In diverse opere Martin Heidegger si è occupato del nichilismo e ci ha lasciato un’analisi molto approfondita del problema.

All’origine del nichilismo egli individua l’oblio dell’essere (Seinsvergessenheit), radicato nella nostra cultura attraverso il pensiero metafisico. Con “metafisica” egli intende quella tradizione di pensiero che pone il problema dell’essere dell’essente, andando oltre (metà) l’essente stesso, in una dimensione trascendente. Sconfinando in questa dimensione si può avere forse l’impressione di affrontare la questione dell’essere, mentre proprio qui ha inizio quel processo in cui l’essere stesso non viene più preso in considerazione, dacché vengono messi a fuoco unicamente gli enti, le cose, ma non ci si accorge del fatto che le cose, innanzitutto, sono, e dello stupore che questo evento genera.

La questione del nichilismo viene affrontata a viso aperto nell’opera Nietzsche, raccolta di testi relativi alle lezioni universitarie tenute a Friburgo tra il ’36 e il ’46, nella quale Heidegger compie una vera e propria ricostruzione della storia della metafisica. I corsi su Nietzsche si inseriscono tra le più alte tematizzazioni del problema del nichilismo apparse nel secolo scorso. Heidegger introduce il lettore alla filosofia di Nietzsche, che per mezzo della cosiddetta “trasvalutazione dei valori” mostrava l’illusorietà dei valori tradizionali, finendo per porre come unico valore la volontà di potenza. Heidegger sostiene però che proprio la volontà di potenza diventa il luogo del compimento della metafisica: anche Nietzsche finisce intrappolato nel pensiero oggettivante, rimanendo non solo nella scia della metafisica, ma anzi portandola a compimento proprio attraverso la creazione del “pensiero dei valori”.

A evidenziare ciò, in Lettera sull’Umanismo leggiamo: “Con la caratterizzazione (Einschätzung) di qualcosa come valore, il valutato viene ammesso solo come oggetto della stima (Schätzung) dell’uomo. Ma ciò che qualcosa è nel suo essere non si esaurisce nella sua oggettività e ciò tantomeno se l’oggettualità considerata ha il carattere del valore[1]. Con la caratterizzazione nietzscheana dell’essente come volontà di potenza, l’esistenza viene spogliata di tutto: alla fine rimane la pura volontà che vuole solo se stessa. Però sulla volontà stessa Nietzsche non osa farsi un’ulteriore domanda. Convinto di occuparsi dell’essere, rimane sul piano dell’essente e della positività dell’essere. Il compimento della metafisica attraverso Nietzsche si identifica, in ultima analisi, con una Weltanschauung, una visione del mondo. E proprio questo pensiero metafisico oggettivante rappresenta per Heidegger la causa stessa del nichilismo: “La metafisica in quanto metafisica è l’autentico nichilismo. L’essenza del nichilismo si dà storicamente nelle vesti della metafisica. La metafisica di Platone non è meno nichilistica di quella di Nietzsche. In quella l’essenza del nichilismo resta solo celata, in questa giunge interamente alla comparsa”[2].

Tutta l’Europa, secondo Heidegger, viene toccata da questo problema, essendo intrappolata “nella grande tenaglia tra Russia (…) e America”, dal momento che entrambe rappresentano la stessa cosa, “lo stesso triste correre della tecnica scatenata”[3].

Riprendendo e capovolgendo il pensiero di Max Weber sul mondo, definito “entzaubert” (senza magia), Heidegger parla della nostra Verzauberung, un “incantesimo” che si dà attraverso il mondo della tecnica. Heidegger vede il mondo della modernità vittima di una malia, e si interroga su una possibile uscita. La sua “diagnosi” mostra come l’età moderna si trovi nel luogo del confronto più duro tra americanismo, comunismo e nazionalsocialismo. Le rispettive posizioni iniziali, apparentemente differenti, vengono difese con accanimento, ma non si discostano nella sostanza da ciò che caratterizza profondamente quell’età moderna ammaliata dal tecnicismo: “Per questa lotta (…) l’uomo mette in gioco l’illimitato potere del calcolo, della pianificazione e del castigo di tutte le cose”[4]. È il tempo della compiuta insensatezza e della reificazione dell’essente. Questo vuol dire che il mondo è diventato oggetto, Gestell (impianto).

