Traduzione italiana dell’Introduzione del libro di Ohashi Ryosuke, “Die Philosophie der Kyoto-Schule. Texte und Einführung” (Alber, Freiburg i.Br 1990, 552 p.), a cura di ASIA Centro Studi Bologna

 

SITUAZIONE STORICO-FILOSOFICA

Il principio fondamentale che viene essenzialmente conservato ed elaborato nella scuola filosofica precedentemente delineata è quello del “Nulla assoluto”, che a seconda del contesto può essere tradotto anche con “il puro e semplice Nulla” (das schlechthinnige Nichts). Se per elemento essenziale di una religione si intende la fede in qualcosa di simile a Dio o al sentimento del sacro, allora il pensiero del “Nulla assoluto” è “ateo” e non ha nulla a che vedere con il “sacro”.[1] Esso non è “religioso” nel senso comune del termine. La definizione spesso utilizzata per la filosofia della Scuola di Kyoto di “filosofia religiosa” (Religionsphilosophie) non è a tal riguardo priva di problemi. Se nondimeno si dovesse impiegare questa definizione, con ciò allora già si porrebbe in questione l’essenza stessa della religione. Inoltre, l’espressione “filosofia del nulla assoluto” (Philosophie des absoluten Nichts) in ultima analisi è problematica anche riguardo all’essenza della filosofia. Perché la filosofia greca in quanto punto di partenza della filosofia in generale è in primo luogo “ontologia”, di conseguenza “filosofia dell’Essere”. Persino quando la filosofia greca nell’incontro con il cristianesimo si vide esposta al Dio creatore cristiano come a un concetto fino allora a sé estraneo, essa non modificò affatto il proprio carattere di fondo, quello cioè di essere “ontologia”. Essa divenne addirittura, per usare le parole di Kant e di Heidegger , “ontoteologia”. Con il pensiero del Nulla assoluto viene così posta in discussione l’essenza stessa della filosofia.

Tuttavia, da ciò non consegue necessariamente che la filosofia del Nulla assoluto, nata nel lontano oriente, le cui fondamenta poggiano sul terreno del buddismo, sia una filosofia “esoterica”, con la quale la filosofia occidentale a malapena possa avviare alcunché. Poiché è proprio la stessa filosofia occidentale e i suoi recenti risultati che hanno chiamato alla ribalta il pensiero del Nulla quale tema filosofico. L’espressione del giovane Hegel “Il nulla il primo, da cui ogni essere … è” (Das Nicht das Erste, woraus alles Sein….ist)[2] ne è un primo esempio, sebbene in Hegel questa espressione fosse pronunciata ancora all’interno di un orizzonte logico ontologico tradizionale.[3] Ma, press’a poco dal tardo Schelling fino alla moderna filosofia, come in Nietzsche e in Heidegger, il pensiero del Nulla non è più un fenomeno singolare. Esso emerge quale espressione del fatto che l’essenza della filosofia intesa come metafisica o meglio ontoteologia è divenuta degna di essere interrogata. Il pensiero del Nulla nella filosofia della Scuola di Kyoto da una parte affonda le sue radici proprio nel pensiero del lontano oriente, rappresentato in primo luogo dal buddismo. Ma d’altra parte esso stesso apparve nel bel mezzo dell’universo storico della modernità. In esso la questione della storia assurse a tema centrale, come in generale nella moderna filosofia.

Per chiarire la collocazione “storico – filosofica” della filosofia del Nulla assoluto è probabilmente di aiuto riflettere in quale modo la Scuola di Kyoto cercò di cogliere il mondo storico con la sua filosofia del “Nulla assoluto”.
Il mondo storico, così come pervenne a problema della coscienza all’incirca dal 18° secolo, fu considerato nell’orizzonte del pensiero della tradizione a partire dalla “base” oppure dalla “sommità”. [4] In considerazione di questa “base” o “sommità” venne riflesso il senso e lo scopo del mondo storico. La concezione teleologica della storia in fondo non mutò fino a Marx. Il mondo non era quel ritorno “infondato” dell’essente nell’infinita catena di nascita e morte, secondo il concetto buddista.

