VENEZIA – “Sono contento di aver trovato editori e librai estremamente ottimisti sul futuro del libro, quantomeno nella forma in cui lo conosciamo oggi, ma sono anche un po’ meravigliato in quanto io sono molto preoccupato. A tal proposito, mi viene in mente una battuta di Woody Allen che dice che la differenza tra gli ottimisti e i pessimisti è che gli ultimi sono meglio informati.”

E’ un Serge Latouche ironico quello che ha preso la parola lo scorso venerdì 29 Gennaio in occasione del XXVII seminario di perfezionamento della Scuola per librai Umberto ed Elisabetta Mauri, a Venezia presso la Fondazione Cini, ma anche ben informato. Infatti, negli Stati Uniti lo scorso Natale sono stati venduti per la prima volta più libri elettronici che cartacei.

Ma torniamo alla cronaca. In questi giorni abbiamo sentito parlare molto dell’ultimo ritrovato tecnologico dell’Apple per leggere libri e giornali – l’iPad -, ma non è certo il primo gadget di questo tipo in circolazione, ne sono usciti molti negli ultimi anni, pensiamo al Kindle della Amazon, che però in Italia conosciamo meno in quanto la grande libreria online ha deciso di non investire nel nostro Paese. Ma Serge Latouche, forse, non è a conoscenza di questo particolare e racconta della reazione dei giornali francesi dell’epoca (era il lontano novembre 2007), preoccupati per la scomparsa dei libri. Infatti, questo dispositivo permette di accedere ad un database di trecentomila libri e a molti giornali con una comunissima connessione wireless.

La domanda che, a questo punto, molti lettori si staranno già facendo è se siamo preoccupati della scomparsa del solo libro cartaceo oppure se la preoccupazione sia più radicale. Serge Latouche sceglie di affrontare la seconda ipotesi e propone due possibili strade: possiamo far riferimento alle modificazioni di costumi, abitudini e possibilità legati all’evoluzione tecnico-scientifica, oppure possiamo chiederci del rapporto tra il pensiero e la sua trasmissione. E forse, dice Latouche, il secondo aspetto permette di cogliere le vere sfide del cambiamento in atto. Tuttavia, per affrontare il destino del pensiero occorre prima passare per alcune osservazioni sugli aspetti materiali, come la fine del libro stampato.

I professionisti del libro della cultura tradizionale sono superati, sono letteralmente passati di moda, sacrificati sull’altare di quello che viene chiamato progresso (e che sia progresso, precisa Latouche, bisogna dimostrarlo). I conti sono molto semplici se guardiamo ai colossi che si stanno muovendo sulla scacchiera. Se Apple entra – come sta facendo – nel mercato dei libri elettronici e offre – come ha già annunciato – il 70% dei proventi agli autori, ecco che gli editori tradizionali verranno completamente sbaragliati. Chi vorrà sopravvivere dovrà velocemente adeguarsi ed entrare nella logica dei margini striminziti. Ma dentro a quel 30% rimanente, ricordiamocelo, c’è il rispetto del copyright da parte degli autori, l’accuratezza della scrittura e delle traduzioni, la verifica delle fonti e così via. Il libro non è un prodotto come possono esserlo i videogiochi, la musica o i film. Purtroppo gli editori non hanno strategie chiare e si lanciano in ordine sparso, facendo accordi diretti con i nuovi giganti come Nokia, Apple e Amazon. E la reazione degli intellettuali? Alcuni sono entusiasti, criticano chi non vuole lanciarsi nella nuova avventura. Altri dicono che è impossibile la scomparsa del libro. Una cosa di certo è chiara, almeno per Latouche: dovremo dimenticarci della cura nell’edizione degli odierni libri cartacei nei loro omologhi digitali.

Ma più importante è la scomparsa della forma cartacea del libro in un senso diverso. A questo punto Serge Latouche introduce, come termine di paragone, la cultura orale, che ormai sopravvive solo nelle popolazioni non occidentali. A tal proposito, ricorda il lavoro del grande antropologo francese Levì-Strauss, che ha scoperto che non si può criticare il pensiero cosiddetto selvaggio, in quanto è impossibile dimostrare la sua inferiorità.

