Il campo degli studi sulla coscienza ha per noi un valore cruciale perché è l’ambito di indagini che fronteggia oggi le domande su quale sia la vera natura dell’uomo e su che cosa intendiamo con “soggetto”, sia esso cognitivo, affettivo o educativo. Inoltre, sono studi fondamentali per cercare di penetrare il significato  della nostra condizione – esserci ed essere coscienti – che porta con sé sia disagio sia potenzialità realizzative. Per domandarci in modo efficace sul senso della nostra esistenza dobbiamo poter capire meglio chi o cosa pone la domanda. È una indagine che richiede un metodo rigoroso, che abbiamo denominato Cognitivismo Buddhista.

Le scienze cognitive dell’esperienza

La proposta del nostro metodo di indagine – che abbiamo citato in diverse pubblicazioni come Cognitivismo Buddhista, per la rilevanza che in esso assumono l’approccio scientifico del cognitivismo e la meditazione di presenza mentale della tradizione orientale- si inserisce nel new stream delle Scienze Cognitive aperto dalle nuove “scienze dell’esperienza cosciente” (neurofenomenologia, neo-introspezionismo, tradizioni meditative) che sono state di recente promosse da scienziati e filosofi della mente: tra gli altri Depraz, Vermersh, Thompson, Shear, Hut, Gallagher, Velmans, Zahavi, Bitbol e il gruppo LENA di Parigi. Un riferimento importante resta la riflessione di Francisco Varela – scienziato e filosofo recentemente scomparso, che alcuni ricercatori di A.S.I.A. hanno avuto modo di conoscere personalmente – sulla zona di intersezione tra fenomenologia e prassi scientifica.
In uno spirito di integrazione con il main stream oggettivista delle Scienze Cognitive, questa impostazione si propone di sviluppare metodi pragmatici di indagine dell’esperienza cosciente in prima persona. Lo scopo è fornire le scienze della coscienza  di un accesso fenomenologico all’esperienza privata che abbia le caratteristiche di precisione e giustificazione e che possa permettere verifiche e falsificazioni da parte di più ricercatori.
Crediamo che questa nuova impostazione possa portare un decisivo contributo alle Scienze Cognitive, in primo luogo per produrre dati giustificati di esperienze in prima persona da confrontare con le teorie filosofiche sull’ hard problem della coscienza fenomenica, con le questioni sul libero arbitrio, con le teorie eliminativiste e con i dati neurologici in terza persona. Inoltre tale metodo permette di estendere  la prospettiva di ricerca dai campi delle scienze cognitive e epistemologia a quelli della logica e cibernetica, della neurobiologia e evoluzione, della fisica quantistica, della tecnologia, dell’educazione e del disagio esistenziale.

Buddhismo: la fenomenologia meditativa dell’Oriente

Il Cognitivismo Buddhista consiste in originali intuizioni metodologiche che si radicano in pratiche tradizionali come la meditazione buddhista di presenza mentale. Di recente questa pratica ha fatto insieme ad altre discipline il suo ingresso nelle Scienze Cognitive, in una forma molto diversa dalla meditazione proposta in genere in Occidente, limitata a un rilassamento mentale, a una “beata solitudine” privata, o anche un trip interiore fra stati alterati di coscienza. In effetti la meditazione buddhista è nata come un metodo raffinato e condiviso per divenire attenti alla propria mente (mindfulness), un percorso parallelo alla riduzione fenomenologica proposta in Occidente da Husserl e capace di distinguere ed analizzare in diretta precisi eventi dell’esperienza cosciente compendiati poi nell’Abhidharma.
A differenza della fenomenologia europea del ‘900, che per comunicare ha avuto a disposizione solo parole, il buddhismo ha perfezionato in 2500 anni metodi di trasmissione pragmatici. In tal modo i dati in prima persona assumono il carattere di evidenze empiriche verificabili, sono brute facts benchè non riducibili a oggetti o funzioni neurali.
Si possono allora tracciare mappe fenomenologiche della cognizione e dei qualia, precise come mappe neurali e che conducono a osservazioni e domande sul  funzionamento della mente, e soprattutto sulla natura e sul significato della coscienza. Le risposte a tali domande giungono non in forma di modelli oggettivi, teorie, fedi o simboli, ma come precise esperienze di sé prima che si attivino le nostre capacità rappresentative; di seguito queste sono da tradurre in parole e ri-analizzare per liberarle da suggestioni. I significati cognitivi ed esistenziali che scaturiscono da tale ricerca offrono impressionanti paralleli teoretici tra le le scienze cognitive occidentali e la scuola buddhista del Madhyamika, capace di sviluppare una visione non rappresentazionale della conoscenza, che rinuncia ad appigli identificativi e sostanzialisti eppure rimane straordinariamente fedele all’esperienza.

