Conferenza di Beatrice Benfenati presso l’associazione culturale Asia Modena, giovedì 2 dicembre 2010, per il ciclo di incontri “Il corpo sapiente”

 

3° parte – Domande dal pubblico

Domanda: il rapporto che i nostri bambini hanno con il mistero, è più sereno del nostro?

Beatrice: Al bimbo la strega spaventosa, che non vede e che si immagina, raccontata dal genitore in un ambiente protetto, piace un sacco. Il mistero gli piace anche quando fa paura. In certi casi, quando ti chiedono di raccontare per l’ennesima volta la stessa storia, aspettano la parte più inquietante; se ad esempio una volta addolcisci un po’ il finale, ti dicono che non è vero, che succedeva quella cosa terribile. Il bimbo è nutrito dal mistero. Noi siamo mistero, siamo misteriosi a noi stessi. E non c’è risposta al mistero, per questo è un mistero. Ma non è terribile, è magico, miracoloso, stupefacente: noi siamo mistero, non sappiamo perché esistiamo e non può esserci risposta a questo. A una mia figlia una volta, non so perché, la domanda esistenziale è venuta da un bicchiere di latte: “Mamma da dove è arrivato il primo bicchiere di latte ?”.

Io l’ho guardata: “Te la dico una cosa?… ma sai che nessuno lo sa?! “.

“Nessuno lo sa!”… Era la gioia in persona! Si sentiva portatrice di qualcosa, aveva scoperto una cosa che nessuno sapeva, era felicissima.

E questo deve fare l’educatore: quando viene fuori il mistero, accoglierlo e rilanciarlo. Si può rovinare tutto, magari cercando di rispondere “perché la mucca …”. E loro giustamente dicono: “… ma allora la mucca da dove è arrivata?”. Davvero non lo sappiamo e questo non è terribile, anzi è stupefacente..

Domanda: i giorni dopo la nascita sono così importanti? Credevo soprattutto fosse importante non disturbare il bambino nel momento del parto, secondo l’insegnamento di Leboyer.

Beatrice: anche nei giorni successivi al parto il bambino è stupore, contemplazione. Quando è sveglio ha questo sguardo… Non è ancora del tutto nato: non è più un feto dentro alla pancia, ma non è ancora un bambino. Quei momenti vanno rispettati: poche parole, pochi gesti, solo quelli indispensabili. E guardatelo! Un neonato si guarda così volentieri, per ore. Poi ti dici: “Come è possibile?”, più che felicità è stupore. Se ci pensi bene, la felicità viene più avanti.

I primi giorni, se ti ricordi bene, non è neanche tuo figlio. Diventerà tuo figlio. I primi giorni lo guardi come a chiederti “Cos’è?” “Chi è?”.

Anche a questo fatto mamme e i papà vanno educati: può succedere che i primi giorni i piccoli siano visti come estranei, sconosciuti. Si fa fatica a toccarli e ci si dice che è perché abbiamo paura di far loro male, ma non è vero. Si fa fatica a toccarli perché sono sconosciuti. Non è tuo figlio. Lo diventerà pian piano, giorno dopo giorno, facendo delle cose insieme.

Ma lì è uno sconosciuto, è il mistero incarnato e quel mistero va rispettato. Il bimbo in quel momento ha bisogno veramente di poco, come insegnano le popolazioni che noi consideriamo “primitive” e che in realtà sanno ben più di noi: in quella fase spesso i genitori non possono essere avvicinati, addirittura abitano in una capanna isolata e non vanno toccati. Per 40 giorni vanno lasciati tranquilli e la donna non deve fare niente altro che occuparsi del bambino, altri cucinano per lei e la accudiscono. È molto sapiente questo, e noi li chiamiamo primitivi! È un momento di rispetto, non perché la donna stia male, ma perché ha bisogno di chiedersi cosa è successo, di prepararsi ad affrontare l’avventura della maternità per la quale deve, prima di tutto, educare se stessa.

Domanda: come possiamo fare per ripristinare questa situazione? Creare un gruppo?

Beatrice: dirlo, parlarne, far leggere, soprattutto a persone che aspettano un bambino. Incoraggiarle in questa cosa. Anche se è difficilissimo!…per questo ho chiesto un consiglio.

Domanda: Alessandra Ielli, la nostra insegnante di yoga in gravidanza ad Asia Modena, dice che abbiamo fatto un bel gruppo e siamo riuscite a partorire in una maniera dignitosa per una donna. A volte incontriamo donne che vogliono fare l’epidurale e proviamo a farle ragionare, ma rispondono: “ho già sofferto abbastanza”, ” ho la sciatica”, ” ho questo e quello”. Non vogliono soffrire. Così noi passiamo per le fanatiche che vogliono le cose naturali a tutti i costi. Ma io sono contenta del parto che ho avuto, l’ho cercato e sinceramente sono contenta. Ma si può proporre a tutti?

