asia
19 Gennaio 2009

"La fine della scienza"

Letture consigliate

Argomento: Recensioni, Scienza

La fine della scienza
di John Horgan
€ 28,41
Adelphi 1998, 456 p.
(collana Biblioteca scientifica)

 

Un titolo davvero impegnativo, che il giornalista scientifico americano John Horgan ha deciso di dare al suo particolarissimo e originale libro, ormai di qualche anno fa, ma che comunque è ancora assolutamente consigliabile, se non l'avete già letto, per il tema che affronta: quali sono i limiti della scienza in tutti i suoi innumerevoli campi di specializzazione?
Ma, per essere sinceri, forse non avrei scritto una recensione a questo libro se non avessi letto l'ultimo capitolo (quindi potete fidarvi... l'ho letto fino alla fine). O almeno, non avrei scritto quello che mi appresto a scrivere.
Cosa significa la fine della scienza, se ci riflettiamo un po'? Può essere intesa in almeno due modi, che il bravo Horgan descrive molto bene. Il primo è il fatto che stiamo semplicemente esaurendo, in un dato ambito di conoscenza, le leggi che potevano essere scoperte. Facendo parlare un grande fisico del passato, Feynman direbbe che noi stiamo vivendo l'epoca delle grandi scoperte; essa sta passando come è passata la scoperta dell'America. E' già successo e non riaccadrà. Nel futuro potremo solo far uso delle ricadute di ciò che già conosciamo teoricamente.
Un'altra possibile "fine" è quella dei limiti, ad esempio i limiti di conoscibilità della natura quando ci mettiamo a scrutare l'infinitamente piccolo, oppure quando ci chiediamo cosa c'era prima del big bang - la domanda non ha senso in quanto il big bang ha creato non solo lo spazio, ma anche il tempo.
Ma forse potremmo parlare di fine della scienza come Wittgenstein parla nella sua opera - ma non tutti sono d'accordo su questa interpretazione - di un passaggio ad un aspetto mistico che non trova corrispondenza nel linguaggio logico, ma è esprimibile solo attraverso un'esperienza. Famosa è  la metafora del linguaggio come di una scala che, una volta usata, va gettata via.
A domande come "Perché esisto? Perché c'è tutto questo? Che senso ha vivere?" la scienza non risponde e John Horgan mostra di cogliere proprio questo vuoto che l'enorme progresso scientifico ha messo in luce, e lo fa nell'ultimo capitolo del libro, il prologo, intitolato Il terrore di Dio, raccontando un'esperienza di meraviglia per l'esistenza, che tuttavia apre un varco difficilmente colmabile nella vita del giornalista.
Ad Horgan si spalanca il dubbio di essere l'unico, il solo essere senziente, in una sorta di rivelazione solipsistica dell'esistenza, ma considerare le conseguenze di questo fatto lo atterrisce. Scherzosamente dice che, se quell'esperienza voleva essere anche un piccolo assaggio di ciò che Dio può provare nella condizione di essere Dio, beh, allora anche Dio si mangia le unghie.
Questo salto apparentemente impossibile dalla scienza alla mistica è molto interessante, e lo è ancor di più se si considera che, cercando un po' in rete i vari commenti  o le recensioni al libro, non c'è nessun riferimento a questa esperienza caratterizzante l'intero libro. Ecco qui per esteso il tratto saliente:

"Anni fa, prima di diventare giornalista scientifico, ebbi quella che suppongo si possa chiamare un'esperienza mistica. Uno psichiatra, forse, la classificherebbe come un episodio psicotico. Qualunque cosa fosse, ecco, per quel che può valere, quello che accadde. In termini oggettivi, ero sdraiato con le braccia e le gambe divaricate in un prato di periferia, inconsapevole di ciò che mi circondava. In termini soggettivi, stavo precipitando attraverso un ignoto limbo abbagliante verso quello che ero certo fosse il segreto ultimo della vita. Su di me si abbattevano una dopo l'altra ondate di profonda meraviglia per il miracolo dell'esistenza. Al tempo stesso ero in preda ad un opprimente solipsismo. Ero convinto - o meglio, sapevo - di essere l'unico essere cosciente dell'universo".

Il libro finisce con considerazioni che credo valgano la pena di essere lette. Quindi, buona lettura di un bel volume della Biblioteca scientifica Adelphi.

di Paolo Ferrante
Redazione Asia.it


Commenti:


 Io avrei dato come titolo...  Utente
ticinese5
22 Maggio 2009 - 11:53
Io avrei dato come titolo “la scienza è morta, viva la scienza” perché è ovvio che non si possa fare a meno della scienza o della conoscenza (abbiamo mangiato il frutto proibito) Stiamo assistendo all’accantonamento o il ridimensionamento di uno strumento, il metodo scientifico che pretendeva di “guidare” la mano che lo utilizzava, come se nel decidere dove piantare il chiodo dovremmo farci guidare dal martello. La scienza che muore è solo l’interpretazione di una verità ideale, esterna alla nostra esistenza. La scienza che nasce è una scienza che torna ad essere uno strumento al sevizio dell’uomo, riconoscendogli una capacità di scelta/decisione superiore a qualsiasi metodo o strumento e gli permetterà anche di rispondere alle domande sul senso della vita.

 Sono d'accordo  Utente
poppey
19 Maggio 2009 - 18:56
Sono d'accordo

 Testo con dubbio.  Utente
solare
19 Maggio 2009 - 07:24
Mi pare che in questo testo nasce un dubbio. Che la scienza non finirà mai, per il semplice motivo, che noi siamo a disposizione della natura, e non la natura a disposizione ns. Ci sono tante cose da scoprire, prima nella mente dell'essere umano, e poi sulla natura creata.


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