Conferenza di Beatrice Benfenati presso l’associazione culturale Asia Modena, giovedì 2 dicembre 2010, per il ciclo di incontri “Il corpo sapiente”

1° parte

Lo sguardo del bambino e la gravidanza

Il tema della sacralità della nascita mi sta molto a cuore, e so che in realtà riguarda tutti. Parlo di gravidanza, parto e dopo parto come momenti sacri in cui emerge un sentire particolare, ma quel sentire tutti lo riconoscono: anche se non avete avuto figli, quando avete incontrato qualcuno che vi ha detto che aspettava un bambino, o vi è stato detto che era nato un bambino, penso che tutti abbiate sentito qualcosa in quel momento, c’è un’emozione. Il vostro corpo sapientemente in quel momento ha parlato. Spesso sono sensazioni che noi non siamo educati a indagare; le sentiamo, ma non sappiamo veramente perché le sentiamo. Oppure magari le interpretiamo, ma con le prime parole che ci vengono, non è detto che siano le parole giuste per capire quello che in quel momento sentiamo.

Dopo tanti anni di pratica col maestro Franco Bertossa – che vorrei innanzitutto ringraziare perché tutto quello che scrivo nel libro (Dall’epidurale alla Meditazione, Ed. Eugea, 2011) sinceramente è stato scritto solo perché c’è stata la sua guida – dopo le esperienze dei miei tre parti, dopo le centinaia di donne che ho seguito in questi 30 anni di insegnamento, non ho veramente più dubbi sul fatto che gravidanza, parto e dopo parto siano grosse opportunità. Per questo parlo di sacralità: sono grosse opportunità per fare emergere un sentire che tutti abbiamo dentro e che in quel momento trova degli spazi per affiorare. Qualcosa si allenta, qualcosa si dirada e quel sentire, che ci accompagna sempre, affiora.

Davanti a un bambino che nasce

Se avete visto un bimbo nascere senza essere disturbato, avete visto che ha uno sguardo incredibile, uno sguardo intensissimo che dura veramente a lungo: lui vi guarda e vi continua a guardare. Non piange ma neppure ride, guarda, sempre guarda, e quello sguardo è proprio una intensa domanda. Una domanda che verso i tre anni, diventerà: perché? perché? perché? Non si tratta di domande, in realtà sono stupori.

Capiamo che sono stupori perché, quando noi rispondiamo ai perché dei bambini, loro rilanciano con un nuovo perché. Chi è genitore sa benissimo di cosa sto parlando. “Perché questo?” E tu rispondi con una spiegazione. “E perché quest’altro?” E tu rispondi, e di nuovo “Ma perché quest’altro?”.

Se hai intrapreso un percorso, se comprendi cosa sta succedendo in quel momento a quel bambino, puoi veramente sostenerlo nel suo stupirsi. Già quando nasce il bambino sente quello stupore, quella domanda senza parole. E lo stesso sentiamo noi ogni volta quando qualcuno ci comunica che aspetta un bambino; sentiamo uno stupore che è come se ci chiedessimo: che succede? cos’è? cosa vuol dire un nuovo bambino? cosa vuol dire una nuova persona, una nuova vita?

Sappiamo tutti come inizia una nuova vita: un uovo e uno spermatozoo si incontrano e parte un processo di maturazione che sappiamo descrivere, ma questa descrizione non è una spiegazione. Soprattutto quando il bimbo nasce e lo incontriamo, noi vediamo che non è solo un insieme di cellule perfettamente organizzate – sicuramente un essere umano è veramente qualcosa di stupefacente anche per come è fatto – ma voi vedete lì dentro qualcuno che vi guarda. Quindi non è solo una questione di cellule che si sono moltiplicate, ma c’è una coscienza accesa che vi guarda. E non solo vi guarda, vi guarda anche in un certo modo: proprio quella coscienza vi guarda. Ho avuto tre figli, ho visto tanti bimbi, e non è assolutamente vero che i bimbi sono tutti uguali. Nascono già come se avessero una storia precedente, con uno sguardo diverso per ognuno. Dentro a quello sguardo stupito c’è qualcuno e c’è qualcuno anche di molto antico. Ed è un mistero, per questo ti stupisce e ti fa chiedere: cos’è? chi è? com’è possibile? da dove viene? che succede? che senso ha?

Incontriamo il neonato, ma incontriamo anche noi stessi in quel momento. Lui è una nuova vita, ma anche noi siamo vivi: che succede? cosa sono? Incontrare la nascita, un neonato, è una grande opportunità di incontrare la vita come mistero. Una opportunità che però perdiamo se non siamo preparati, se non siamo educati attraverso una Via – dopo vi parlerò di cosa significa per me “Via”. Per incontrare quello sguardo così pieno di intensità e di domande senza parole che qualcosa in noi riconosce senza saperselo dire, bisogna essere preparati.

