La fine della scienza
di John Horgan
€ 28,41
Adelphi 1998, 456 p.
(collana Biblioteca scientifica)
Un titolo davvero impegnativo, che il giornalista scientifico americano John Horgan ha deciso di dare al suo particolarissimo e originale libro, ormai di qualche anno fa, ma che comunque è ancora assolutamente consigliabile, se non l'avete già letto, per il tema che affronta: quali sono i limiti della scienza in tutti i suoi innumerevoli campi di specializzazione?
Ma, per essere sinceri, forse non avrei scritto una recensione a questo libro se non avessi letto l'ultimo capitolo (quindi potete fidarvi... l'ho letto fino alla fine). O almeno, non avrei scritto quello che mi appresto a scrivere.
Cosa significa la fine della scienza, se ci riflettiamo un po'? Può essere intesa in almeno due modi, che il bravo Horgan descrive molto bene. Il primo è il fatto che stiamo semplicemente esaurendo, in un dato ambito di conoscenza, le leggi che potevano essere scoperte. Facendo parlare un grande fisico del passato, Feynman direbbe che noi stiamo vivendo l'epoca delle grandi scoperte; essa sta passando come è passata la scoperta dell'America. E' già successo e non riaccadrà. Nel futuro potremo solo far uso delle ricadute di ciò che già conosciamo teoricamente.
Un'altra possibile "fine" è quella dei limiti, ad esempio i limiti di conoscibilità della natura quando ci mettiamo a scrutare l'infinitamente piccolo, oppure quando ci chiediamo cosa c'era prima del big bang - la domanda non ha senso in quanto il big bang ha creato non solo lo spazio, ma anche il tempo.
Ma forse potremmo parlare di fine della scienza come Wittgenstein parla nella sua opera - ma non tutti sono d'accordo su questa interpretazione - di un passaggio ad un aspetto mistico che non trova corrispondenza nel linguaggio logico, ma è esprimibile solo attraverso un'esperienza. Famosa è la metafora del linguaggio come di una scala che, una volta usata, va gettata via.
A domande come "Perché esisto? Perché c'è tutto questo? Che senso ha vivere?" la scienza non risponde e John Horgan mostra di cogliere proprio questo vuoto che l'enorme progresso scientifico ha messo in luce, e lo fa nell'ultimo capitolo del libro, il prologo, intitolato Il terrore di Dio, raccontando un'esperienza di meraviglia per l'esistenza, che tuttavia apre un varco difficilmente colmabile nella vita del giornalista.
Ad Horgan si spalanca il dubbio di essere l'unico, il solo essere senziente, in una sorta di rivelazione solipsistica dell'esistenza, ma considerare le conseguenze di questo fatto lo atterrisce. Scherzosamente dice che, se quell'esperienza voleva essere anche un piccolo assaggio di ciò che Dio può provare nella condizione di essere Dio, beh, allora anche Dio si mangia le unghie.
Questo salto apparentemente impossibile dalla scienza alla mistica è molto interessante, e lo è ancor di più se si considera che, cercando un po' in rete i vari commenti o le recensioni al libro, non c'è nessun riferimento a questa esperienza caratterizzante l'intero libro. Ecco qui per esteso il tratto saliente:
Il libro finisce con considerazioni che credo valgano la pena di essere lette. Quindi, buona lettura di un bel volume della Biblioteca scientifica Adelphi.
di Paolo Ferrante
Redazione Asia.it