“Nella sua prima penetrazione, l’anima non coglie Dio là dove è buono o dove è verità: scava e cerca ancora e coglie Dio nella sua unità e nella sua solitudine, coglie Dio nel suo deserto e nel suo fondo.
Ma non è soddisfatta: cerca più avanti quel che è, quel che è nella sua Divinità e nella proprietà della sua natura.
Sì, se ti avvicini un po’ alla origine, meraviglia su meraviglia sarà operata nell’anima tua.
Il bene in eccedenza, che deve rimanere per l’anima nell’eternità (al di là di quello che coglie ogni volta), in modo che essa non sia capace di giungere al suo fondo, proprio detto bene è l’abisso che attira, in modo che, dimentica di se stessa, vi sprofondi eternamente.
Sempre oltre procede questa elevazione.
L’unità è sempre più aperta verso l’alto, mentre lo spirito si eleva verso di essa.
Quale è la fine ultima?
È la segretezza della tenebra dell’eterna Divinità, sconosciuta ora e sempre.
Là Dio permane sconosciuto in se stesso.”
Le parole di Meister Eckhart, in questo florilegio, tratto dai “Sermoni tedeschi” ad opera di Rudolf Otto, rilasciano un potente fascino.
Ebbene, tale via è percorribile.
Esiste una via per calarsi nelle “tenebre luminosissime” e nel “silenzio eloquentissimo” e nell’abisso di stupore ammutolito; esiste una topografia esperienziale di tale via.
Quel che è raro incontrare sono l’adeguata fascinazione, la forza interiore e l’abbandono necessari per inoltrarsi nell’abisso che attira, “in modo che, dimentichi di se stessi, vi si sprofondi eternamente.”
Ho conosciuto diversi casi di praticanti chi si sono improvvisamente ritrovati nella
“segretezza della tenebra dell’eterna Divinità, sconosciuta ora e sempre.
Là dove Dio permane sconosciuto in se stesso.”
Alcuni sono emersi dalla meditazione descrivendo, nel tremore, ma con assoluta dovizia di particolari, quello che era loro accaduto, confidandomi che però non vi volevano mai più tornare, mentre altri, lo sguardo luminoso, volevano gettarsi nel fuoco di quel mistero e fondersi con esso.
In che consiste la differenza di atteggiamento?
Vi sono anime antiche che già hanno consumato quel che il vivere può offrire.
Tutto suona loro consunto, liso, vano.
Altre sono anime giovani che ancora credono di dover suggere la linfa saporita della vita e avvertono come minacciosa la prospettiva di distaccarsene seppure per quello che i maestri dicono essere un bene infinitamente più grande.
Io chiamo questo “diversità di spessore karmico”.
In India la consapevolezza di ciò è diffusa tra i maestri; in Occidente appare discriminatoria.
Ma il test dell’avvicinamento e del contatto con l’assoluto è spietato e non inganna.
Per chi riesce ad “avvicinarsi un po’ alla origine, meraviglia su meraviglia è operata nell’anima sua.”
Ed è vero.