In occasione del primo convegno internazionale sulla coscienza del Centro Studi ASIA, abbiamo intervistato il Presidente dell'Institute of Tibetan Classics di Montréal, Canada.
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Domanda: Che cosa sia la coscienza umana è una domanda che risale ai primordi della storia del nostro pensiero: lei pensa che oggigiorno siamo più vicini ad una risposta di quanto lo si fosse in passato?
Non
sono sicuro che la risposta sia più vicina oggi che un tempo. È certo che essa
era e rimane un grande mistero per un lungo periodo nella storia del
pensiero umano. Non solo in Occidente, ma anche in Oriente la coscienza umana è
rimasta un mistero non solo per i religiosi, ma anche per i filosofi ed i
pensatori; la differenza oggi è che anche la scienza, per la prima volta nella
storia, sta entrando nel dibattito.
Ora
abbiamo un nuovo soggetto all’interno delle ricerche sulla coscienza e questo crea
un ambiente del tutto nuovo, una situazione davvero diversa rispetto a prima. Nel passato i ricercatori in questo
ambito furono per lo più i filosofi, i mistici ed i pensatori religiosi, e
forse per certi versi anche i poeti e gli scrittori di letteratura, e da ognuna
di queste prospettive emergevano punti di vista diversi ed idee molto
interessanti per quanto riguardava la coscienza, ma nessuno di questi poteva
vantare alcun privilegio sugli altri.
La discussione rimaneva, potremmo dire,
ad un livello più democratico. Ora però abbiamo un nuovo membro in questo gruppo
di studi, e questo nuovo membro ha molto maggior clamore sulla realtà di quanto
ne abbiano gli altri, almeno per quanto concerne i fatti di cui si occupa.
E se la coscienza è riconosciuta come
un altro fatto dalla scienza, ogniqualvolta essa si dovesse pronunciare sulla
coscienza, questo avrebbe un impatto maggiore sull’intendimento di “coscienza”
da parte della comunità umana. Perciò in quel senso penso che ci sia di più in
ballo, ma per ciò che riguarda la soluzione del mistero della coscienza io non
credo che ci siamo vicini.
Domanda: La ricerca sulla mente oggi include molte domande quali per esempio “Io sono il mio cervello?”, oppure “C’è una vita oltre la morte?” oppure ancora, “La vita ha un significato?”. Che cosa pensa del ruolo della scienza nel rispondere a queste domande? Ed inoltre, secondo lei, abbiamo bisogno di altre discipline per rispondere a tali domande?
Sì, è vero che, inevitabilmente, queste
sono diventate parte importante dell’intero bagaglio di domande riguardanti la
coscienza perché la questione della coscienza si collega direttamente a quella
della continuità dell’individuo.
Quindi la grande domanda riguarda che
cosa accada dopo la morte fisica, se ci sia la continuità della persona o se ci
sia una continuità di una qualche forma di coscienza.
Nel passato le persone non utilizzavano
il termine “coscienza” bensì il termine “anima”, perlomeno nel contesto
religioso. Sappiamo che le grandi religioni in qualche modo concordano tutte
sul fatto che la morte fisica non sia la fine della persona. Su come questa
continuità dell’individuo dopo la morte sia da considerarsi ci sono ovviamente
molti punti di vista.
In oriente la reincarnazione è da
sempre un concetto davvero molto importante, sia dal punto di vista filosofico
che etico e religioso, non solo per i buddisti ma anche per gli indù, mentre
per la tradizione giudaico-cristiana l’intendimento riguardava piuttosto una sorta
di viaggio, di cammino dell’anima verso Dio.
Ora che la scienza è entrata nel
dibattito penso che essa, o meglio gli scienziati stessi come individui, poiché
perlopiù essi hanno una forma mentis materialista secolare, che piaccia o
meno dovranno tenere in grande considerazione che la continuità della
coscienza è stata storicamente sempre una parte importante dell’intera
discussione.
Sul fatto che la scienza possa
realmente indirizzare sulla risposta a queste domande io non lo so; dal mio
personale punto di vista non credo che lo possa fare perché dobbiamo capire
che la scienza, non importa quanto sia potente, è un modo di conoscere, ed è un
modo di conoscere che è modulato su di un concetto molto particolare di che
cosa sia conoscere; e il “conoscere”, nel senso scientifico, è un fatto
oggettivo che è validato attraverso processi intersoggettivi di verifica,
verificando la ripetibilità dell’esperimento e così via. E domande sulla
continuità della coscienza dopo la morte, non riesco proprio a vedere come la
scienza potrà trattarle.
Inoltre, considerando anche la natura stessa della coscienza, la cui
proprietà principale in ultima analisi è l’esperienza soggettiva in prima
persona, dato il modo in cui la scienza è intesa, visti i paradigmi scientifici,
non posso concettualmente immaginare come la scienza possa maneggiare questo
singolare campo dell’esperienza cosciente soggettiva. Non lo so proprio.
Domanda: Rimanendo sull’argomento dell’esperienza soggettiva: Nel Buddismo il ruolo di una cruciale esperienza, quella di sfondare tutte le concettualizzazioni, è molto importante. E credo che nello Zen la verifica della realtà di questa esperienza sia anch’essa molto importante. Vorrei farle due domande. Se nel Buddismo tibetano ci sia qualche modo per verificare tali esperienze e come, nel dialogo interculturale, lei crede che si possa parlare di questa cruciale esperienza.