Nella conferenza La questione della tecnica, tenuta nel 1953, Heidegger mostra come il nostro sguardo, nel momento stesso in cui si pone sulle cose, le consideri risorse da sfruttare: il bosco è una riserva di legname, la montagna una cava di pietra, il fiume una forza idraulica, il vento ciò che gonfia le vele. Tutto viene visto sotto il punto di vista della usabilità, tutto è Bestand, qualcosa di “impiegato”. Heidegger spiega questo concetto attraverso l’esempio della centrale elettrica impiantata nelle acque del Reno per fornire elettricità: “Nell’ambito di questo successivo concatenarsi della Bestellung (impiego) dell’energia elettrica anche il Reno appare come qualcosa di “impiegato”. La centrale idroelettrica non è costruita nel Reno come l’antico ponte di legno che da secoli unisce una riva all’altra. Qui è il fiume, invece, che è incorporato nella costruzione della centrale”[5].

Nel corso dell’intervista al settimanale tedesco Der Spiegel, rilasciata nel 1966 e pubblicata postuma nel 1976 per sua volontà, Heidegger spiega che ciò che lo inquieta maggiormente riguardo al mondo della tecnica, è il fatto che “tutto funziona (…) [e che] il funzionamento spinge sempre oltre verso un ulteriore funzionare”[6], senza che nulla sopraggiunga a interrompere questo meccanismo di funzionamento, tale da far affiorare una domanda sull’essenza della tecnica stessa.

Il paradigma nichilista trova per Heidegger la sua massima espressione nel cieco funzionare della tecnica e tale consapevolezza gli consente di affrontare il problema in maniera nuova. Egli sostiene che pure chi esplicitamente dichiara di voler risolvere il problema spesso si ferma alla sola descrizione del fenomeno, senza interrogarsi sulle cause.

Il primo a sollevare il problema fu Jünger, in occasione del sessantesimo compleanno di Heidegger, e la risposta di Heidegger, che già negli anni Trenta aveva approfondito la tesi di Jünger, arrivò nella medesima ricorrenza del collega. I due interventi sono stati pubblicati in un unico volume intitolato Oltre la linea (Über die Linie). Jünger si era reso conto del carattere ormai planetario del nichilismo. Egli nutre ancora la speranza di oltrepassare la linea critica, ovvero il punto “dove si decide se il movimento del nichilismo finisce nel niente vuoto oppure se esso è il passaggio nell’ambito di una nuova dedizione dell’essere”[7], e vede un possibile superamento del nichilismo nell’arte. Heidegger riconosce l’importanza e l’acutezza del lavoro di Jünger, ma rileva la mancanza di una visione delle radici storiche e delle cause più profonde del nichilismo. Laddove Jünger si augura un attraversamento della linea, parlando di trans lineam, Heidegger sostiene la necessità, prima di voler superare qualcosa, di vedere molto chiaramente di che cosa si tratta. Perciò le sue osservazioni trattano ‘della’ linea stessa, cioè “della zona in cui si compie il nichilismo”[8]. Le diverse accezioni fornite alla preposizione “über” sono molto indicative. Jünger intende “über” come “oltre”, Heidegger invece intende “über” come “su. Questo significa che una soluzione al problema rimane per lui possibile solo mediante una interrogazione iniziale.