Il metodo

Attraverso una ricerca ventennale, il Cognitivismo Buddhista ha raggiunto la piena coerenza metodologica necessaria per la trasmissione e la verifica intersoggettiva dei risultati. In quanto basato sulla integrazione degli aspetti corporei e cognitivi dell’esperienza, il nostro metodo è contraddistinto dal particolare ruolo riservato al corpo nei processi di conoscenza cosciente e dall’attenzione per le procedure operative e le fasi di addestramento; si tratta quindi di un approccio pratico, che non vuole teorizzare e descrivere fenomeni ma intende farli sperimentare in prima persona al ricercatore.
I punti cardine del metodo sperimentale, sviluppati in linea con il programma della neurofenomenologia, sono:
1) l’immobilità del corpo e la sospensione del pensiero e del giudizio abituali (samatha);
2) una rotazione di 180° dell’attenzione all’interno, verso l’inizio di ogni esperienza cosciente;
3) uno stato aperto e ricettivo (vipassana) in cui lanciare la specifica domanda di indagine, e nel quale può eventuarsi l’intuizione profonda che il buddhismo zen chiama satori.

Fondamentale per tale metodo è l’interfaccia con una guida esperta che scomponga i passaggi e renda esplicito ciò che è implicito. Nel tempo si deve poi stabilizzare il supporto del corpo e la parallela specifica abilità della mente, con un addestramento simile a quello del musicista, dell’atleta o dello scienziato. Per questo è importante che si creino luoghi di osservazione fenomenologica “incarnata” condivisi da studiosi di ogni campo, in cui si possa operare con scale temporali adeguate (alcune ore per sessione, in ripetizioni regolari e con periodi intensivi dedicati).

Sottolineiamo che questo metodo non si esaurisce in una fredda analisi degli atti mentali e delle loro caratteristiche, ma coinvolge profondamente lo sperimentatore che sia disposto a mettersi in gioco.

Filosofia e realizzazione

Ogni indagine sulla coscienza condotta in prima persona deve sviluppare un pensiero ampio e articolato che possa accoglierla; senza questo aspetto, le sottili esperienze in prima persona rischiano di rimanere episodi privi di sviluppi.
Il Cognitivismo Buddhista si propone quindi di indagare, a fianco degli aspetti epistemologici delle ricerche sulla coscienza, anche i fondamentali temi esistenziali ed etico-trasformativi che ne scaturiscono: questi aspetti hanno una diretta connessione con il nostro vissuto e con quella particolare esperienza conoscitiva che è la realizzazione intuitiva. Nella meditazione buddhista il rilievo dato alla pratica corporea si traduce non in teorie ma in intuizioni radicali e trasformanti sulla conoscenza e la natura umana: da simili esperienze in prima persona partiamo e ritorniamo continuamente perché restino aperte a verifiche, confutazioni e critiche e non si chiudano in un dogma metafisico.
Tra le ricerche teoriche ed esperienziali più avanzate del Centro, ha un particolare rilievo quella sulle affinità tra la pratica del buddhismo zen, la fenomenologia di Husserl e le filosofie dell’esistenza, con riferimento soprattutto al pensiero di Heidegger. In queste affinità troviamo gli elementi per affrontare quella che ci pare la sfida più grande del pensiero occidentale, ovvero sondare i motivi filosofici profondi del nichilismo e le possibilità di superarli in modo realizzativo.