Ora, come può il mondo storico essere colto tramite il pensiero del “Nulla”, giacché è evidente che esso è il mondo dell'”Essere”? In realtà il pensiero della storicità rimase sempre estraneo alla visione del mondo buddista. Tutti questi problemi furono, tuttavia, tenuti ben presenti dai filosofi della Scuola di Kyoto e il punto di vista del Nulla assoluto venne consapevolmente sviluppato in considerazione della questione relativa al mondo storico. Giacché il Nulla assoluto per questa scuola non è un “Nulla” negativo contrapposto all’ “Essere”. Nella “assoluta” negazione del puro e semplice Nulla (des schlechtinnigen Nichts) deve essere negato proprio tutto, anche tutto ciò che è negativo, e cioè non come risultato della negazione processuale della negazione, come in Hegel, bensì ad ogni passo del processo stesso.
Questo pensiero in realtà non è nuovo, ma viene tramandato fin dai tempi antichi innanzitutto nel Kegon-Sutra, secondo il quale tutto ciò che è, in verità è trasparente e si compenetra reciprocamente. Qui l’Essere è sostanziale (substantiell) e al contempo trasparente, vale a dire un niente (nichtig). Questa visione della scuola Kegon fu poi dimostrata nella sua verità (bewahrheitet) dal buddismo Zen come esperienza reale. Se a questa visione ed esperienza buddista (Zen) doveva essere data una veste “filosofica”, e precisamente rispetto alla domanda sul mondo storico, allora in primo luogo la “co-occorrenza ” (Zugleich) di Essere e Nulla, dimostrata nella sua verità dal buddismo, doveva essere spiegata logicamente e filosoficamente, cosa che fu compito preminente della Scuola di Kyoto. Che il compito non fosse semplice lo dimostra il fatto che Nishida e Tanabe non concordavano sulla definizione del Nulla assoluto. Su questo tema scoppiò fra i due un’aspra controversia. Nishida cercò di concepire il mondo storico come “autodeterminazione” (Selbstbestimmung) del Nulla assoluto e di spiegare questa autodeterminazione con la sua “logica del luogo” (Ortlogik). Tanabe criticò la logica del luogo di Nishida, poiché con ciò – secondo Tanabe – il Nulla assoluto è contemplato staticamente e di conseguenza diviene fonte dell’emanazione dell’Essere come in Plotino. Per lui, al contrario, conta il fatto di annettere alla prassi il Nulla assoluto inteso come principio vitale (lebendiges Prinzip) della negatività.
La controversia fra Nishida e Tanabe, per quanto aspra potesse essere, si mosse tuttavia nell’ambito della prospettiva del lontano oriente, dove il Nulla e l’Essere non sono mai separati l’uno dall’altro, bensì si compenetrano l’un l’altro. Come è stato già affermato, per la filosofia della Scuola di Kyoto la logica di questo vicendevole compenetrarsi di Nulla e Essere (Durchdringenineinander von Nichts und Sein) rimase un compito preminente. A tal riguardo va tuttavia accennato ad un carattere decisivo del Nulla assoluto, vale a dire che questo del Nulla anzitutto non è un problema riguardante la logica, bensì quello dell’esperienza diretta (der unmittelbaren Erfahrung). In questo, il discorso sul Nulla assoluto che si presenta nella moderna filosofia occidentale senza dubbio si distingue sia dal pensiero del lontano oriente sia di conseguenza anche da quello della Scuola di Kyoto. Per citare solo un esempio, a proposito della famosa domanda di Leibniz e di Schelling “Perché in genere c’è qualcosa e non piuttosto il nulla?” (Warum ist ueberhaupt Etwas und nicht vielmehr Nichts?), Max Scheler dice che questo nulla è il Nulla assoluto. Egli prosegue: “colui che al contempo non ha guardato nell’abisso del Nulla assoluto, si lascerà completamente sfuggire anche la straordinaria positività del contenuto della visione che soprattutto qualcosa c’è e non piuttosto il nulla” (wer gleichsam nicht in den Abgrund des absoluten Nichts geschaut hat, der wird auch die eminente Positivitaet des Inhalts der Einsicht, dass ueberhaupt Etwas ist und nicht lieber Nichts, vollstaendig uebersehen).[5] Scheler contempla qui qualcosa come il Nulla assoluto e il suo abisso, il quale rimane tuttavia l’abisso “contemplato” (geschaute), e non si conferma nella sua verità (bewahrheitet) direttamente in un tutt’uno con la sua esistenza. Il Nulla assoluto, al quale viene subordinato persino l’ “ente assoluto” (das absolut Seiende), in questo modo è sicuramente da lui contemplato come la cosa più profonda, ma proprio perché contemplato come tale esso non è “un tutt’uno” con l’ente assoluto.

