I dieci dipinti del bue

Ideogramma sulla ricerca del bue 

Il professore e maestro Zen Ueda Shizuteru ripercorre i dieci passi della ricerca del bue che gli antichi monaci Chan cinesi prima e quelli Zen dopo, hanno individuato lungo la via che porta alla scoperta della verità. La storia utilizza la metafora di un pastore che ha perso il suo bue e vuole ritrovarlo per indicare le tappe fondamentali di questo cammino.

La serie di dieci dipinti alla quale si riferisce Ueda, tuttora conservata al tempio Shōkoku-ji di Kyoto e qui riprodotta con i relativi commenti in prosa e in versi, è attribuita al pittore giapponese Shūbun (XV secolo), che si ispirò al maestro zen cinese Guoan Xiyuan (XII secolo), la cui analoga serie di dipinti è andata ormai perduta. Per maggiori dettagli sulla complessa e multiforme composizione di questo classico zen, si vedano D. T. Suzuki, Manual of Zen Buddhism, Grove Press, New York 1960, pp. 127-9 (trad. it., Manuale di Buddhismo Zen, Ubaldini, Roma 1976, pp. 95-6) e Der Ochs und sein Hirte: Eine altchinesische Zen-Geschichte, Neske, Stuttgart 1995, pp. 55-8 (trad. it., Vuoto/Pieno. Il bue e il suo pastore: una storia zen dell’antica Cina, a cura di V. Tamaro, Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 26-8).

Curatore e traduttore: Carlo Saviani. Il testo si trova in Ueda Shizuteru, Zen e filosofia, Nagoya 2017, pp. 237-257. 

Guarda il video introduttivo  dell’evento organizzato da ASIA che ha visto protagonista Ueda Shizuteru. Interprete del prof. Ueda durante la conferenza: prof. Matteo Cestari.
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1. La ricerca del bue

Perché mai cercare? Fin dall’inizio, il bue non si è mai perduto. Ma il pastore ha voltato le spalle a se stesso, e così il suo bue gli è diventato estraneo e si è smarrito in spazi remoti e polverosi.
Le montagne natie si fanno sempre più lontane. Di colpo il pastore finisce in un intrico di sentieri. Brama del guadagno e paura della perdita divampano come fiamme, e come lance sul campo di battaglia si ergono l’una contro l’altra le idee di giusto e ingiusto.

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2. Le tracce del bue

Grazie alla lettura dei sūtra e all’ascolto degli insegnamenti, il pastore può ora scorgere qualcosa del senso della verità. Ha scoperto le tracce. Ora sa che le cose, per quanto diverse possano essere le loro forme, sono tutte dello stesso oro, e che l’essenza di ciascuna cosa non è diversa dalla sua. Eppure non sa ancora distinguere ciò che è autentico da ciò che non lo è, tanto meno il vero dal falso. Non può neanche passare per la porta. Per questo si dice soltanto che ha già scoperto le tracce.

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3. L’incontro col bue

Nell’attimo stesso in cui il pastore sente il suono, di colpo balza nell’origine e la riconosce. I sensi vaganti sono ora acquietati, in tranquilla armonia con essa. Svelato, il bue permea con tutto se stesso ogni atto del pastore. È presente in modo inseparabile, come il sale nell’acqua marina o la colla nel colore del pittore. Quando il pastore apre bene gli occhi e guarda, non vede altro che se stesso.

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4. La cattura del bue

Per la prima volta, dopo essere rimasto tanto a lungo nascosto nella selva, oggi il bue è stato preso. Ma il mondo così abituale e gradevole di questa selva lo attrae ancora così tanto che è difficile tenerlo. Non sa ancora sottrarsi al desiderio dei fragranti cespugli. Ancora gli smania dentro un’ostinata caparbietà ed è dominato dalla sua natura selvatica. Se il pastore vuole davvero ammansirlo, deve domarlo con la frusta.

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5. La domatura del bue

Se nasce il più piccolo pensiero, inesorabilmente ne segue un altro, in una giostra senza fine. Il risveglio rende tutto vero; la cecità, invece, tutto falso. Ogni cosa intorno non nasce da se stessa, bensì unicamente dal cuore originario. Tieni salda la corda e non concederti esitazioni!

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6. Il ritorno a casa in groppa al bue

Adesso la lotta è finita e sono svaniti guadagno e perdita. Il pastore canta una canzone di boscaioli e col flauto intona un motivetto per bambini. Seduto in groppa al bue, alza lo sguardo al cielo azzurro. Se qualcuno lo chiama, non si volta; se lo tira per la manica, non si ferma.

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7. Dimentico del bue, il pastore resta solo

Non c’è dualità nel Dharma. Il bue è stato rappresentato solo come un segnavia provvisorio, come il laccio per le lepri o la nassa per i pesci. Adesso per il pastore è come se la luna si stagliasse sulle nuvole o l’oro scintillante venisse separato dalle scorie. La stessa luce fredda luccica già da prima della nascita del mondo.

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8. Oblio completo del bue e del pastore

Tutti i desideri mondani sono caduti, e insieme si è completamente svuotato anche il senso del sacro. Non restare dove dimora Buddha, va’ via veloce da dove non dimora alcun Buddha. Se non si è più attaccati a nessuno dei due luoghi, ciò che vi è di più intimo non lo si potrà più vedere, neanche con mille occhi. Il sacro, al quale gli uccelli offrono fiori, è solo una vergogna.

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9. Il ritorno nel fondo e nell’origine

Fin dall’inizio è puro e senza polvere. Là, qualcuno contempla il sorgere e il tramontare di ciò che ha forma, e dimora nella raccolta quiete del non agire. Non si lascia più illudere dalle transitorie e ingannevoli immagini del mondo, e non ha più bisogno di esercitarsi. Azzurri fluiscono i torrenti, verdi si elevano le montagne. Seduto, se ne sta a guardare il mutare delle cose.

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10. Al mercato con le mani ciondolanti

La porta di fascine della capanna è ben chiusa, e neanche il più saggio tra i santi potrebbe scorgerlo. Sepolta in profondità la sua natura illuminata, si permette anche di deviare dai sentieri dei venerabili saggi dell’antichità. Con in mano una fiaschetta di zucca, entra nella piazza del mercato; appoggiandosi ad un bastone, ritorna alla capanna. Quando gli va, frequenta osterie e banchi di pescatori, perché gli ubriaconi si risveglino a se stessi.

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