Educare alle intensità della nascita

C’è un altro aspetto per cui è importante educare alla intensità della nascita: se non siamo preparati non solo perdiamo un’occasione di crescita, ma in più faremo guai, come genitori ma anche come operatori che assistono la nascita, o come parenti e amici che fanno visita al nuovo nato nei giorni successivi.

Questo è il motivo per cui da anni mi batto tenendo corsi anche per operatori della nascita. E continuerò a tenerli, perché diversi di loro, dopo pratiche di yoga, mi hanno detto: ” E’ vero, hai ragione tu, tante volte noi potremmo evitare di fare tante cose quando nasce un bambino, ma stare lì, in quell’intensità, in quella potenza che si scatena in quel momento, non ci riesce”. E allora in quel momento magari lavare un bimbo, tagliargli il cordone ombelicale, misurarlo, dà l’impressione di normalizzare la cosa; una cosa che di normale, di scontato, non ha nulla. Non c’è niente di scontato nel fatto che ci siamo, che esistiamo, il nostro corpo ce lo dice in tante occasioni e soprattutto nella nascita. Questa è la mia battaglia: vorrei proporre una Via per preparare le persone a reggere quella intensità e capirla per non fare pasticci, per permettere ai bambini di venire al mondo nel rispetto. E spero che mi diate un po’ di consigli, perché veramente ne ho bisogno per capire come portare avanti questa cosa, è talmente importante e ci riguarda tutti.

Il bambino nasce e non è preoccupato, è aperto a questo mistero. Se noi non l’abbiamo disturbato non piange, ha gli occhi aperti – non è vero che i bimbi nascono sempre con gli occhi chiusi, nascono con gli occhi chiusi quando gli accendiamo una forte luce in faccia, così controlliamo bene come vanno le cose. Il bimbo se è accolto bene non ha bisogno di piangere e testimonia qualcosa che noi dovremmo prima di tutto imparare a rispettare e poi da lui imparare, giorno per giorno. Per diversi giorni dopo la nascita, se non viene disturbato, questa sua presenza ci dice tantissimo.

In gravidanza: le sensazioni dei momenti di apertura

Vi ho parlato del momento della nascita, ma ora vorrei fare un passo indietro e tornare alla gravidanza, un percorso importantissimo anch’esso capace di aprire a grandi opportunità. Vorrei prendere a prestito l’espressione di una pediatra che ammiro molto, si chiama Iris Paciotti: lei chiama “magici” i momenti di apertura come la gravidanza e il parto, quei momenti dove quello strato di scontatezza che copre tutto si dirada e qualcosa può emergere. Parlo di gravidanza, parto e dopo parto ma è solo un pretesto, in realtà questi momenti avvengono anche in altre occasioni, nella vita di tutti. Perché si dirada quello strato di scontatezza? Cosa succede? In gravidanza succede fin dal primo momento in cui la donna sa di aspettare un bambino: non è più quella di prima, comunque andranno le cose qualcosa è cambiato in modo irreversibile. La donna non si sente più quella di prima, però non si sente ancora “donna in gravidanza”: la pancia non c’è, non ha sensazioni particolari. Questo momento in cui non è più quella di prima e non si sente ancora in gravidanza, è uno di quei “momenti magici”: non sa bene cosa è veramente, non sa più dove collocarsi.

Questi momenti di apertura sono a volte accompagnati da sensazioni non piacevoli. Questa è un’altra cosa estremamente importante da dire perché tutti si aspettano che, quando una donna viene a sapere di aspettare un bambino, diventi la persona più felice di questo mondo. Non è quasi mai così, o almeno non solo. C’è magari un momento in cui si sente estasiata, e poi il giorno dopo è disperata. Se leggete le testimonianze delle donne che sono alla fine del mio libro, contengono frasi bellissime. Una mamma scrive: “Quando ho saputo di aspettare il bambino mi sono infilata vestita sotto la doccia, ho aperto l’acqua e ho cominciato a urlare”.

È stata una cosa importantissima! Ma posso dirlo solo perché poi è entrata in una Via, altrimenti tutta quella intensità avrebbe potuto essere drammatica; grazie alla Via, quel momento è diventato poi un sostegno enorme.

Siamo abituati a pensare che solo le buone sensazioni siano portatrici di valori, ma non è assolutamente vero! A volte certi significati importanti, valori autentici, emergono attraverso sensazioni non necessariamente piacevoli. Ce lo insegna il bimbo quando nasce: non piange, ma neppure ride. Non è felice di nascere! “Però – noi pensiamo – se non è felice allora è triste”. No! Buddha ha parlato della Via di Mezzo: nè felice, nè triste. Allora com’è il neonato se non lo disturbiamo? Ci disorienta. È domandoso. Stupito. Stranito.