Tuttavia la moderna costellazione filosofica, nella quale il nulla si pone sempre più in primo piano e mette in discussione l’essenza della filosofia, è strettamente congiunta alla costellazione del mondo storico, dove l’occidente non può più essere lo scontato metro di misura, e per il “pianeta” il mondo asiatico è divenuto anch’esso parte fondante. Scheler, che visse la prima guerra mondiale, vide gli esiti della guerra nell'”equilibrio della specificità europea ed asiatica”(im “Ausgleich des spezifisch Europaeischen und Asiatischen”).[6] La Scuola di Kyoto condivise con Scheler questa opinione. La sua filosofia del Nulla assoluto non può quindi essere presa in considerazione solo a partire dall’entroterra buddista, ma va considerata anche nel contesto storico.

Al fine di concretizzare un po’quanto detto, dobbiamo gettare uno sguardo alla situazione storico filosofica attorno al 1911, quando apparve il primo trattato di Nishida “Uno studio sul bene”. In questo anno furono pubblicati in Germania due testi: “La logica della filosofia e la dottrina delle categorie” di Emil Lask” e “La filosofia del Come Se” di Hans Vaihinger. Era l’ultimo periodo di fioritura dei neokantiani, i quali si erano posti come compito fondamentale quello di fondare la scienza. In questo contesto va considerata anche la pubblicazione dei “Principia mathematica” di Russel e Whitehead (3 volumi, 1910 – 1913). Anche la fenomenologia di Husserl, le cui “Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica” apparvero nel 1913, tiene presente la dimensione scientifica. Va richiamata l’attenzione sul fatto storico filosofico che il neokantismo oggi non è più così influente come un tempo, mentre la fenomenologia sta acquisendo un ruolo sempre più attivo nel fare filosofico. Questo sembra anzitutto derivare dal fatto che nel logicismo neokantiano “l’intuizione sensibile” (die sinnliche Anschauung) gode di scarsa considerazione, la qual cosa si manifesta proprio nell’interpretazione dell’Estetica Trascendentale della “Critica della ragion pura”. [7] Per contro, la sensibilità (die Sinnlichkeit) è inclusa come elemento fondamentale nel concetto husserliano di intenzionalità. In un’epoca in cui il distacco dall’antica metafisica non poteva più essere arrestato e s’intensificava l’influenza delle scienze naturali, e proprio per questo si tenò di salvaguardare e fondare la vita sensibile (das sinnliche Leben), la scarsa considerazione dell’intuizione sensibile fu certamente un errore fatale. Non è un caso che in questo periodo la “filosofia della vita” (die Lebensphilosophie) emerga quale polo antitetico al neokantismo. L’opera di Dilthey “La costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito”, in cui si parla delle “categorie della vita”, apparve nel 1910.

Quella linea di sviluppo che in Germania si interseca, neokantismo – filosofia della vita – fenomenologia, è tuttavia solo una e non l’unica linea importante dell’attività filosofica in essere allora nel mondo. Fuori dall’ambito della filosofia tedesca, in quel periodo c’erano altre importanti correnti: la filosofia di Henry Bergson in Francia e quella dell’empirismo radicale in America, rappresentata da William James. La prima, che in Germania fino ad oggi è stata poco considerata[8], rappresentò per Nishida un polo di confronto determinante, e l’empirismo radicale di Williams James ricoprì un significato essenziale per la nascita di “Uno studio sul bene”. Quest’ultimo sta in relazione all’avvento della “psicologia” come un nuovo ambito, sotto la cui influenza la filosofia talvolta ricadde. Anche quando se ne volle liberare, la filosofia non poté prescindere da essa.[9]

