L'intervista è suddivisa in quattro parti:
2. LA MORTE DELLA PERSONALITA' INDIVIDUALE

Per la seconda modalità, quella dell’essere “personale”, trovarsi di
fronte alla morte è sempre, non solo quando la morte si presenta
davvero. Egli si angoscia per la morte anche quando è sano, basta che
passi un funerale, basti che muoia un amico: “sai è morto quello là,
aveva la mia età... può capitare anche a me”.
L’idea stessa di poter morire lo angoscia e lo inquieta. Di fronte alla
morte tende a viverla come il male assoluto, perché quando dice “io”
intende la “persona”: ce ne è solo una, che vive una volta sola, e con
la morte finisce, finisce tutto. Allora ha bisogno di aprirsi vie di
speranza, e si chiede: “però poi si rinasce? c’è un’altra vita?”.
Ma oggi non funziona quasi mai, la morte resta ciò che nega la persona. Da qui l’angoscia.
Tant’è vero che sono nate le filosofie su questo senso di angoscia:
Heidegger per esempio. La sua è una filosofia dell’individuo, dell’uomo
solo: l’uomo autentico è chi si identifica col suo essere-per-la-morte.
Colui che si coglie in tutta la sua interezza solo se mette in conto
che c’è, fra tutte le possibilità della vita, anche la “possibilità
dell’impossibilità di esistere”, la possibilità di non esserci più.
Ma l’essere
personale cerca di negare la morte, di sperare che in qualche modo non
arriverà. Quindi qual è la buona morte per l’essere personale? Non
esiste, la morte è sempre tragica. E quindi, quando chiediamo ad
un essere “personale”: “come vuoi morire?” lui si irrita e dice
“morirai tu!”.
Se proprio per forza
deve morire, ha bisogno di sperare , di aprirsi qualche via di
sopravvivenza, di immortalità. Si situano in questa zona tutta una
serie di credenze religiose, di rapporti con l’aldilà. Nel
Cristianesimo questo é chiarissimo: “ogni granello di sabbia sarà
salvato”, cioè ogni granello di sabbia non vuole morire; in esso c’è
una grande impostazione personalistica.
A parte la fede, come si risponde alla domanda di chi chiede speranza ?
Freud diceva che questo bisogno si esprime attraverso la convinzione
inconscia che non moriremo mai. Questa è la difesa fondamentale della
“persona-individuo”: nella dimensione della vita interiore in cui
ciascuno è unico ed irripetibile, siamo profondamente convinti di
essere immortali. La psicoanalisi fondata da Freud concepisce la psiche
come vita interiore, come vita dell’individuo (mentre per la psicologia
cognitivista la psiche è il pensiero, cioè le strategie cognitive
legate al biologico) e ci sono psicanalisti con questa visione
personalistica che assistono le persone che stanno per morire
aiutandoli a raccontarsi in qualche modo che non moriranno.
Oppure il bisogno dell’essere “personale” si esprime attraverso la
speranza che arrivino i nostri e ci salvino. Questo una volta si
concretizzava in un certo modo nella ricerca di medici che te la
sapevano raccontare, e che ti davano speranza. E sono importanti, per
rispettare il bisogno del morente “personale”. Adesso sono in crisi
questi medici, (tende a dominare la concezione “biologica” che sviluppa
i comportamenti di accanimento terapeutico), però ci sono molte persone
che ne sentono la mancanza. Allora spunta un Di Bella, che ha i capelli
bianchi, racconta una balla
-perché è una grande balla, sono tutti morti i suoi pazienti, non ha
salvato mai nessuno- però dal punto di vista degli esseri “personali”
non è una balla, perché possono sperare ancora, ricevono l’illusione
del miracolo. Infatti questi guaritori sono ricorrenti: ora c’è Di
Bella, ma ogni anno ce n’è uno.
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3 -
4L'ultima due parte sarà pubblicata prossimamente.
Intervista a cura di Roberto Ferrari e Marco Besa,
Centro Studi ASIA