Beatrice: a Leboyer, quando è venuto ad Asia Bologna, qualcuno ha fatto una domanda simile. Lui ha detto che questo modo di affrontare gravidanza e parto non è per tutti. È vero, ma comunque questa possibilità va data, va proposta, testimoniata come state facendo voi, senza fanatismi, più che dirlo e testimoniarlo non si può fare. Come ho detto, un bambino nasce già antico e quindi ci sono storie che noi non conosciamo. Non sappiamo perché qualcuno è pronto e qualcun altro no. Però quanto meno testimoniare, questo possiamo farlo.

È al di là delle scelte il sentire di cui parlo; si presenta anche in caso di travaglio o parto disturbato. Quel sentire viene fuori sempre: non è perché una donna ha fatto l’epidurale, perché ha fatto l’episiotomia, che non si sentirà quel sapore di sconosciutezza addosso.

Domanda: durante il mio parto in ospedale avevo 13 medici tirocinanti che mi facevano domande sulle contrazioni e sul dolore delle doglie: “Quanto è intenso, da 1 a 10?”. E io ho detto, ma proprio con tanta serenità: “10”. e l’ho guardata come per dire “Secondo te… tu cosa proveresti al mio posto?”. Ma era una ragazza… puoi testimoniare, ma forse non bisogna traumatizzare queste persone, perché saranno i medici di domani

Beatrice: no, però non dovrebbe proprio accadere di avere intorno tredici medici tirocinanti in un momento come quello!

DOMANDA: ho partorito a gattoni perché non volevo vedere niente. Mi sono girata e mi sono immaginata di essere da sola chiusa in un uovo. Ho partorito benissimo e dietro di me c’era il mondo. Il medico chiamava i tirocinanti a vedere questo strano parto e questo è stato il lato un po’ comico. Dentro di me dicevo: venite pure, non c’è problema, tanto io sono chiusa nel mio uovo.

Beatrice: tu hai avuto sicuramente una preparazione tua, e una bravissima maestra, perché per fare questo ci vuole veramente una grande determinazione. Ma quello che mi viene da dire è che queste cose non devono succedere! Come è possibile? Questo io mi chiedo. Il mio è più uno stupore che una domanda, ma uno stupore di altro genere, non per il mistero ma per lo stato delle cose.

Domanda: adesso è di moda osservare tutto, entrare dentro tutto. Perché sembra che niente possa più sorprenderci.

Beatrice: o forse perché temiamo la sorpresa. Ma ci sono certe sorprese che non possiamo evitare. Noi crediamo di fortificarci con tutti questi controlli, ma questo ci rende più fragili. Non sappiamo più accettare un imprevisto, non sappiamo più neanche pensare che le cose potrebbero andare in un altro modo, non ci concediamo neanche il pensiero. Ma questa è una fragilità immensa e se educheremo i nostri figli a questo, sarà una catastrofe. Stiamo sfornando generazioni sempre più fragili, incapaci di sopportare l’imprevisto.

Domanda: ho avuto un parto difficile, mia figlia è stata a lungo in incubatrice. Secondo lei, l’esperienza negativa alla nascita può rendere difficile la vita?

Beatrice: non è detto. I bimbi nascono antichi, il parto e la nascita sono dei momenti importantissimi sicuramente, ma io penso che ci siano stati altri momenti importanti anche prima e che ce ne saranno altri dopo. Ogni bimbo reagisce in un modo diverso. Ad esempio, un bimbo che ha avuto una nascita più difficile è un bimbo che potrà avere, un domani, più domande di un altro proprio perché questo sentire gli è rimasto stampato dentro; allora sta a te preparati molto bene a sostenere tua figlia nel suo domandare, che come abbiamo visto nell’adolescente può prendere la forma della rabbia, della sfida. Non conosco tua figlia, magari questa cosa la supera da sola, ma tu puoi preparare te stessa a sostenerla e a non crearle altri momenti difficili, non pensando solo quello che è già stato, ma a cosa puoi fare adesso per lei. Il miglior aiuto che potete dare ai vostri figli è preparare voi stessi. In Oriente si dice: “Se veramente vuoi aiutare qualcuno, illuminati!”. Cioè risvegliati al mistero che sei, completamente. A quel punto sai come aiutare un altro, saprai accompagnarlo se è un problema risolvibile, e se è irrisolvibile saprai comunque stargli vicino.

