognitivo; tuttavia qui si vuol solo osservare come nella ricerca di una struttura logica che sia il più possibile rigorosa, ci piaccia o meno, non possiamo completamente fare a meno dell’intuizione, che dunque rimane un riferimento fondamentale, anche se ridotto al minimo. Come anche suggerisce Penrose:

Mi pare, in ogni caso, una chiara conseguenza del ragionamento di Gödel che il concetto di verità matematica non possa essere racchiuso in nessun schema formalistico. La verità matematica è qualcosa che va al di là del mero formalismo. Questa nozione è forse già chiara di per sé anche senza il teorema di Gödel. Come dobbiamo infatti decidere quali assiomi o regole procedurali adottare in ogni caso quando cerchiamo di costruire un sistema formale? Nel decidere sulle regole da adottare dobbiamo sempre farci guidare dalla comprensione intuitiva di ciò che è “evidentemente vero”, dati i “significati” dei simboli del sistema. [...] “Evidenza” e “significato” sono concetti di cui ci sarebbe ancora bisogno anche senza il teorema di Gödel[7].

Riprenderemo in seguito questi concetti.

3 L’intelligenza artificiale

Verso la metà degli anni trenta, Alan Turing inventa la macchina di Turing: un modello teorico di macchina automatica per eseguire qualunque tipo di calcolo. Grazie a questo modello Turing risolve il cosiddetto Entscheidungsproblem, il problema della decisione, proposto da Hilbert nel 1900: se sia possibile realizzare un algoritmo che permetta di risolvere ogni tipo di problema matematico appartenente ad un ambito ben definito; più precisamente, se un algoritmo universale possa determinare la validità (o dimostrabilità) di una qualsiasi formula di un sistema formale che esprima l’aritmetica. La soluzione trovata da Turing, e indipendentemente anche da Alonzo Church, afferma che un tale algoritmo non può realizzarsi. Se il teorema di Gödel aveva sancito l’impossibilità di ridurre il concetto di verità a quello di dimostrabilità, la tesi di Church-Turing determina l’impossibilità di realizzare un algoritmo che possa determinare la verità o falsità di una proposizione matematica. Appare sempre più chiaramente che la matematica, oltre a non poter essere compresa completamente in un sistema formale, non può essere neanche resa analoga ad un puro meccanismo. Dopo le teorizzazioni di Turing, nascono i primi computer, e si inizia a parlare di intelligenza artificiale: un computer può simulare una mente umana? Che differenza c’è fra una mente ed un computer? il cervello può essere assimilato ad un computer? Lo stesso Turing nel 1950 propone un test, che dovrebbe distinguere un computer da un essere umano; secondo il test, un computer ed un essere umano si nascondono alla vista di un interrogante, che tramite le risposte che riceve deve distinguere l’uno dall’altro. Se il computer riesce, tramite le sue risposte, a simulare di essere umano ingannando l’interrogante, allora si dovrebbe concludere che non c’è alcuna differenza fra quel computer ed un essere umano. Ad oggi non ci sono macchine che abbiano passato del tutto un test di questo tipo, ma al di là della effettiva realizzazione di un computer che sia in grado di pensare come un uomo, il dibattito se ciò sia in linea di principio possibile, è molto vivo. Nel 1961 Lucas scrive un articolo8 nel quale utilizza il teorema di Gödel per dimostrare che la mente non può essere considerata una macchina. Lu cas definisce una macchina come qualcosa di completamente determinato dalla struttura iniziale e dalle informazioni in entrata, alle quali viene successivamente sottoposta; in questo senso una macchina non ha nessuna possibilità di agire in modo autonomo. Una macchina così definita si comporterà in modo del tutto deterministico; si può anche rendere la definizione un po’ più elastica supponendo che la macchina abbia anche la possibilità di una scelta casuale fra un numero finito di opzioni, che comunque non devono portare a situazioni inconsistenti. Ciò che conta, ai nostri fini, è che queste macchine siano programabili in modo tale che possano esprimere i teoremi di un sistema formale:

Determinando, così, le nostre regole come regole di inferenza, noi avremo una sequenza di formule dimostrate, ognuna delle quali è stata scritta in base a qualche regola di inferenza che è stata applicata ad una o più formule precedenti (a parte, chiaramente, per le formule iniziali, che sono presupposte, in quanto rappresentano le assunzioni iniziali poste all’interno del sistema). Le conclusioni che saranno prodotte dal sistema come formule vere, corrisponderanno, quindi, ai teoremi che possono essere dimostrati nel corrispondente sistema formale[9].