Latouche riporta un significativo passaggio del Fedro di Platone, in cui c’è il dialogo tra il faraone e Teuth, dio egiziano:

“Il dio egiziano Teuth – racconta Socrate – inventò i numeri, il calcolo, la geometria, l’astronomia, il gioco della petteia e dei dadi, e anche le lettere (grammata). (274c) Si presentò quindi al faraone Thamus per illustrargli le sue technai. Quando giunse ai grammata, disse:- O re, questa conoscenza (mathema) renderà gli egiziani più sapienti e più dotati di memoria: infatti ho scoperto un pharmakon per la sapienza e la memoria. – E il re rispose: – Espertissimo (technikotate) Theuth, una cosa è esser capaci di mettere al mondo quanto concerne una techne, un’altra saper giudicare quale sarà l’utilità e il danno che comporterà agli utenti; e ora tu, padre delle lettere, hai attribuito loro per benevolenza il contrario del loro vero effetto. Infatti esse produrranno dimenticanza (lethe) nelle anime di chi impara, per mancanza di esercizio della memoria; proprio perché, fidandosi della scrittura, ricorderanno le cose dell’esterno, da segni (typoi) alieni, e non dall’interno, da sé: dunque tu non hai scoperto un pharmakon per la memoria (mneme) ma per il ricordo (hypòmnesis). E non offri verità agli allievi, ma una apparenza (doxa) di sapienza; infatti grazie a te, divenuti informati di molte cose senza insegnamento, sembreranno degli eruditi pur essendo per lo più ignoranti; sarà difficile stare insieme con loro (syneinai), perché in opinione di sapienza (doxosophoi) invece che sapienti. – (274e-275a)”

Il funzionamento del pensiero umano non è indipendente dai suoi supporti materiali o fisici o dai suoi utilizzi. Già Ivan Ilyich, maestro di Latouche, ha parlato della rivoluzione che si è attuata intorno al 1150 grazie ad Ugo di San Vittore con l’introduzione della punteggiatura, che permetteva il passaggio dalla lettura ad alta voce alla lettura silenziosa. Ma ci sono anche altri importanti passaggi come la tipografia o il passaggio dal rullo al codice.

Ebbene, dopo le tavolette con la scrittura cuneiforme, i papiri, le pergamene e la carta, le memorie elettroniche sono il nuovo supporto. E se vogliamo, queste sono anche i portatori di un nuovo funzionamento del pensiero. Si possono vedere primi sintomi della trasformazione del linguaggio nei giovani con i cosiddetti SMS o nella nascita di nuovi linguaggi giovanili, nella poesia e nella letteratura. Questo pone due problemi tecnici:
– la fragilità della cultura digitale che la avvicina alla cultura orale
– la sovrabbondanza di messaggi, che va nella dimensione opposta

Se Thamus re d’Egitto non ha torto quando segnala i pericoli nella scrittura, si dimentica di sottolineare il suo vantaggio principale: l’incisione del linguaggio su materiali solidi permette la sua trasmissione, mentre la cultura orale è fragile. Ogni vecchio che muore in Africa è una biblioteca che viene bruciata. Ebbene, dopo tutti i sistemi di supporto materiali, lo strumento elettronico ripropone la fragilità della cultura orale. A tutti gli utilizzatori di computer è capitato di perdere dati. E’ un’esperienza traumatica, pensiamo alla sparizione dei file o alla “morte” del disco rigido. Come se non bastasse, i macrosistemi tecnici sono estremamente fragili. La grande rete interconnessa pone un grosso problema: cosa succederebbe se una crisi energetica o un blackout enorme danneggiassero irreparabilmente le connessioni?