Una volta vidi una delle mie figlie chinata su una farfallina che stava morendo. Le chiesi: “Cosa fai? Sta morendo?”. E lei: ” Sì, sì anch’io penso che stia morendo”. “E cosa fai? “. “Le facccio compagnia”.

Ed è stata lì con lei fino a che è morta e anche dopo. Io questa cosa non gliel’ho mai insegnata, ma lei sentiva che era importante fare compagnia a qualcuno. Non c’era soluzione al problema della morte – a volte possiamo risolvere, a volte no – ma se non posso risolvere il tuo problema sto qui e ti faccio compagnia, sto qui con te. Non piangeva perché la farfalla stava morendo, non era triste, era lì a farle compagnia, la guardava e questa è la cosa più importante secondo me.

Cosa posso fare per mio figlio? Risvegliarmi è la cosa più importante. Allora in quei momenti se sarà risolvibile, bene, se no ti faccio compagnia. Questa è la Via.

Domanda: quindi il trauma della nascita di cui parla la psicanalisi non è un evento così scontato? Possiamo avere un parto “dolce”?

Beatrice: non so in psicanalisi cosa si intenda profondamente per trauma della nascita. La nascita è sempre un evento grosso, per il bambino è una trasformazione totale: lui si trova ad un tratto a fare una cosa completamente diversa da quello che ha fatto in quei nove mesi. Stava lì bello accoccolato a giocherellare e d’un tratto si trova con questo utero che lo spinge e non sa perché. E si ritrova lui stesso a spingere e a fare qualcosa, ma non sa dove sta andando, non sa cosa gli stia succedendo. Non è sicuramente una cosa banale, deve fare le mosse giuste. La nascita “dolce”, intesa come un bambino che esce senza accorgersene, non esiste. Sarà sicuramente segnato, ma non è detto che sia segnato in modo negativo.

Leboyer lo scrive, e io l’ho visto con i miei figli: i bambini nascendo non piangono, non hanno motivo per piangere. Possono fare qualche versetto, ma il pianto è solo perché noi li disturbiamo tagliando, per esempio, subito il cordone ombelicale… Il cordone ombelicale non va tagliato: continua a rilasciare ossigeno attraverso il sangue finchè il bimbo non inizia a respirare da solo, lo sta tutelando; la cosa stupefacente è che il cordone smette di pulsare proprio quando il bambino inizia a respirare, come dicesse: “non c’è più bisogno di me!”. Da quel momento si può tagliare. Invece noi reagiamo alla intensità, alla emozione della nascita, tagliandolo subito. E il bimbo piange perché è costretto a respirare coi polmoni – cosa che non ha mai fatto prima – con tutti i rischi che questo comporta se qualcosa non va subito bene… Lasciando il cordone intatto invece il bambino passa dolcemente dal respiro attraverso il cordone al respiro polmonare, senza pericoli. È un mistero molto sapiente! Inoltre si è visto che, lasciato da solo vicino alla mamma, il piccolo appena nato pian piano si sposta e va al seno della mamma. Il bambino sa cercare il seno e fa esattamente la cosa più importante, che serve a lui e serve alla donna: serve a lui perché deve imparare a mangiare e quello è il momento dove ha il riflesso di suzione più forte. Serve alla donna perché succhiando il capezzolo, la placenta esce con molta più facilità. È saggia questa cosa! Non l’ha fatta nessuno questa cosa, ed è così sapiente!

Per lasciare che questa sapienza si dispieghi bisogna che prepariamo noi stessi a sostenere la situazione. E non solo noi, ma anche chi opera nel campo della nascita. Come genitori possiamo sapere tutto – come non va disturbato un bambino, che non va tagliato il cordone, che non va staccato dalla mamma – ma poi arrivano gli operatori e “zac!”, tagliano. Certi operatori mi hanno sinceramente detto: “Non so perché l’ho fatto, ma non ce l’ho fatta a non farlo!”. Perché non ce l’hanno fatta? Perché è difficile stare in quella situazione, perché non ci si abitua a una nascita, non ci si abitua al mistero! Si deve fare qualcosa di conosciuto anche se non serve… E quindi vanno preparati anche gli operatori.

Domanda (uomo): è molto interessante quello che dicevi nel dialogo con tua figlia che ti chiedeva “Da dove viene il primo bicchiere di latte?”.

A volte si dice che la morte la viviamo non solo in quell’unico momento alla fine della vita ma in tanti momenti, in tante “piccole morti”: nei momenti di perdita, di mancanza, di fine di una relazione. La morte ha una sua dimensione “quotidiana” che ci coinvolge molto.