Il nucleo del ragionamento di Lucas è il seguente: qualunque proposizione la macchina sia in grado di dimostrare, in quanto essa simula un sistema formale non contraddittorio, per il primo teorema di Gödel esisterà una proposizione che è vera e che la macchina non può ottenere. Ciò significa che la macchina può rappresentare una parte di mente, ma non la mente nel suo complesso, poiché rimane sempre fuori dalla portata della macchina almeno una proposizione che la mente comunque riconosce essere vera. Si potrebbe modificare la macchina introducendo direttamente le proposizioni di Gödel, ma

Anche se aggiungiamo al sistema formale l’infinito insieme di assiomi che consiste nelle successive formule di Gödel, il sistema che si ottiene è ancora incompleto, e contiene una formula che non può essere provata-nel-sistema, sebbene un essere razionale può, rimanendo fuori dal sistema, riconoscere che è vera[10].

Una delle argomentazioni più interessanti contro la tesi di Lucas, è l’osservazione che se comunque il teorema di Gödel è formalizzabile - e di fatto lo è - allora si può comunque costruire una macchina che lo dimostri. E vero che anche in questo caso si può trovare un’altra proposizione che è vera senza essere dimostrabile, ma si può modificare la macchina precedente in modo che sia in grado di derivare formalmente anche quest’ultima proposizione; e si può andare ancora avanti così. In altre parole, il fatto di usare una dimostrazione per evidenziare i limiti di un sistema formale, non esclude che la nostra mente sia un sistema formale, poiché un sistema formale opportuno potrebbe comunque raggiungere tutti i risultati dimostrati.

Secondo Webb, questo

è il problema principale che l’anti-meccanicista deve affrontare: proprio quando i ragionamenti che egli utilizza nelle sue argomentazioni diventano sufficientemente efficaci da essere convincenti, allora accade che una macchina può simularli. In particolare ciò implica che il nostro stesso applicare il teorema di Gödel a qualsiasi macchina -per concludere che le macchine non possono simulare la nostra mente -può essere in realtà simulato da una macchina. Quindi qualsiasi conclusione di questo genere deve fallire, oppure dovremo concludere che alcune macchine non possono essere simulate da nessuna altra macchina! In breve, gli argomenti anti-meccanicisti o risultano inefficienti, oppure sono inadeguati a mostrare che colui che li propone non è una macchina[11].

Se si vuole dimostrare che la mente non può essere simulata da una macchina, bisogna trovare una qualche proposizione che sia vera ma non dimostrabile da una macchina; ma per mostrare con certezza che tale dimostrazione sia vera, è necessario comunque esprimerla come prodotto di un ragionamento rigoroso, e dunque formalizzabile. Ne segue che è sempre possibile costruire una macchina che simuli tale ragionamento, e non è comunque possibile escludere che i nostri pensieri possano emergere da un sistema formale. La replica di Lucas è che

il meccanicista è scettico rispetto alle affermazioni del mentalista a meno che quest’ultimo non produca una descrizione di come egli farebbe qualcosa che una macchina non può fare: se questa descrizione non è disponibile, egli rimane scettico; se è disponibile, la utilizza come base per programmare una macchina che sia in grado di replicarla. La posizione meccanicista [...] non si può scardinare ma non è convincente. Io non posso provare al meccanicista che può essere fatto qualcosa che una macchina non può fare, poiché egli ha ristretto ciò che considera una prova in modo tale che solo ciò che una macchina è in grado di realizzare è in assoluto realizzabile. Ma non tutti i meccanicisti sono così limitati. Molti meccanicisti e molti mentalisti sono esseri razionali che si chiedono se alla luce della scienza moderna e della cibernetica, il meccanicismo è o non è vero. Essi non hanno chiuso le loro menti così da ridefinire come prova solo le conclusioni che possono essere raggiunte in modo meccanico. Essi possono riconoscere in se stessi il momento in cui si coglie la comprensione di qualcosa, anche se nessun programma può essere scritto per dare ad una macchina una analoga comprensione[12].