Il secondo problema è che, al contrario del pensiero orale, il mondo digitale ci mette di fronte a una quantità di materiale ingestibile. La cultura orale necessita una selezione, solo il meglio si trasmette ai posteri perché la memoria umana ha dei limiti insormontabili di spazio e di tempo. Di tutta la letteratura orale greca, il tempo ha salvato solo Iliade e Odissea.

L’enorme capacità dei nostri mezzi elettronici ha permesso a miliardi di internauti di poter accedere e di mettere a disposizione di altri miliardi di pagine Internet. Ognuno può diventare autore di pagine enciclopediche che nessuna casa editrice revisionerà. Siamo invasi da e-mail che gettiamo direttamente nel cestino.
Questo sistema di pensiero promuove la banalità e la superficialità. I blog permettono di diffondere testi grezzi senza qualità con parole messe a caso. Nessuno ha controllato questi testi prima della pubblicazione, anche con il rischio di perdere qualche gioiello. Sapremo gestire questa illimitatezza? O saremo condannati a navigare nel superficiale e nell’effimero?

Allora questo pone la questione della crisi della civiltà. La base materiale del pensiero, precisa Latouche, non è neutrale rispetto al tipo di società che l’accompagna. In altre parole, se stiamo assistendo ad una proliferazione spropositata di libri, blog, riviste, siti personali e quant’altro, dobbiamo chiederci se questo ha un rapporto con il tipo di società di cui facciamo parte. E qual è questa società? Serge Latouche la identifica con l’ossessione della crescita, del di più, della mercificazione del mondo.

L’esplosione della produzione letteraria, insomma, non è estranea a ciò che minaccia la società della crescita, vale a dire una società inghiottita da una economia la cui legge è “sempre di più”. Per quanto riguarda il pensiero, tutto deve essere ridotto in numeri ed essere calcolabile. Nella realtà cosiddetta materiale, tutto deve essere trasformato in merci interscambiabili.
La vita culturale della modernità rischia di colare a picco come la società stessa, ma non per una imperfezione intrinseca del digitale, che rimane una delle grandi invenzioni del genio umano, ma a causa della intrinseca perversione della mercificazione del mondo e dell’imperialismo dell’economia, cioè la perdita del senso del limite e della misura.

Serge Latouche avvia alla fine il suo intervento citando Nietzsche: “il deserto cresce, maledetto sia chi protegge il deserto”.

In questo caso, il deserto è proprio la mercificazione del mondo e la meccanizzazione del pensiero. Latouche riprende le riflessioni di Hannah Arendt, stimolata a sua volta dalle riflessioni profondissime di Martin Heidegger sulla tecnica, ed usa la metafora delle oasi che, nel deserto dilagante, vanno protette.

Sono oasi – auspica il filosofo francese aiutato dalle parole di Arendt-Heidegger – l’arte, il pensiero e l’amore. La cosa inquietante è che l’universo tecnico contemporaneo da un lato aumenta l’insignificanza e dall’altra parte provoca un certo entusiasmo che ha il suo règime nel pensiero di infedeltà alla Terra. La fuga nel cosmo, la “cosmanità”, ecco un segno dell’estensione del deserto. Bisogna inventare dei percorsi di resistenza al deserto e alla desolazione. Questo è il luogo stesso del pensiero. Un libro – conclude Hannah Arendt – è un oggetto che viene da lontano, testimonia ancora un mondo non del “tutto per tutti”. La decrescita(*) è una lotta contro il deserto e per l’amore del mondo. Solo la società della decrescita – secondo Latouche – può salvare il libro o, almeno, i valori dei quali il libro è portatore.

Di Paolo Ferrante
Redazione Asia.it

(*) La decrescita è una filosofia di vita (e non propriamente una teoria economica) che Serge Latouche sviluppa da molti anni e che tenta di introdurre nella vita di ognuno dei valori diversi da quelli materiali che, invece, derivano dalla economicizzazione della nostra società. Per approfondire, guarda l’intervista a Maurizio Pallante, studioso italiano dell’argomento. Sarà inoltre disponibile a breve su Asia.it un’intervista allo stesso Latouche, con il contributo del filosofo italiano Giacomo Marramao