L’anatra, la morte e il tulipano
di Wolf Erlbruch
2007, Edizioni E/O

 

L’appuntamento di questa settimana con i consigli di lettura in onore di Gianni Rodari (quest’anno ricorre, lo ricordiamo, il suo triplo anniversario: la nascita nel 1920, la morte nel 1980 e l’assegnazione del Premio Andersen nel 1970) vede come protagonista il bell’album illustrato di Wolf Erlbruch dal titolo L’anatra, la morte e il tulipano; intendiamo così segnalarvi, nell’ambito di questa piccola rassegna, un altro dei testi per l’infanzia che con coraggio e spessore raccontano il tema forse più difficile da trattare per genitori, insegnanti, educatori: la morte.

Anche nel secondo volume che vi consigliamo di leggere e far leggere ai vostri bambini l’incipit descrive immediatamente l’incontro fra il protagonista (l’anatra) e la morte: “Era da un po’ che l’anatra aveva una strana sensazione. «Chi sei, e perché mi strisci alle spalle?» domandò. «Finalmente te ne sei accorta» disse la Morte.”. L’interlocutore del pennuto è un teschio sorridente e amichevole (“gentile, anzi molto gentile, se si esclude che era quello che era”); vestito di tunica a quadretti, scarpette e guantini scuri, teme l’umidità e sfoggia un sottile umorismo inglese. Nei dialoghi fra i due emergono gli interrogativi che l’uccello – come capita a chiunque rifletta sul proprio trapasso – si pone: la verità sull’esistenza di paradiso e inferno, luoghi di cui l’anatra ha sentito parlare dagli altri pennuti, ma anche la perplessità su come sarà il mondo che conosce quando lei non ci sarà più (una questione spinosa, quella del solipsismo, per tutta la filosofia moderna occidentale). I due trascorrono molto tempo insieme, oziando e parlando, fino all’inevitabile, poetico finale della storia.

Per quanto la forma dell’album illustrato sia spesso destinata a un pubblico di lettori molto giovani, L’anatra, la morte e il tulipano può essere letto con piacere anche dai bambini più grandi, che sapranno cogliere appieno le grandi questioni proposte dagli strani personaggi di questo bel libro – che tuttavia consigliamo pure ai più piccoli, i quali apprezzeranno in particolare la simpatia e la dolcezza dei due protagonisti, nonché il sapore lirico di racconto ed illustrazioni. Gli adulti, da parte loro, saranno catturati dalla scrittura sorniona e garbata dell’autore, e scopriranno un testo in cui nulla è taciuto, ma tutto viene espresso con una delicatezza tale che l’onestà riguardo la fine della vita non risulta mai una forzatura: in quest’opera essa è lontana dall’essere il difficile proposito raramente realizzato a cui i grandi, nel loro dialogo con i bambini, si sentono spesso costretti.

Per il lettore adulto è forse utile notare alcuni degli accorgimenti di Erlbruch: ad esempio, il fatto che anche la Morte abbia paura di qualcosa (cioè dello stagno in cui l’anatra ama sguazzare), e che lo confessi solo “dopo un po’ che stavano a mollo”, avvicina al bambino la personificazione del trapasso, da un lato demitizzandolo, dall’altro riconoscendo dignità (e quindi facilitandone la successiva elaborazione) all’eventuale timore del piccolo lettore. Usciti dall’acqua, poi, l’anatra scalda la compagna infreddolita; quando, nelle ultime pagine, la Morte ricambierà fatalmente il favore, il suo atto verrà associato dal bambino all’abbraccio compassionevole del pennuto: nell’ambito della narrazione ciò contribuisce a mantenere intatta la sobria tenerezza che la caratterizza, mentre, riguardo il messaggio soggiacente, il parallelo fra i due gesti di altruismo dona ulteriore spessore alla trattazione di un tema tutt’altro che facile.

Il contenuto del dialogo fra i due personaggi è particolarmente interessante: contrariamente ad altri scritti sulla dipartita, destinati a grandi e piccini, L’anatra, la morte e il tulipano ha il merito di non chiudere frettolosamente le questioni aperte dalla consapevolezza della fine, lasciando invece spazio a una sospensione che ha il profumo della promessa; a proposito delle ipotesi sull’aldilà, la Morte commenta, laconica: “«È sorprendente ciò che vi raccontate voi anatre. La verità è che non lo sa nessuno»”; quando poi l’anatra insinua che nemmeno la Morte conosce quel mistero, quello che riceve in risposta è un silenzio pieno di significato: “La Morte si limitò a guardarla.”. Il teschio non propone mai risposte: semmai mette in luce gli assunti che precedono le affermazioni dell’amica pennuta, evidenziando il fatto che queste nascono da una visione limitata di cui l’uccello non ha nemmeno coscienza: così, mentre l’anatra cerca di figurarsi come sarà solo e silenzioso lo stagno senza di lei, il teschio le dice con garbo: “«Quando sarai morta, anche lo stagno sparirà; almeno per te.»”.

Il colore dominante nelle ultime pagine è scuro; si tratta però  di un’oscurità quasi incantata – quella del cielo in cui volteggia una neve leggera, e del “grande fiume” su cui la Morte adagia il corpo bianco e sereno dell’anatra; nell’ultima immagine l’uccello, trasportato dalla corrente, è ormai invisibile al lettore e alla Morte, che con lo sguardo l’ha seguito fino all’ultimo… La poesia di queste ultime pagine (in cui ricompare il tulipano che la Morte maneggiava nella parte iniziale dell’album) è difficilmente esprimibile. Di particolare importanza dal punto di vista educativo è la cura con cui la Morte si occupa del corpo esanime dell’amica: il senso del sacro è ritratto con sobrietà e delicatezza; un silenzio rispettoso e al contempo colmo di dedizione sembra spirare dalle ultime tavole.

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