Interdipendenza nelle isole oceaniche ed esperienza della finitezza*

Leggi il secondo capitolo: è possibile coniugare ecologia ed economia?

3. Dinamiche di reciproca dipendenza: la biologia e la filosofia buddhista

 

Dobbiamo sviluppare la nostra capacità
di sentire le nostre emozioni e quelle degli altri
di percepire la bellezza del mondo,
e di pensare nel modo giusto.

Pierre Lévii

L’interdipendenza non è un’idea filosofica o una visione del mondo, ma un fenomeno scientifico studiato in particolare in biologia, ma anche in fisica quantistica[i]. Tutti gli organismi manifestano dinamiche interdipendenti non solo con altri organismi o ambienti, ma anche in modo evidente al loro interno.

Ne è un esempio efficace Dictyostelium discoideum, una grossa ameba sociale di circa 2mm e di un bel colore giallo arancio: quando il clima della lettiera dei boschi dove vive diviene più umido e favorevole… essa scompare! O meglio, “essa” diventa “essi”, si frammenta in milioni di cellule ameboidi autonome. Al contrario, quando il loro habitat diviene troppo caldo e secco e rischiano di morire di fame, invece di darsi al cannibalismo le cellule di Dictyostelium si riuniscono in una “cooperativa”: attivano – in modo spontaneo e distribuito – un meccanismo di emissione nell’ambiente di ondate di AMPciclico, una molecola che le stimola a specializzarsi e a riunirsi in rapporti di forte dipendenza reciproca fino a formare una specie di piccolissima lumaca[ii]. Alcune cellule circolano all’interno della lumaca come sentinelle inglobando e distruggendo i patogeni con cui viene in contatto, e venendo poi abbandonate. Altre cellule si sacrificano per formare uno “stelo” sul quale si arrampicano le altre amebe e da dove formano spore per la riproduzione.

Tutto questo avviene senza un progetto centrale, ma per un’interazione tra le cellule che si muovono e si influenzano a vicenda. Il “progetto” di riunirsi è distribuito nella rete di contatti tra esperienze locali delle singole cellule e la fa convergere e socializzare. Produce un nuovo organismo sociale capace di difendersi e riprodursi, ma anche di apprendere come trovare cibo nei labirinti sperimentali, come fa un topolino.

Allora, quando guardiamo al topolino, a Tikopia o al nostro pianeta, cosa c’è realmente là?

L’interdipendenza in biologia non consente più di pensare agli organismi, agli ambienti naturali e alla vita come “cose”, come sostanze o a identità stabili: l’attenzione si sposta sulle reti di relazioni. La membrana cellulare permette (suddividendo in compartimenti l’ambiente cellulare) i processi biochimici che la mantengono. Allo stesso modo, il suolo islandese non esiste senza la collaborazione di batteri, muschi, erbe e arbusti che lo compattano e lo rendono fertile, mentre questa copertura vegetale a sua volta dipende dalla cenere vulcanica che fornisce la base per la costruzione di suolo. Le amebe sociali incarnano le stesse dinamiche circolari di co-emergenza.

Nel caso del Dictyostelium si tende a definire “reale” non le singole cellule ameboidi, ma la piccola lumaca-colonia – oppure la struttura riproduttiva sessile che da essa si sviluppa.

Nel caso degli insetti sociali come le Termiti, si tende in genere a dare più realtà ai confini ben definiti del singolo insetto, piuttosto che a tutta la colonia, o al termitaio di fango. Tuttavia sono proprio queste ultime identità collettive che hanno un ruolo ecologico decisivo. In aree tropicali soggette ad allagamenti, alcune specie di Termiti (Macrotermes michaelseni in Africa del Sud; Amitermes meridionalis  in Australia) edificano grandi termitai di fango, capaci di ospitare fino a 5 milioni di individui per colonia. Queste strutture, durante le inondazioni stagionali, sembrano isole artificiali che sporgono dall’acqua, nelle quali la colonia di Termiti si salva “ai piani alti”; ma oltre a questo offrono rifugio a moltissimi semi di piante, a insetti e altri animali. In pratica sono delle “isole di biodiversità”, dalle quali, quando le acque si ritirano, le specie tornano a popolare la savana e a ricostruirne le relazioni ecologiche di base[iii].

Le relazioni tra i fenomeni viventi determinano dunque anche la produzione di sistemi ecologici. Nel disegnare queste reti circolari possiamo utilizzare frecce che vanno nelle due direzioni, il cui significato è più simile a “co-produce, condiziona, permette” che non a “causa”.

E’ rilevante notare che gli elementi locali e microscopici non sono “l’origine” o “l’essenza” da cui derivano fenomeni viventi o ecosistemi globali; né vi sono i “progettisti” o i “centri direttivi” che governano i fenomeni locali di auto-assemblaggio dal basso (bottom-up) di amebe sociali o di termitai-isole. Se si guarda da vicino un fenomeno vivente non si trovano questi elementi oggettivi: si resta solo con costrutti virtuali generati in modo spontaneo e circolare dalla rete di relazioni sottostante. Proprio perché privi di sostanza, possono creare sempre nuove configurazioni e nuovo ordine.

