La Meditazione e il percorso intimo di autoreferenzialità cognitiva

In che consiste, in ultimo, la ricerca più profonda, quella su di sé e sul proprio essere nel mondo?

Quali ne sono i passaggi obbligati e l’obiettivo?

La visione decisiva non potrà che accadere in un momento in cui “si riconosce che..”.

Questo “riconoscere che..” è l’a priori di ogni presa di coscienza possibile, sia sul “come” della nostra esperienza di noi stessi e del mondo sia sul puro “fatto che” esistiamo in un mondo.

Di tutto quanto possa accadere è necessario “riconoscere che..”.

Anche convincendosi di una falsa visione, essa si presenta comunque in un “riconoscere che..”.

Ciò che è così riconosciuto può variare o restare nebuloso, ma anche così resta il fatto che “riconosco che” è nebuloso.

Il “riconoscimento” è anche menzionato nelle vie meditative come il momento supremo nella realizzazione.

Il gruppo di Asia medita a Bodhgaya

Il gruppo di Asia medita a Bodhgaya, luogo dove Siddhartha Gautama divenne un Buddha, un risvegliato.

L’atto del riconoscimento è un “trascendentale”.

Con ciò non voglio evocare nulla di spirituale, ma solo sottolineare che esso in nessun modo può ricadere tra le cose da indagare oggettivamente con studio e ricerca poiché ogni studio e ricerca si aprono secondariamente ad un “riconoscere che..”.

Il “riconoscere che..” è fuori da ogni oggettivazione possibile.

Non si può che viverlo – persino negandolo, e con ciò dunque confermandolo seppure controvoglia – e riconoscere che mai cadrà “là davanti” alla stregua di ogni altro osservabile che si voglia studiare o indagare.

Qui chi fa scienza affidandovisi integralmente e intendendola come unico e onnicomprensivo metodo di ricerca e conoscenza, o crolla oppure non sta capendo.

È infatti necessaria una particolare intelligenza, chiamiamola metafisica, per intuire la insormontabilità trascendentale del “riconoscere che..”.

Tale sensibilità filosofica può essere in certi casi innata oppure essersi sviluppata (o potenziata) a scuola in un adeguato corso di filosofia.

Trascorrere i tre anni liceali, e ciò in un delicatissimo periodo di crescita e maturazione interiore, venendo introdotti alle profondità del pensiero è prezioso.

Almeno: io lo considero esser stato tale.

Chi mai si è cimentato prima con il significato dei “trascendentale” (Kant) deve subirne un impatto sconcertante che può risultare anche altamente problematico, essendo egli magari oramai radicato nella visione oggettiva del mondo solo così sentendosi inserito in un costrutto accettabile di senso.

Ma la dimensione trascendentale esiste, poiché anche nel cercare di confutarla non si può che usarla.

È inaggirabile.

(Piuttosto, sovente se ne aggira la comprensione)

“Riconoscere che..” è una scintilla cognitiva, la più originaria e, soprattutto, quella a cui più crediamo e non possiamo non credere.

Ogni teoria sul “riconoscere che..” sarebbe essa stessa riconosciuta.

Questo comporta che al “riconoscere che..” si dà credito assoluto.

Il “riconoscere che..” MAI può essere vissuto con parzialità, debolmente, relativamente.

Certo, posso anche sbagliarmi e illudermi mentre “riconosco..” (mi convinco) che qualcosa di errato sia vero.

Ma ciò nulla toglie alla assolutezza del “riconoscere che..” MENTRE “riconosco che..”.

È un evento nel quale vanno distinti l’atto dal contenuto.

Il contenuto può anche essere illusorio, ma l’atto MAI.

Qui sarebbe necessario procedere meditativamente.

Ad ASIA lo facciamo regolarmente.

Il gruppo di ASIA medita al Picco dell'Avvoltoio

Lo stesso gruppo medita al Picco dell’Avvoltoio, là dove si tramanda essere stata esposta dal Buddha la sapienza più profonda.

Seguendo una dettagliata mappa interiore esperienziale, ci si riduce alle fonti della coscienza di veglia, là dove si riassumono – o sgorgano – il pensare, l’immaginare, ecc.

Lo yoga permette di creare un profondo silenzio tutt’intorno a tale fiammella coscienziale trascendentale e in essa si può iniziare un percorso intimissimo di autoreferenzialità cognitiva.

Così si attinge al principio, ovvero a “ciò” che in noi costantemente “riconosce che..”.

Così anche si “riconosce che..” il percorso intrapreso è corretto.

Però, seppure si possa averne una forte intuizione anche senza meditare, ovvero solo in un intenso dialogo filosofico, questa non inciderà quanto se accadesse in meditazione.

Il che corrisponde alla differenza che il Buddhismo tibetano pone tra via dei Sutra e via del Tantra.

Tra la via della profonda riflessione e la via della “nuda visione” originaria.

La filosofia del futuro andrà integrata con questi “mezzi idonei” per non dover riconoscere che.. essa sarà definitivamente tramontata.

Lasciandoci così in una lunga notte del pensiero.

Nei nostri cieli voleranno navicelle fantascientifiche e le nostre vite dureranno forse secoli, però nelle nostre menti dominerà solo il buio più profondo.

E “saremo così miseri da neppure aver consapevolezza della nostra miseria“, come profetizzò l’ultima luce del pensiero occidentale: Martin Heidegger.