E’ vero che cogliamo la differenza fra la nostra comprensione di un argomento e la sua deduzione formale da parte di una macchina, così come è diverso inventare un nuovo risultato matematico, ad esempio, rispetto al riproporlo tramite una macchina programmata ad hoc; tuttavia è facile pensare alla replica di un meccanicista, che potrebbe sempre chiedere per quale motivo si debba escludere che dietro tutte le attività mentali umane non ci sia un sistema formale molto complesso. Di fatto, nel momento in cui si riconosce come rigoroso solo ciò che è formalizzabile, allo stesso tempo si elimina ogni differenza fra l’uomo e la macchina; e quindi, con queste premesse, sembra impossibile arrivare ad una conclusione opposta.

4 I limiti della logica

Portandone all’estremo le potenzialità, Gödel ha mostrato i limiti di un sistema logico formale: se è consistente, esso è anche intrinsecamente incompleto. Un altro modo per trovare i limiti di un sistema formale è quello di analizzarne le basi. Abbiamo già osservato come esso sia composto di vari elementi: un alfabeto, formule ben formate, assiomi ed una regola di inferenza. I primi tre elementi sono abbastanza convenzionali, nel senso che, ad esempio, si possono anche modificare gli assiomi o i simboli utilizzati nel sistema; ma la regola di inferenza non può essere scelta in modo convenzionale. Ci sono diverse regole di inferenza, e noi abbiamo scelto il modus ponens, ma quanto diremo relativamente al modus ponens può essere riportato a qualunque altra regola di inferenza. Il modus ponens rappresenta la formalizzazione di una modalità di ragionamente tanto elementare quanto convincente: se vale una proposizione A, e se da A si può dedurre un’altra proposizione B, allora possiamo concludere che vale B. Il modus ponens permette di procedere in una dimostrazione, passando da una proposizione ad un’altra con la certezza che lo sviluppo del calcolo formale sia corretto; nel modus ponens, cioè, noi poniamo la nostra idea di ragionamento corretto. Da dove deriva, tuttavia, questa idea di correttezza se non da un’intuizione, o comunque da un’evidenza? Alla base del modus ponens c’è un’evidenza, e alla base della logica formale c’è il modus ponens, quindi alla base della logica formale c’è un’evidenza, l’evidenza che ci permette di affermare che un ragionamento è corretto, che permette al matematico di accettare un dimostrazione come sufficientemente rigorosa. Qui iniziano le obiezioni; si potrà dire: la certezza della correttezza del modus ponens deriva dal fatto che la nostra mente funziona come un sistema formale; tuttavia si può rispondere che una regola di inferenza precede un sistema formale, non lo segue. Supponiamo che il modus ponens (MP) derivi da un sistema formale F; alla base di F ci dovrebbe essere una regola di inferenza analoga a MP; e dunque bisognerebbe presupporre MP per derivare MP, ma questa non è una dimostrazione: è un circolo vizioso, alla base del quale ci deve essere comunque MP come punto di partenza.

Il modus ponens, quindi, viene considerato così corretto da essere posto alla base della logica formale, ma allo stesso tempo non può essere il risultato di un calcolo formale; in questo senso diciamo che la correttezza del modus ponens è un’evidenza: perché non può essere trasferita a nient’altro di differente da sé. Un’altra obiezione può essere che se alla base della logica formale c’è un’evidenza, una sorta di intuizione originaria, poiché la storia del pensiero ci ha mostrato che le idee che ci appaiono “chiare e distinte” spesso in seguito vengono riconosciute false, allora la stessa logica formale rischia di perdere quel grado di certezza che la caratterizza. Qui si può concordare in generale con questa osservazione, e infatti le idee di per sé evidenti sono utilizzate il meno possibile in un processo logico; nello stesso tempo bisogna però riconoscere che non se ne può fare totalmente a meno. Comunque nessuno ha mai ragionevolmente messo in discussione il modus ponens, ed una volta riconosciuta una regola di inferenza, è possibile costruire un sistema formale dove l’intuizione può non avere più un ruolo determinante. La logica, d’altra parte, non nasce dal nulla, ma da un raffinamento progressivo della capacità dell’uomo di cogliere la correttezza di un ragionamento o di una connessione causale. Una conseguenza delle osservazioni compiute finora è, quindi, che la totalità del pensiero non può essere il prodotto di un sistema formale: almeno un’intuizione iniziale non può derivare da una struttura meccanica sottostante, e non può essere spiegata tramite un formalismo che è, invece, ad essa conseguente. Argomentare a favore del modus ponens significa presupporlo; argomentare contro il modus ponens significa lo stesso presupporlo. Dunque il modus ponens precede ogni argomentazione, poiché ogni argomentazione si basa su di esso; nello stesso tempo lo riconosciamo valido, e dunque questo riconoscimento precede ogni argomentazione: in questo senso diciamo che l’accettazione del modus ponens deriva da un’evidenza e non può essere riconducibile a qualcosa d’altro. Se si crede che tutti i nostri pensieri derivano da un sistema formale, bisognerebbe spiegare da dove deriva la regola di inferenza che si trova alla base di questo sistema formale. Per rafforzare le nostre conclusioni consideriamo il seguente ragionamento per assurdo: supponiamo di essere un sistema formale; nello stesso tempo, se vale una proposizione A e da A segue B, siamo tutti d’accordo che allora vale anche B, mentre nessuno sosterrebbe che vale non-B. Quindi se siamo un sistema formale non riconosciamo come vere tutte le proposizioni, ma sappiamo distinguere un’inferenza corretta da una non corretta. Ma ciò prova che saremmo un sistema formale coerente, poiché in un sistema formale non coerente potremmo dimostrare qualunque proposizione. Tuttavia, per il secondo teorema di incompletezza di Gödel, arriveremmo ad una contraddizione poiché saremmo un sistema formale coerente che dimostra di esserlo. Ne segue necessariamente che l’ipotesi di partenza non è corretta, e quindi non possiamo essere un sistema formale.