Nell’intervista per il settimanale Der Spiegel Heidegger sottolinea che prima di voler superare nichilismo e tecnica bisogna innanzitutto intendere la loro essenza, a partire dalla storia dell’ontologia. In Nietzsche sostiene che una vera analisi del fenomeno svela che “l’essenza del nichilismo a partire dalla storia dell’essere non mostra ora però quei tratti, che normalmente caratterizzano ciò che si intende col nome abituale “nichilismo”: ciò che sminuisce (das Herabsetzende) e quello che distrugge, la decadenza e il decadimento. L’essenza del nichilismo non contiene niente di negativo del carattere del distruttivo, che ha il suo posto in princìpi (Gesinnung) umani e girovaga in azione umana”[9]. Egli accusa i contemporanei “di ritenere come l’unico reale i fenomeni che sono conseguenze del nichilismo non esperito nella sua essenza, e di buttare al vento come un nullo niente l’essenziante (das Wesende) di questo reale”[10].

Una comprensione del nichilismo esige invece una profonda comprensione del niente.

Il reale significato di niente si può solo mostrare in uno svelamento, tramite un pensiero “la cui verità non è mai coglibile da alcuna logica”[11]. Questo pensiero si distanzia dal pensiero tecnico-scientifico, per il quale “o il niente è qualcosa senz’altro nullo (Nichtiges) oppure deve essere un essente. Siccome però, evidentemente, il niente non può mai essere un essente, non rimane che l’altra possibilità, cioè che il niente sia il nullo per antonomasia (das schlechthin Nichtige). Chi vorrebbe sottrarsi a questa ‘logica’ stringente?”[12].

Se nei tempi del nichilismo il vero intendimento del niente non si compie, questo celamento del significato non può essere visto come qualcosa di negativo, perché fa parte dell’essenza dell’essere il celare se stesso e tenere anche questo celamento velato: “Voler immediatamente affrontare la mancanza dell’essere stesso, significherebbe non stimare l’essere come essere. Il così voluto superamento del nichilismo sarebbe solo una ricaduta ancora più forte nel non vero della sua essenza, che nasconde la sua verità”[13].

Se l’uomo pensa di poter superare il nichilismo, è necessario che si renda conto che questo non dipende dalla sua volontà, perché “l’essenza del nichilismo non è per niente l’affare dell’uomo, ma dell’essere stesso”[14]. Qui, però, potrebbe nascere ancora il fraintendimento che l’essere sia qualcosa di separato dall’uomo. Succede invece proprio attraverso l’uomo che l’essere dica la sua verità. Lo svelamento dell’essere accade nel Dasein, nell’esserci. Per quanto riguarda la questione del rapporto dell’uomo con l’essere, in Oltre la linea Heidegger dice che l’uomo non giunge nell’ambito di ciò che vuole interrogare. L’essere non si fa dividere dall’uomo; l’essere e l’uomo fanno una sola cosa: “In verità, allora, non possiamo più nemmeno dire che ‘l’essere’ e ‘l’uomo’ ‘sono’ lo stesso nel senso che essi appartengono l’uno all’altro, perché dicendo così, continuiamo sempre ancora a lasciar essere l’uno e l’altro per sé”[15].

Heidegger vede la salvezza dell’Occidente in quell’unico pensiero “che un giorno si arresterà nel cielo del mondo, come una stella”[16], come scrive in Pensiero e Poesia. È sul significato di essere e di niente che va di nuovo riportata tutta l’attenzione dell’uomo.

Il Sacro (das Heilige) è ciò che può salvare l’uomo di oggi; esso “viene solo allora alla luce (kommt ins Scheinen) se prima e con lunga preparazione, l’essere stesso si è aperto come radura (gelichtet) ed è esperito nella sua verità. Solo così comincia, a partire dall’essere, il superamento della spaesatezza (Heimatlosigkeit) in cui non solo gli uomini, ma l’essenza dell’uomo stanno vagando”[17].

Invece di cercare di intervenire nella situazione per migliorarla, secondo Heidegger, dovremmo vivere consapevolmente quel culmine dell’incontro con l’essere e chiederci del significato profondo dell’essere nel suo darsi miracoloso. Perciò il concetto di “destino” (Geschick), tema piuttosto ricorrente, non viene solo pensato nel senso di predeterminazione degli eventi, ma è inteso come qualcosa di più grande che ci passa attraverso, e le strategie del suo darsi sono a monte della nostra possibilità di visione e di previsione. La consapevolezza di questo probabilmente ci potrebbe disporre in un’altra maniera, sarebbe un altro essere-nel-mondo. Questa etica non è l’etica degli appelli e dei comandamenti, ma un’etica di un sentire diverso, capace di condurci oltre il nichilismo.