Forse anche ognuna di quelle domande – di tua figlia, dei bambini e degli adulti – ognuno dei momenti di stupore che ci capita di vivere sono come “piccole nascite”? Se vedessimo quei momenti come qualcosa che si staglia e che ti include, e ti fa dire “cos’è?”… forse in quel modo l’evento “nascita” ci riguarderebbe da vicino? Anche se non siamo mamme.

Beatrice: assolutamente sì! Anche chi non ha mai avuto un figlio vive costantemente delle “nascite”: stupori, meraviglie. E si ritrova in quel momento come il neonato, con quello stesso sguardo. Per questo suggerisco spesso di guardare in silenzio il neonato. Quando le mamme dopo il parto mi dicono che vorrebbero venire a praticare Yoga ma sono troppo impegnate con il bimbo, dico loro: “Quando puoi vieni a praticare, ma intanto fa quello che fa lui. È lì sdraiato? Sdraiati anche tu e comincia a guardare con quello sguardo, così”.

Un neonato guarda le cose, ma non le sa nominare. Non sa che questo è un bicchiere, che contiene acqua, ma con questo non vuol dire che non lo veda. Solo non lo riconosce; riconoscere e vedere sono due cose diverse. Il neonato vede, ma non “riconosce” gli oggetti in quanto oggetti, non li sa nominare. Se provaste a guardare le cose senza dare subito loro un nome, così come farebbe il neonato, vi verrebbe da dire: “Non so cos’è questa cosa!”. Le guardate, e in quel momento la state veramente vedendo, proprio quando non riconoscete più una ‘cosa’ la state vedendo nel suo mistero sapiente! Quella cosa non so cos’è, ma so che c’è! Quelli sono i momenti importanti, sì è la nostra “nascita di nuovo”, assolutamente!

Domanda: un filosofo tedesco, Steinthal, scrisse che gli animali hanno memoria ma non hanno alcun ricordo. Per i bambini è lo stesso?

Beatrice: penso di sì! Interessante: cos’è una memoria senza ricordo? Cos’è un guardare senza riconoscere? Queste sono proprio le domande che fanno i bambini! “Mamma, com’è quella stanza quando non ci sono dentro e non la vedo?”

Com’è? Rispondete! Bella domanda, eh? “Com’è questa stanza quando nessuno la guarda?”. Sono domande che arrivano così, a bruciapelo.

Uno dei miei figli una volta sfrecciando per casa ha visto una videocassetta e ha chiesto “Mamma, perché c’è questa videocassetta?”. Allora ho chiesto: “Perché ci sei, tu?”. Risposta: “Ah!…se non ci sono io non c’è niente!”. Poi è ri-sfrecciato via!

Bisogna essere pronti a queste domande. In quella occasione ho imparato io, perché l’educazione non va in una sola direzione: potete insegnare, testimoniare e nel contempo imparare! Non fatevi sfuggire quando questi piccoli maestri insegnano: “Se non ci sono io non c’è niente!”. Dopo ho provato a chiedere: “Te l’ha detta papà, eh, questa cosa?”. Risposta: “No, io lo so!” .

Un’altra volta ha telefonato a casa nostra il nostro amico Giorgio e ha risposto la piu’ piccola al telefono. “Ciao, sono Giorgio”. E lei “Perché sei Giorgio?”. Provate a rispondere! Sono domande bellissime. Aiutatemi a fare in modo che queste “nascite” non vengano rovinate, che siano rispettate!

Domanda: mio figlio, quando non aveva ancora tre anni , mi ha chiesto: “Perché quella volta che ero sulla nuvoletta, ti ho scelto?” e io ci sono rimasta secca. Poi l’ho lasciato raccontare, però ha detto una cosa profondissima.

Beatrice: giusto, bisogna lasciarli parlare, non aver fretta di rispondere. Non vogliono risposte, vogliono celebrare il mistero con voi! Però tutto ciò è difficile da sostenere, sono momenti intensi: pensate alla persona che si sente chiedere: “perché sei Giorgio?”.

Bene, se avete delle idee Alessandra è a disposizione per raccogliere tutti i vostri suggerimenti. Asia Modena è a disposizione per accogliervi nella Via, perché qui ce ne sono veramente diverse. Ricordatevi che intraprendere una Via è il regalo più grande che potete fare a chiunque nasca. Grazie a tutti!

Trascrizione: Valentina Boni, Roberta Cappi, Claudia Vignudini. Redazione: Roberto Ferrari.

Leggi la prima parte

Leggi la seconda parte