Partire da uno sguardo affacciato sul mondo. Sua articolazione.

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Scrivevo nella scorsa puntata:

“… il punto cruciale consiste nel provare a recuperare lo sguardo originario (vedi puntata II).

Potreste comprendere tutto molto meglio dopo anche solo cinque prove di assorbimento nello sguardo. Non limitatevi a capire concettualmente, provate! 

Non confondere il solo capire col realizzare, non confondere il realizzare con l’illuminazione, non confondere l’illuminazione con l’essere liberati. 

Proverbio di saggezza tibetano

È davvero essenziale prendere relazione col proprio affacciamento sul mondo perché il resto del percorso trovi significato.”

In questa puntata provo a spiegare l’inizio dell’esperienza d’indagine.

È problematico spostare il baricentro del proprio intendimento di mondo dall’idea di se stessi in quanto “cosa tra le cose” a quello di “affacciamento sul mondo”. Qualcuno ha scritto che non vi è forza più potente di un paradigma. Concordo, e quello vigente è oggettivista. Il soggetto – tu che leggi! – alla luce dell’oggettivismo, non è altro che un oggetto chiamato “soggetto”.

L’esperienza dello sguardo originario e della permanenza in esso e come esso, costituisce una sfida potentissima al paradigma oggettivista.

Quando guardiamo un panorama, quello che ci cattura è il “là”, come nella magnifica foto qui sopra; ci cattura il panorama mentre sempre ci sfugge il “da dove” lo vediamo.

Verrebbe da dire “dagli occhi”; ma anche se chiudiamo gli occhi, ancora vediamo. Da dove?

È possibile invertire la freccia dell’attenzione – momento che lo Ashtanga yoga di Patanjali chiama pratyahara – e risalire fino al “qui” ultimo ed originario, il drashtar,  “colui che vede”.

Alla prova di questo vi incito insistentemente; non liquidatelo in sede teorica

La tesi da porre in verifica è che non solo lo sguardo, ma anche il processo del sapere più originario, il più intimamente nostro, quello che in cui riponiamo fiducia, accada nel “qui”.

La verifica della tesi può essere impostata nel modo seguente:

cosa caratterizza il processo del sapere?

Un bisogno di sapere il vero su qualsiasi cosa. Criticare questo si basa sul bisogno di non essere ingannati e quindi il punto di partenza è confermato.

Ogni affermazione va vagliata da un dubbio. O no?

Quindi il processo del sapere è certamente caratterizzato anche da un dubitare, forma concisissima ed universale del domandare il quale abita lo sguardo originario.

O no? Appunto.

Ma prima ancora di domandare, dobbiamo essere stati catturati da qualcosa su cui domandarci. Il domandare è, dunque, preceduto da un accorgersi, dal risaltare di un fenomeno che chiede la luce di una comprensione.

E ancor prima di ogni accorgersi, dobbiamo essere aperti su un ambito.

L’originario essere aperti su un ambito è lo sguardo di cui dicevo, ed in esso accade quanto appena detto:

  • un accorgersi
  • un domandare (dubitare)
  • un rispondere

E daccapo e daccapo e daccapo… come le pale di un mulino ad acqua: ci si può accorgere, domandare e rispondere su un’infinità di cose, ma resta il fatto che sempre ci si accorge, domanda, risponde. Il contenuto cambia, il contenitore resta invariato.

Un ciclo inarrestabile che sarete costretti ad attivare anche per approvare o contestare queste righe.

Ma come sappiamo che proprio nello sguardo accade il domandare?

Supponiamo che il domandare sia altrove, non all’origine. Per cercare tale luogo, orienteremmo lo sguardo con un “dove altro?”. E così lo sguardo stesso mostrerebbe di essere già sguardo interrogante e ricercante, ossia proprio il luogo del domandare che cercavamo. Dunque nello sguardo accade già e sempre il domandare. Avete dubbi? Chiudete gli occhi e cercate di cogliere dove accade l’evento dubbio. Coglierete una densità. Il dubbio non è astratto, è sempre vissuto e localizzato. Individuabile in quanto evento. Qui.

Prima di fare il primo passo, la meta è raggiunta, predica il Buddhismo.

Ma tutto ciò va verificato sul campo del guardare originario stesso.

Esiste questo sguardo originario, aperto ed acceso anche nel buio e sul buio? (Domanda)

Sì/no (Risposta)

Si comporta come descritto? (Domanda)

Sì/no (Risposta)

In ogni caso la risposta è sì, anche rispondendo no alle domande.

Una volta colto, pare ovvio. Ma invito a non confondere l’ovvio con l’evidente.

Che vi sia questo originario Aperto veggente attraversato da un bisogno di sapere; che si articoli in un accorgersi, un domandare ed un rispondere, non è per nulla scontato né ovvio. È solo evidente, una volta che si sia sufficientemente pratici dell’autoreferenza vissuta, base della meditazione.

L’originario Aperto non ha perché, in quanto li genera tutti.

Fate l’esperienza con determinazione, con spirito combattivo. La meditazione è luogo di esperienza e di verifica. Ciò che può essere dubitato e confutato, lo deve essere poiché il vero è tale solo se resiste ad ogni attacco.

Ma come dubitare dell’essere del dubitare?

Come dubitare d’essere io qualcos’altro che il dubitare stesso?

Grande dubbio, grande illuminazione,
medio dubbio, media illuminazione,
nessun dubbio, nessuna illuminazione.
Hakuin

 

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