In questi momenti magici di apertura, legati o meno alla gravidanza e alla nascita, quella coltre si dirada un po’ e viene fuori la domanda da cui siamo abitati, spesso senza parole. Viene fuori con sapori alterni: possiamo essere immensamente felici un giorno e immensamente angosciati il giorno dopo. In sé non sarebbe un problema se in quella sensazione sgradevole che a volte chiamiamo “angoscia” non ci fosse purtroppo anche un giudizio che ci dice: “Questo è sbagliato, non dovresti, sei una donna in gravidanza, dovresti essere serena”. O peggio ancora: “Cosa fai? Chissà cosa sentirà il tuo bambino se tu provi angoscia!”. Questo giudizio è il vero problema, questo – come dice il Buddha – è soffrire di soffrire, essere angosciati di essere angosciati. Quella seconda angoscia è veramente il problema perché non è più una domanda, come la prima, ma è una risposta! Non apre, chiude. Mi sono risposta e ho detto: “Quell’angoscia non ci deve essere, è sbagliata”. E mi viene il senso di colpa.

La risposta, soprattutto se è sbagliata, ha un potere veramente dannoso: chiude i giochi, diventa un punto, diventa una fine, una conclusione tirata; se poi quella conclusione è tirata male è ancora peggio.

Ancora durante la gravidanza: rassicurarsi o prepararsi alle difficoltà?

Quando vengono da me le donne in gravidanza e dicono : “Ho fatto l’esame… è andato benissimo!”, in quel momento cerco di ricordare loro che andava benissimo a quell’ora in cui l’hanno fatto , che quell’esame dimostra solo che il bimbo stava bene in quel momento“. È un grosso errore dimenticare che noi non abbiamo mai nessuna garanzia! Perché poi, quando arriva un problema grosso, siamo impreparati.

Un’ altra mamma ha avuto tre bambini e tutte e tre le volte è venuta a fare il corso di Yoga in gravidanza. Quando è venuta la prima volta, col compagno ha partecipato a un incontro per i genitori durante il quale ho detto:”Attenzione! I bimbi stanno bene ora, dobbiamo tenerlo presente, non ci sono mai garanzie. Non pensarci non è la soluzione”.

Tempo dopo, mi ha detto: “Sai siamo usciti io e mio marito, molto contrariati. Ti devo dire che anche eravamo un po’ arrabbiati con te: perché in un momento così bello come la gravidanza ci venivi a fare questi discorsi? Siamo usciti che un po’ ti odiavamo. La settimana dopo, purtroppo, sono andata a fare l’ecografia e il bimbo stava malissimo!”.

Purtroppo non è nato, quel bambino.

Lei dopo mi ha telefonato, in lacrime. Però diceva: “Per fortuna che tu hai detto quella cosa. Perché ciò che in quel momento così catastrofico mi ha sostenuta è stato il fatto che da  una settimana, pur quasi odiandoti per quello che avevi detto, ero costretta a pensarci. Quando sono andata a fare quell’ esame, quando mi hanno detto questa cosa, che è stata terribile, non ero totalmente illusa. Sarebbe stato immensamente più terribile se io fossi arrivata lì con l’idea che, in base agli altri controlli, andava sicuramente tutto bene, senza neppure un piccolo spazio di dubbio. E invece, averci pensato una settimana, aver pensato che noi non controlliamo niente, che non abbiamo garanzie… . È vero che non dà una bella sensazione questo pensiero, però è vero”.

La soluzione non è fare gli struzzi e non pensarci perché, anche quando il bambino crescerà, nei momenti difficili vi chiederà ad esempio della morte e guarderà come rispondete e cosa sapete. A un certo punto i bimbi si accorgono che si muore e fanno domande, non ancora domande spaventate, solo domande. Se uno ha un suo credo religioso, in quel momento è importante perché forse grazie ad esso ne parlerà in un modo sincero e forte, che sostiene. Per molti ormai la religione non è più un riferimento e in quei momenti non si sa che cosa rispondere. Ma se siete spaventati, imbarazzati, se non sapete cosa dire… se il bambino vi vede minimizzare, distrarvi o cambiare discorso… ecco cosa impara: “Se la mamma o il papà non ne vogliono parlare, allora forse è una cosa brutta, da temere”.

Li stiamo già educando a una paura che loro non avevano. Per questo parlo di grande responsabilità educativa: se non li sappiamo sostenere noi questi momenti, creiamo un problema anche a loro.

Quindi, tornando ai sapori difficili della gravidanza, non colpevolizzatevi, non cercate a tutti i costi di rassicurarvi, non fuggite, non distraetevi. Piuttosto chiedetevi: perché sento questi sapori? che significano? In questo mio non stare proprio completamente bene… ci può essere invece un valore?

Trascrizione: Valentina Boni, Roberta Cappi, Claudia Vignudini.

Redazione: Roberto Ferrari.

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