Conclusioni

Le riflessioni che abbiamo sviluppato conducono alla conclusione che il pensiero non è completamente riconducibile ad un sistema formale; quali possono essere le conseguenze di ciò? Da un certo punto di vista la logica non viene minimamente intaccata, nel senso che rimane comunque lo stesso strumento di analisi rigorosa che è sempre stata; anche il suo ambito di azione viene solo minimamente ridimensionato, in quanto non rientra nella sua capacità descrittiva solo una piccola, anche se significativa, parte dell’attività della mente. Le conseguenze più interessanti, invece, riguardano le possibilità di apertura a qualcosa di altro rispetto al formalismo e al puro calcolo. Se una parte della nostra mente non può essere descritta dalla logica formale, allora sarà necessario utilizzare altri strumenti di analisi, che a priori non possano essere riducibili ad un sistema formale. In questo senso una fenomenologia rigorosa potrebbe essere uno strumento per indagare gli ambiti del mentale che sembrano sfuggire ad una modelizzazione totalmente oggettivante. Questo sarebbe un modo per estendere il significato di scienza, oppure per affiancare altre metodologie di indagine alla scienza intesa in modo tradizionale.


Note:
[1] R. Trudeau, La rivoluzione non euclidea, Bollati Borighieri, 1991, p.181.

[2] Ad esempio “I numeri primi sono infiniti” è un teorema, poiché si può dimostrare facilmente, ma la cosiddetta congettura di Goldbach, secondo la quale ogni numero pari può essere espresso come somma di due numeri primi, è una proposizione ancora non dimostrata.

[3] J.-Y. Girard, Il sogno del segno o il fallimento del riduzionismo, in E. Nagel e J.R. Newman, La prova di Gödel, Bollati Boringhieri, 1992, pp. 119-120.

[4] Si veda A.G. Hamilton, Logic for Mathematicians, Cambridge University Press, 1988, p. 27 e seguenti.

[5] Questo punto può anche essere sostituito da regole per costruire formule ben formate.

[6] J.B. Rosser, Logic for Mathematicians, McGraw-Hill, 1953, p.11; citato in R. Trudeau, op. cit., p. 24.

[7] R. Penrose, La mente nuova dell’imperatore, Rizzoli, 2000, pp. 154-155.

[8] J.R. Lucas, Minds, machines and Gödel, Philosophy, 36, 1961, pp. 112-127.

[9] J.R. Lucas 1961, op. cit., p. 115.

[10] J.R. Lucas 1961, op. cit., p. 117.

[11] J.C. Webb, Mechanism, Mentalism and Metamathematics; An Essay on Finitism, Dordrecht, 1980, p.232; citato in J.R. Lucas, Minds, Machines and Gödel: a Retrospect, intervento letto alla Turing Conference, Brighton, 6 aprile 1990.

[12] J.R. Lucas 1990, op. cit..

L'immagine iniziale rappresenta una tavoletta sumerica, Shuruppak, 2650 a.C. circa
fonte: fisicamente.net


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