Penso che, similmente alla tradizione Zen, anche la tradizione tibetana enfatizza il ruolo dell’esperienza come un’importante fonte di
conoscenza, quindi il problema è dell’occidente moderno, a causa dell’influenza
dominante della scienza.
Quando noi pensiamo alla conoscenza di
qualcosa pensiamo immediatamente in termini discorsivi ai vari modi conoscere
questa o quella cosa, perciò già il modo di conoscere concettuale è a sua volta
costruito all’interno di un determinato concetto di conoscenza. Nella
tradizione buddista, considerando per esempio la profondità della conoscenza
della Verità, della Vacuità, non è propriamente conoscenza nel senso di “io
conosco questo in questo e quest’altro modo”. Non è così. Certo inizialmente
attraverso la ragione, attraverso i concetti, attraverso la decostruzione, ci
si arriva, ma è solo con un’esperienza finale che la conoscenza prende
concretamente la forma di una realizzazione. A questo punto non c’è una
vera dualità soggetto-oggetto, non ci
sono il conoscente e il conosciuto. Ma io penso che questo nei termini
occidentali sia davvero difficile da comunicare, poiché il concetto occidentale
di conoscenza è basato sulla dualità.
Quindi, penso che sia questo il
problema.
Domanda: Ritornando alla scienza, come lei ha detto prima essa non sta realmente dialogando con il problema dell’esperienza soggettiva poiché la scienza è sinonimo di conoscenza oggettiva, ma tipo di problematica è comune in molti altri campi. Possiamo provare a trovare l’esperienza oggettiva solo all’interno di noi stessi. Se proviamo a cercarla a partire dal punto di vista esterno abbiamo come risultato l’appianamento dei significati: i significati vengono semplicemente ridotti a dei fatti. Penso che questo sia un problema profondo all’interno della cultura occidentale, lo possiamo chiamare nichilismo o possiamo metterci il termine che vogliamo, ad ogni modo è la mancanza di significato. Nella nostra cultura il problema è questo: noi abbiamo una ben radicata, ma raramente espressa, domanda di senso. In quale misura pensa che il Buddismo, principalmente come filosofia, non come religione, possa aiutare ad affrontare questo problema?
Credo che a livello filosofico il Buddismo possa essere un esempio di come si possa intellettualmente e
filosoficamente abbracciare una visione del mondo in cui ci siano un profondo
riconoscimento di mancanza di essenza propria o di mancanza di fondamento
della nostra esistenza e, allo stesso tempo,
l’affermazione di un pieno e reale significato della vita. Penso che sia
un esempio di come nella storia si sia arrivati filosoficamente ed
intellettualmente all’apprezzamento del riconoscimento della mancanza di
fondamento dell’essere all’esistenza, e al contempo, invece di scivolare nel
nichilismo e disperarsi per qualcosa che ci avvolge, ha fatto della mancanza di
fondamento la base dell’apertura ad ogni
possibilità. Sulla base di questo si
fonda l’intera concezione dell’etica dell’interrelazione tra le persone, dell’interesse
al benessere reciproco, dell’interconnessione dell’essere umano al mondo in
cui vive: tutti questi principi etici sono basati, a dirlo è davvero
curioso, su nessuna base, è come dire che sono fondati sulla mancanza di
fondamento. Proprio questa consapevolezza della mancanza del fondamento alla
base ha ispirato profondamente le tradizioni religiose e monastiche.
Come fondamento non c’è un assoluto,
non c’è una base. Io credo che quella che ci viene suggerita è quantomeno una
possibilità. L’Occidente, sia come cultura che come società, per vari motivi
storici è ora arrivato ad un punto davvero
critico riguardo la propria coscienza: dal punto di vista sociale e culturale c’è
un profondo riconoscimento di questo abisso che è la consapevolezza del fatto
che non c’è un fondamento, il pavimento è stato tolto, ma noi
siamo ancora in piedi e la domanda a questo punto è: “come facciamo ad
abbracciare questa realtà senza essere costantemente preoccupati di poter
cadere giù da un momento all’altro?”.
Penso che il Buddismo in questo caso
possa servire da esempio, ma come questo debba o possa essere concretamente
attuato è una domanda veramente difficile.
Domanda: Rimanendo sul piano dell’esperienza interiore, le posso chiedere qual è stata l’esperienza più importante della sua vita?
Posso dire che la più importante
esperienza nella mia vita è stata la relazione con il mio Maestro. Ho avuto la
fortuna di vivere con lui come monaco buddista nella stessa casa per undici anni. Per me è stata un’esperienza davvero
importante poter vivere con una persona che incarnava un meraviglioso
sposalizio di alto pensiero filosofico, profonda spiritualità e meravigliosa
etica umana con un'amore per la poesia.
Per me è molto difficile spiegare e
cercare di far assaporare questa esperienza, perché quando vivi con una persona
che incarna tutto questo vieni influenzato dal suo modo di vivere e
probabilmente non è possibile parlarne in termini consueti. Ma per me è stata
davvero un’esperienza importante.
Traduzione
a cura di Giovanna Agostini
Centro Studi ASIA