asia
23 Ottobre 2008

In ricordo di Mario Rigoni Stern

In poche scarne parole dello scrittore asiaghese morto l'estate scorsa il desolante punto di arrivo dell'Occidente:

"Non intendo essere messaggero di nessuno, né profeta; non ho messaggi da lanciare, assolutamente. Dico solo che la nostra maniera di vivere è sbagliata, che il mondo che stiamo vivendo è fatto per consumare e che il consumo consuma anche la natura. Consumando la natura, noi consumiamo l'uomo: consumiamo l'umanità. Vede, una volta la gente - mi riferisco alla gente di montagna, perché io sono un montanaro e vivo in montagna - era diversa; io certe realtà cittadine non le posso conoscere, ma dico questo: cinquant'anni fa si sentiva la gente cantare. Cantavano loro, non avevano le macchine per farli cantare o per ascoltare. Adesso la gente non canta più. La gente comune - il falegname, il contadino, l'operaio, quello che va in bicicletta, il panettiere - ha smesso di cantare.
Adesso cantano le immagini, cantano gli apparecchi radio, la televisione, i dischi, ma la gente non canta..." [1]

Ma il tenace sergente degli alpini, nostro connazionale (non dimentichiamocelo!), ci ha lasciato un  preziosissimo dono: un riferimento a cui tornare nei momenti bui della nostra vita:

"In quella mattina di primo inverno era stato un continuo stacco e un continuo ritorno. E il ritornare era più doloroso che il partire. Restava fermo, il corpo, dentro il letto e la finestra inquadrava un'alba grigia e un abete scuro.
Tutto lo scalpiccio , il bollire delle siringhe, il ronzio degli strumenti che aveva fatto arrivare il professore, la ricerca delle medicine e, infine, la barella e l'autoambulanza erano cose che non mi riguardavano perché venivano fatte per quella parte di me che aveva deciso di abbandonarmi. Solo che quell'altro luogo dove doveva andare quello che di me era l'essenza, e che a tratti in questi momenti intravedevo, non era poi come lo avevo pensato: non colline boscose con ruscelli, non praterie con fiumi, non montagne azzurre con torrenti; nemmeno i cari amici e le care donne amate, né notti limpide, né albe, né animali e uccelli da cacciare senza far morire. Non era così, no. Intravedevo solidi luminosi di luce propria in liquido grigio e pure luminoso: e tutto dava il senso di una grande pace. Fuori da ogni immaginazione." [2]

Note e segnali:
[1] Tratto da un'intervista a Rigoni Stern che trovate qui: http://www.teatronaturale.it/articolo/1096.html
[2] Tratto dal racconto dedicato a Primo Levi,  La scure, in Ritorno sul Don, Einaudi
http://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Rigoni_Stern
http://www.youtube.com/watch?v=e2N57ynBL9U&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=b3JWm9XSYCg&NR=1


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