Questo sentire, nel quale siamo disposti a un incontro senza pregiudizi verso ciò che in ogni modo ci precede, nelle parole di Heidegger prende le caratteristiche del “ritegno” (Verhaltenheit), atteggiamento autentico di fronte al fatto “mostruosamente spaesante” (Ungeheuren) che l’ente sia. Mentre il pensiero calcolante preclude la possibilità dell’incontro con l’essere, che si manifesta nello spavento (Erschrecken) e nel timore (Scheu), nel “ritegno” il tentativo di fissare e di conservare lasciano il posto alla consapevolezza della finitezza e della morte, il Sein zum Tode (essere-per-la-morte).

L’atteggiamento che testimonia un’autentica comprensione e quindi un superamento del nichilismo radica in un pensiero che non conclude, capace di uno “Schritt-zurück” (passo-indietro). Il pensiero iniziale è pre-categoriale, non mentale, è prima del detto: “Il pensare, infatti, è superiore all’agire e al produrre non per la grandezza delle sue prestazioni e neppure per gli effetti che causa, ma per quel poco (das Geringe) che è proprio del suo portare a compimento, privo di successi. Nel suo dire, infatti, il pensiero si limita a portare al linguaggio la parola inespressa dell’essere”[18].

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1 M. Heidegger, Über den Humanismus, Klostermann, Frankfurt a. M., trad. it. di P. dal Santo, Lettera sull’Umanismo, Adelphi, Milano 1995, p. 82.
2 M. Heidegger, Nietzsche, Bd. 2, Neske, Pfullingen 1961; cfr. Nietzsche, trad. it. di F. Volpi, vol. 2, Adelphi, Milano 1994, p. 832.
3 M. Heidegger, Einführung in die Metaphysik, Niemeyer, Tübingen 1953; cfr. Introduzione alla metafisica, trad. it. di G. Masi, Mursia, Milano 1968, p. 48.
4 R. Safranski, Heidegger e il suo tempo, Longanesi & C., Milano 1996, p. 360.
5 M. Heidegger, Die Frage nach der Technik in Vorträge und Aufsätze, Neske, Pfullingen 1954, trad. it. di G. Vattimo, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976, pp. 11-12.
6 M. Heidegger, Nur noch ein Gott kann uns helfen, Klostermann, Frankfurt a. M. 1976, trad. it. di A. Marini, Ormai solo un Dio ci può salvare, Intervista con lo “Spiegel”, Guanda, Parma 1987, p. 134.
7 M. Heidegger, E. Jünger, Über die Linie, Klostermann, Frankfurt a. M. 1976, trad. it. di A. La Rocca e F. Volpi, Oltre la linea, Adelphi, Milano 1989, p. 110.
8 Ibid., p. 111.
9 M. Heidegger, Nietzsche, p. 832.
10Ibid., p. 843
11 M. Heidegger, Was ist Metaphysik?, Klostermann, Frankfurt a. M. 1943; cfr. Che cos’è metafisica?, trad. it. di F. Volpi, Adelphi, Milano 2001, p. 81.
12 M. Heidegger, Nietzsche cit., p. 581.
13 A. Bertuccioni, La modernità come destino, p. 366.
14 M. Heidegger, Nietzsche cit., p. 832.
15 Oltre la linea cit., p. 143.
16 M. Heidegger, Aus der Erfahrung des Denkens, Neske, Pfullingen 1965, trad. it. di A. Rigobello, Pensiero e poesia, Armando, Roma 1977, p. 35.
17 M. Heidegger, Lettera sull’Umanismo, p. 68.
18 Ibid., p. 99.