Il muro di censura alzato dalla Cina nei confronti delle proteste e delle violente repressioni contro il popolo tibetano, vittima da 60 anni di un "genocidio culturale", è sotto gli occhi di tutti. Tutti noi sappiamo che qualcosa sta accadendo in Tibet e che l'assenza totale di informazioni, l'allontanamento dei giornalisti internazionali e l'ostinato appello al diritto di autodeterminazione dello stato cinese da parte del Presidente Hu Jintao, sono presagi di qualcosa di terribile che possiamo solo immaginare, ricostruire sui fatti del passato, sulle violazioni dei diritti umani denunciate ogni anno da Amnesty International e le altre ONG umanitarie.
Così mentre i giornali cinesi riportano di trionfali accoglienze della fiaccola Olimpica e di qualche arresto di attivisti tibetani a Londra (vedi il Nanfang Daily dell'8 aprile), o addirittura di proteste della comunità cinese a Melbourne per le distorsioni dei media sugli scontri in Tibet (vedi China Daily), le notizie che trapelano da Lhasa lasciano supporre che in Tibet si stia consumando una repressione di sistematica e inumana brutalità ai danni di un popolo mite, profondamente religioso e pacifista. Ma, ovviamente, su queste basi non si possono lanciare accuse o inviare aiuti e osservatori umanitari. C'è bisogno di prove, di dati certi per sostenere un'azione diplomatica e umanitaria che abbia un minimo di speranze di riuscire ad allentare la stretta morsa del gigante cinese che sta asfissiando il popolo tibetano. Come ottenere queste informazioni? Come provare le (presunte) responsabilità del governo cinese?
Un modo forse c'è e ce lo ricorda Letizia Gabaglio su Galileo.
Come è avvenuto per il Darfur nel 2004, si potrebbero usare i satelliti in orbita attorno alla Terra per rompere il muro di censura e avere dati certi sulla situazione nell'altopiano tibetano. Con un preavviso di 48 ore si potrebbero ottenere foto con un dettaglio sufficiente a individuare persone in movimento o fare rilievi di tipo radar sui danni a edifici e al territorio con un margine di errore di 50 cm.
Si tratterebbe in sostanza di usare quelle tecnologie di solito al servizio dello spionaggio militare o delle strategie di un controllo dal sapore orwelliano, per ristabilire la verità e rendere giustizia al popolo tibetano.
Se la tecnologia c'è, ciò che manca allo stato attuale è la richiesta di un organismo internazionale che legittimi il rilievo e la diffusione delle immagini satellitari anche contro la volontà delle autorità che governano il territorio. La richiesta potrebbe venire da Human Rights Watch che si era già attivata per il Darfur, oppure da altre ONG come Amnesty o Emergency. Anche se un'iniziativa di questo genere spetterebbe in primo luogo all'ONU. Considerato però che la Cina è membro permanente del Consiglio di Sicurezza, il Grande Fratello avrà bisogno di qualcuno che vive in prima persona il valore autentico della fratellanza per diventare strumento di una giustizia che dall'alto sorveglia sui nostri incerti destini.
Segnale da http://www.galileonet.it/primo-piano/9729/satelliti-contro-la-censura