Lo stato della situazione storico filosofica attorno al 1911 indica innanzitutto che il pensiero filosofico, di fronte allo sviluppo delle scienze naturali, vide la necessità di porsi a loro fondamento, venendo in tal modo sostanzialmente determinato da queste e allontanandosi dalla metafisica. D’altra parte, si presenta l’esigenza di una filosofia della vita che non poteva essere soddisfatta dalla positività della scienza. Nasce così, dopo la prima guerra mondiale, una nuova corrente che tenta di ristabilire la “metafisica” fin qui abbandonata. Lo stesso Heidegger, che più tardi annunciò la fine della metafisica, in un primo momento fece della fondazione della metafisica il suo principale intento.[10] Lo spirito del tempo attorno al 1911 era dunque segnato da due aspirazioni contrastanti: da una parte dall’aspirazione a guadagnare, nell’allontanamento dalla speculazione metafisica, il punto di vista dell’esperienza e della positività scientifica, e dall’altra proprio dalla necessità di rifondare una nuova metafisica. A questa “nuova” metafisica, tuttavia, era richiesta la revisione del principio dell’Essere invalso fino allora. Lo spirito del tempo certamente era giunto ad un’espressione di ben più vasta portata nel pensiero di Nietzsche, allora ancor poco considerato, di quanto non lo fosse nelle correnti spirituali attorno al 1911, e addirittura in modo assai più determinante; ma questo si manifestò efficacemente solo negli anni trenta attraverso l’interpretazione di Nietzsche da parte di Heidegger. Alla determinazione di “Uno studio sul bene” di Nishida contribuirono entrambe le aspirazioni contrastanti dello spirito del tempo sopra menzionate: la salvaguardia dell’esperienza diretta (die Aufbewahrung der unmittelbaren Erfahrung) e l’aspirazione ad una metafisica. A questo proposito, va posta l’attenzione sul fatto che proprio in una di queste due aspirazioni, nella “esperienza diretta”, l’esperienza del “Nulla” del lontano oriente trova la sua prima formulazione filosofica. Possiamo ulteriormente dire: proprio partendo dalla esperienza del nulla le due aspirazioni dello spirito del tempo altrimenti contraddittorie poterono essere conciliate e sviluppate filosoficamente. Questo dovrà essere chiarito in seguito in maniera più approfondita per poi delineare i successivi sviluppi della filosofia della Scuola di Kyoto.

Traduzione a cura di Elia Tosi e Manuela Ritte

Della stessa serie:

Sullo stesso argomento:

NOTE:

[1] Cfr. Shin-ichi Hisamatsu, Mushinron, in: Opere di Hasamatsu (cfr. nota 2 dell’introduzione a Hisamatsu e bibliografia), volume 2, pp. 53-93; versione tedesca: Atheismus, in: Zeitschrift fuer Missionswissenschaft und Religionswissenschaft, fascicolo 4 (1978) pp. 268-296; dello stesso Autore, Sei no hitei toshite no zen, in: Opere di Hisamatsu, voloume 1, pp. 102-112; versione inglese: Zen as the negation of Holiness, in: The Eastern Buddhist (New Series), Vol. X, Nr. 1(1972) pp. 1-12.
[2]  Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen System der Philosophie (= Phil. Bibl. 319a), pg. 15.
[3]  Cfr. Ryosuke Ohashi, Zeitlichkeitsanalyse der Hegelschen Logik (=Symposion 72), Freiburg/Muenchen 1984, pg. 57 seguenti.
[4] Cfr. per esempio Kant, Mutmasslicher Anfang der Menschengeschichte (1786), in: Kants Werke, Akademie Textausgabe Volume VIII, pp. 107-124.
[5]  Max Scheler, Vom Ewigen im Menschen, Berlin 3 1923, pg. 113. Cfr. anche, Stellung des Menschen im Kosmos, Muenchen 1962, pg. 87 e seguenti.
[6]  Dello stesso Autore, Vom Ewigen im Menschen, ibid. pg. 247
[7]  Cfr. in primo luogo Hermann Cohen, che nella Logica della conoscenza pura concepisce il tempo e il luogo, che in Kant sono le forme della intuizione, come “categorie” e risolve l’estetica trascendentale nella logica trascendentale.
[8]  Cfr. Rudolf W. Meyer, Bergson in Deutschland. Unter besonderer Beruecksichtigung seiner Zeitauffassung, in: Studien zum Zeitproblem in der Philosophie des 20. Jahrhunderts (= Phaenomenologische Forschungen 13), edito da Ernst Wolfgang Orth, Freiburg/Muenchen 1982, pg. 20 e seguenti.
[9]  Per un rimando più ravvicinato sul tema cfr. Keiji Nishitani, Nishida tetsugaku – tetsugakushi ni okeru sono ichi (La filosofia di Nishida – La sua posizione nella storia della filosofia), 1950, ora in: Werke Nishitanis cfr. nota 1 all’introduzione di Nishitani e bibliografia), volume 9, pp. 95-124.
[10]  Cfr. sul tema Max Mueller, Existenzphilosophie. Von der Metaphysik zur Metahistorik, Freiburg/Muenchen 4 1986.