Così un indigeno della Nuova Guinea, appartenente a una popolazione che non conosceva la scrittura, giunto per la prima volta a contatto con una matita, fu osservato mentre la usava come fermacapelli, orecchino, ornamento nasale, stuzzicadenti e … arma![iv]

L’interdipendenza è una chiara posizione epistemologica che radica nella biologia evolutiva. Si focalizza sulla natura co-originata ed emergente dei fatti a ogni livello, compreso quello della produzione di teorie e della stessa esperienza vissuta: infatti vi sono analogie tra la co-generazione di organismi ed ecosistemi e la co-generazione di esperienze che la filosofia buddhista descrive nella legge della co-produzione condizionata (Pratytya-Samutpada). Di fatto, sia la scienza sia il buddismo sono metodi di indagine capaci di esaminare i fenomeni instabili fino agli estremi dettagli, anche quando perdono caratteri propri e sembrano sfumare in una rete di relazioni[v].

Vi è una profonda differenza tra l’intendimento occidentale e quello buddhista del rapporto uomo-natura. Il Buddhismo non ha mai pensato la Natura come una “cosa”, ovvero “la sostanza di quelle cose che hanno in sé il principio del loro movimento” (Aristotele), e parimenti non ha prodotto una idea di una “essenza dell’uomo”, un Io, uno spirito o un agente della cultura e della storia che stia di fronte alla Natura e la controlli. Il pensiero occidentale si è invece strutturato intorno a questi caposaldi “Io-Natura” e continua a potenziarli a vicenda. Tuttavia le punte più avanzate della scienza li stanno ponendo in seria discussione: la fisica quantistica mettendo in evidenza la natura partecipata della misurazione, frutto dell’interazione osservatore-sistema; le scienze cognitive mettendo in crisi la possibilità di ridurre mente e conoscenza a sostanze come prodotti celebrali o evolutivi[vi].

L’interdipendenza propone un’alternativa all’opposizione Io-Natura. Non si tratta tuttavia di una unità positiva del tipo “tutto è Uno”, che rischierebbe di nuovo di affermare una super-sostanza vitale, spontanea ed eterna, auto-organizzata e interconnessa in una armonia globale. Piuttosto l’interdipendenza, non salvando alcuna sostanza ultima, dà l’impressione di trovarci dentro ad una unità molto particolare in cui “tutto è Niente”. Non inteso come “non esiste”, ma in almeno altre tre accezioni: 1) i fenomeni e le relazioni sono finiti nel tempo; 2) tutti i fenomeni si riducono a un Niente di qualità e conoscenza, co-emergono ma non si fanno afferrare o definire; 3) “tutto è Niente”, nel senso che dal punto di vista della conoscenza non possiamo caratterizzare in modo stabile  un mondo o una identità, perché queste caratteristiche sono in continuo cambiamento. Riprenderemo questo punto.

Ma anche se “tutto è niente” si possono ancora identificare dinamiche precise e le si può studiare scientificamente. Si può studiare l’eco-interdipendenza nelle reti ecologiche per modificare in modo intelligente le relazioni e per assorbire le perturbazioni ambientali come hanno fatto gli abitanti di Tikopia e le amebe sociali.  Questo inizia a fornire indicazioni anche su come deve esprimersi una “ecologia in prima persona”: non costruendo una “cosa” o una teoria in più, ma favorendo un “modo di operare” che vada a promuovere le relazioni ecologiche e a rimuovere ostacoli, che si distribuisca nelle reti locali e faccia co-emergere nuove dinamiche.

Ora è il momento di provare ad applicare tutto questo all’attuale crisi ecologica del nostro pianeta, un’isola viva e interdipendente isolata nell’oceano dello spazio.

Ci chiederemo come mai non diamo fiducia alle scoperte sempre più dettagliate che abbiamo sulla natura interdipendente del pianeta, e quale sia l’elemento che manca per attivare un’autentica trasformazione del rapporto tra uomo e ambiente.

 

Leggi il capitolo “Ecologia e finitezza”/1: perchè facciamo scelte eco-ambientali rovinose?

Leggi il capitolo “Ecologia e finitezza”/2: è possibile coniugare ecologia ed economia?

Leggi il capitolo “Ecologia e finitezza”/4: perchè non crediamo ai dati sulla crisi ambienta?

Leggi il capitolo “Ecologia e finitezza”/5: qual è il legame tra la “fine” dell’ambiente e la nostra?

Leggi il capitolo “Ecologia e finitezza”/6: come riusciamo a “distrarci” dal problema ambientale? 

Leggi il capitolo “Ecologia e finitezza”/7: da dove ripartire per uscire dall’emergenza ambientale? 

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[*] Lavoro presentato al convegno “Ecology in the first person”, 6 April 2010, École Polytechnique Paris CREA/CNRS, “Co-interdependency in Oceanic Islands and lived experience of finiteness”.

 


[i] M. Bitbol, Non-Representationalist Theories of Knowledge and Quantum Mechanics, SATS (Nordic journal of philosophy), 2, 37-61, 2001

[ii] E. Fox Keller, The Force of Pacemaker Concept in Theories of Aggregation in Cellular Slime Mold, in Reflection on Gender and Science, Yale University Press, New Heaven, 1996.

[iii] R. Ferrari, R. Pulido, F. Ferri (2006), Menti connettive e produzione di mondi negli Insetti sociali. Un modello per l’esperienza cosciente? In Dedalus  n. 1, 27-39, 2006.

[iv] J. Diamond, 2005, op.cit.

[v] M. Bitbol, 2001, op.cit..