La postura immobile, asana, e la sua conquista attraverso il “controllo” delle energie sottili, prana

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Il nostro viaggio continua affrontando un passaggio chiave della pratica: la conquista della postura seduta, asana, attraverso le pratiche energetiche.
Dhyana, tema affrontato nella puntata scorsa, va praticata in posizione seduta ‘stabile e comoda’, secondo la definizione di Patanjali.
Il pensatore occidentale non dà la minima importanza alla posizione del corpo durante l’indagine mentale. Sappiamo che D.T. Suzuki, che aveva alle spalle un importante percorso di meditazione zen, incontrò Heidegger. Durante il confronto, Suzuki chiese se Heidegger riconoscesse importanza  alla posizione del corpo nell’indagine dell’essere. Questi rispose che aveva notato come, la mattina, al risveglio, quando, nel letto, il corpo era rilassato e immobile, gli capitasse di avere profonde intuizioni. Credo questo succeda a molte persone inclini alla riflessione profonda, ma non è ancora ‘postura’ di meditazione.

Il mio maestro di Yoga, Gérard Blitz (1912 – 1990), che fu allievo di Shri Tirumalai Krishnamacharya (1888 – 1989), uno degli yogi più rinomati e stimati del ‘900, insegnava che il filo conduttore nella pratica portava da asana a dhyana, attraverso pranayama.
È oltremodo importante assaporare lo stato di lucidità ed evidenziazione del principio veggente a cui tale filo conduttore porta.

Blitz fece molte esperienze, tra cui quella zen, sia con Deshimaru roshi, pioniere dello Zen in Europa, che con altri. Prese anche voti religiosi laici e, quando morì, nella camera ardente vestiva il kesa, parte dei vestimenti religiosi del monaco zen.
Blitz ci raccontò di come, avendo preso i voti mahayana di beneficiare tutti gli esseri senzienti, e intrapreso l’insegnamento, si ponesse il problema di che strumento adottare per insegnare la meditazione agli occidentali. Egli aveva osservato quanto noi patissimo nell’essere “scaraventati” sul cuscino nero per la meditazione, zafu, nella posizione seduta secondo la tradizionale metodica pedagogica giapponese. In effetti può essere un’esperienza un po’ traumatizzante. Molti anni fa partecipai ad uno di questi ritiri zen. V’era una quantità di gente entusiasta di provare lo zazen. Via via che le sedute venivano intervallate dalla camminata kinhin, che serve a riposare le gambe e la schiena, e a fare la capatina in bagno, notavo ogni volta che il numero dei praticanti diminuiva. All’ultima seduta ci ritrovammo a malapena un quinto del numero che aveva iniziato… Noi non abbiamo dimestichezza alcuna con la posizione seduta immobile né la nostra tradizione ci motiva a mantenerla. Né il pensare né il meditare, in Occidente, sono considerati attività necessitanti di immobilità.

Blitz, forte dell’esperienza Yoga, si risolse ad usare tale Via per introdurre gli occidentali alla meditazione. In ciò fu un genio. Il suo metodo è quanto di più diretto ed efficace io conosca per introdurre la gente agli stati di assorbimento profondo.
Accade regolarmente che chi si avvicini allo Yoga, al termine di una sequenza di posture strutturate secondo il metodo trasmesso da Blitz, si trovi seduto immobile e assorto e vi resti per un’ora in uno stato psicofisico dove, come dice Patanjali, i dvandva, i fattori distraenti, sono totalmente neutralizzati; e ciò senza avere mai meditato prima. Il che è, viceversa, piuttosto inconsueto nell’introduzione ‘secca’ e tradizionale allo Zen.
Chi pratica le Vie orientali scopre un aspetto sconosciuto agli occidentali che viene genericamente denominato “energie sottili”, prana, ki, chi, a seconda del contesto tradizionale in cui si è sviluppata la specifica disciplina: Yoga, Aikido, Shiatsu, Tai Chi Chuan, Chi Kong…
Pratico le Vie dai primi anni ‘70, avendo iniziato col Judo, continuato con lo Yoga e l’Aikido, attraverso esperienze di Zen e di Buddhismo in generale e ho abbastanza esperienza da concludere che, sebbene il prana possa essere in parte studiato e spiegato fisiologicamente, esso non si esaurisca nella sola fisiologia; e che lo stesso valga per la coscienza e la radice della vita.
Quello che gli orientali ci insegnano, è che il prana può essere “educato” e disciplinato, sia in via diretta, ossia dal prana verso gli stati mentali, che in via inversa, da questi ultimi al prana.
Come illustra Itsuo Tsuda in La scuola della respirazione, il ki,  termine con cui un giapponese chiama la forza vitale, è legato a quel che si può esprimere come un “andarne” negli eventi della vita. Il prana si muove con la disposizione morale di fondo, ossia “in che misura e modo ne va“. Esso è espressione del nostro rapporto con l’esistenza. Riflettiamo su come ci sentiremmo se venissimo forzatamente privati del cibo per una settimana: spossati fisicamente e svuotati moralmente, da ricovero. Al contrario, se decidessimo di digiunare per motivi salutistici o, soprattutto, spirituali, saremmo ritti e fieri di noi. Una mia allieva ha digiunato per ventuno giorni continuando l’attività ordinaria e conservando, anzi sviluppando una particolare luce negli occhi. Non c’è stato bisogno di alcuna assistenza medica e la sua salute era decisamente migliorata.
Ho personalmente conosciuto un anacoreta russo, lo staretz Nicodim, morto nel 1984, che aveva vissuto a Karoulia, il ‘deserto verticale’ all’estremo sud della penisola del Monte Athos, il quale ogni anno passava i quaranta giorni della Quaresima in totale digiuno, solo bevendo tisane. Lo incontrai nel 1981, quando aveva più di novant’anni. I suoi capelli erano ancora scuri e i suoi occhi testimoniavano l’Infinito.
Commentai con un monaco serbo, anch’egli di Karoulia: “Lo staretz Nikodim ha digiunato come Gesù nel deserto…”
La risposta fu: “No, Gesù l’ha fatto una volta sola!”
Aggiungo una curiosità sullo staretz: si era ritirato al Monte Athos prima della rivoluzione d’ottobre del 1917, della vicenda sovietica non aveva nessuna esperienza!
Tutto dipende dal rapporto con cui intraprendiamo qualsiasi cosa. A seconda che ci sentiamo di subirla o, viceversa, di esserne protagonisti, il prana cambia completamente.
Alcune Vie iniziano contemplando “preliminari” etici e devozionali; nel sistema Yoga, yama e niyama sono i precetti rivolti al vivere sociale e quelli rivolti all’interiorità; nel Buddhismo tibetano, oltre a quelli, anche il Ngondro, il Guru Yoga, una pratica che può prendere diverse forme, tra cui famosa è quella delle prostrazioni. Di solito se ne eseguono 110.000. A Bodhgaya, il luogo dove il Buddha si illuminò, si vede quotidianamente una quantità di monaci e monache tibetani eseguire le prostrazioni da mattina a sera, oltre ad altre pratiche dello stesso tenore e significato come l’ “offerta del mandala” . Ciò serve a “purificare l’intenzione” di intraprendere pratiche meditative profonde.
Quando il cuore è “sincero”, unificato e sereno, allora si possono ricevere istruzioni più avanzate senza rischi psichici.
Il prana, quindi, è associato al nostro rapporto con ciò che viviamo.
Sulla base del cuore “sincero ed unificato” si affina il flusso energetico con la disciplina di movimenti e posture, come nello hatha yoga, del respiro, pranayama, dei mantra sonori o mentali, dei mudra, “sigilli”, cioè gesti ed espressioni, e delle visualizzazioni, yantra, mandala.
Sul terreno energetico adeguato può essere operata la ritrazione dei sensi, pratyahara e il principio veggente, di cui ho trattato nella precedente puntata, evidenziandosi in tutto il suo misterioso fulgore, può essere indagato. La meditazione può dare frutti.
Naturalmente, per esigenze di spazio, non posso affrontare in dettaglio l’iter delle varie tradizioni induiste e buddhiste, ma, in generale, la struttura vale per entrambe.
Più di tutto, vale la “sincera motivazione”, espressa come Ishvara pranidhana, l’abbandono a Dio, in Patanjali, e come bodhichitta, la mente che pratica per il bene di tutti gli esseri sofferenti, nel Buddhismo mahayana.
Ciò è connesso in modo essenziale al prana e alle condizioni di pratica.

