Nella parola Aikido, “ai” sta per “armonia”, ossia un tipo particolare di relazione. “Ai-ki” significa perciò “essere in relazione armonica col ki”.
I Giapponesi non hanno sviluppato, nella loro storia culturale, qualcosa di simile alla nostra filosofia. Ad esempio, nello Zen non conta il discorso metafisico che si è capaci di articolare, ma conta la dimostrazione con le azioni, con la carne e le ossa. Si dice che il maestro comprenda se hai avuto l’illuminazione (satori, “grande comprensione”) da come apri la porta, entrando nella sua stanza.

Tutto ciò presuppone una ricerca pratica, un training che impegni mente, corpo e anima. Il Budo, la via del guerriero mistico, che il maestro Ueshiba, fondatore dell’aikido, incarnava esemplarmente, consisteva in una “filosofia” guadagnata col sudore, una filosofia vivente. Il costante “allenamento di ricerca” portava alla percezione, magari dopo molti anni, di un nuovo, diverso, flusso della vita; come è accaduto al maestro Ueshiba, secondo la sua testimonianza. Credo che qualcosa del genere accada anche in Occidente a taluni artisti.

Si dice in Oriente: “L’allievo deve mille volte fare, una volta chiedere”.
Ciò che conta è la pratica.

Ho già descritto “l’esercizio della trota”, ossia come si nuota nel fiume della gravità. Analizziamo questa volta la base d’appoggio, le piante dei piedi.
Avvicinate i piedi fino a far combaciare le linee interne, dagli alluci ai talloni. Distanziate poi i talloni di due o tre centimetri, mantenendo gli alluci ancora a contatto, cosicché le linee esterne dei piedi risultino parallele. Considerate questo come il giusto rapporto tra i piedi, per cui anche se ora li distanziate in larghezza, le linee esterne restino parallele.
Per sentire bene l’appoggio sui piedi, sono particolarmente importanti alcuni punti delle piante.
Per evidenziare questi punti, tenendo i piedi paralleli, si sollevino tutte le dita, restando così in appoggio sui talloni e sulle articolazioni alla radice dell’alluce e del dito piccolo.
Sentite bene questi tre appoggi come piloni di una struttura architettonica sui quali si scarica tutto il peso del vostro corpo, poi lasciate ritornare al suolo le dita senza calcare su di esse. A questo punto provate a suddividere il vostro peso totale in modo che su ciascuno dei tre punti del piede scarichi un sesto del vostro peso corporeo.

Ora, connettendo i due esercizi, quello della trota e questo degli appoggi dei piedi, vedrete come comincino
a evidenziarsi i percorsi, le linee alle quali sensibilizzarsi. Per ora sono le linee che incanalano la gravità, ma, a partire da queste, percepirete, col tempo, i percorsi del Ki.

Leggete e rileggete queste righe cercando di comprendere appieno l’esercizio, poi praticatelo ogni giorno! La Via del Ki è straordinariamente affascinante, ma va praticata, non basta limitarsi all’impressione di aver capito. Va capita col corpo e col sudore.