Una storia interessante: un monaco praticante di Tummo, uno dei “Sei yoga di Naropa”, fu imprigionato dai cinesi e patì umiliazioni e torture. Per l’interessamento di organizzazioni internazionali ottenne la libertà e fuggì in India dove incontrò il Dalai Lama. Questi si fece raccontare le vicende patite dal monaco e, verso la conclusione, gli chiese se avesse mai avuto paura. Il monaco rispose che sì, un paio di volte aveva avuto paura di iniziare ad odiare i suoi aguzzini!
L’accoglimento di un sentimento “impuro” come l’odio, uno dei cinque “difetti mentali” secondo il Buddhismo, avrebbe inficiato il suo voto mahayana di beneficiare tutti gli esseri sofferenti, cinesi inclusi, e con ciò la sua ascesi verso l’illuminazione. Il Tummo, il risveglio del calore interno, pratica pranica per eccellenza, esige un cuore pulito, direi innocente. 

Franco Bertossa
presidente di ASIA

Esercizio: Sedete su un cuscino da meditazione o su una sedia la cui seduta sia leggermente inclinata in avanti (basta anche solo porre un sottile spessore di panno sotto gli ischi), le palme poggiate sulle ginocchia e rivolte in alto. Colonna comodamente eretta. Occhi chiusi.
Ponete l’attenzione alle aperture delle narici e dirigetevi lo sguardo interno, l’originario vedere  (descritto nella precedente puntata), come se guardaste attraverso le narici.
Privilegiando l’inspiro, esplorate le sensazioni nelle narici e precisamente lungo il perimetro delle due aperture.
Ponetevi nell’atteggiamento di stare annusando il più gradito profumo o aroma, allorquando tutto di noi si dispone ad accoglierne ogni più dispersa molecola.
Inoltrate l’attenzione nei due canali interni, sotto le ali del naso, con lo stesso atteggiamento dell’annusare.
Esplorate le sensazioni dei canali nella parte molle del naso.
Accompagnate poi l’entrata del flusso attraverso le aperture nella parte ossea che danno nelle cavità interne del naso.
Visualizzate e seguite l’aria che, richiamata dal diaframma che scende e dalla parete addominale che cede, viene sospinta nei polmoni dalla pressione atmosferica.
Poi il diaframma risale, l’addome si ricontrae delicatamente, e l’aria viene sospinta a cadere all’esterno del naso.
Non forzate il respiro. Se vi disporrete nell’atteggiamento di annusare, il respiro naturalmente si allungherà un po’. Allo stesso modo rendete un po’ più lungo l’espiro visualizzando l’aria che esce dalle narici a mo’ di delicata cascata.
Ripetendo il ciclo per qualche minuto assaporerete uno stato di profonda quiete.

Stampate le istruzioni, ponetele davanti a voi e imparate la pratica confrontandovi con le istruzioni finché il processo vi sarà chiaro e potrete eseguire tutto ad occhi chiusi.

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