In una gremita Aula Magna dell’Università si è svolta a Bologna una conferenza dal tema inconsueto: oggi si parla del vuoto e della domanda di senso. Sul palco Franco Bertossa, Presidente dell’Associazione ASIA e ispiratore della conferenza, Don Arrigo Chieregatti e Laura Cavana, entrambi della Facoltà bolognese di Scienze della Formazione e Franco Battiato, diviso tra il Tour 2007 e la presentazione del nuovo film Niente è come sembra.

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Il saluto di Milena Manini, vicepreside della Facoltà di Scienze della Formazione, apre ufficialmente l’incontro; la vicepreside interviene ricordando l’importanza, da parte dell’istituzione, di dialogare con l’esterno, e nella fattispecie con l’associativismo della città, che nell’Associazione ASIA trova un notevole punto fermo; tale collaborazione – purtroppo ancora non sufficientemente intrapresa, secondo la Manini – si rivela indispensabile in ambiti come quello del disagio giovanile: un simile convegno, ad esempio, costituisce un considerevole contributo all’educazione, che necessariamente dev’essere in grado di affrontare i temi del vuoto e della mancanza di senso nell’età adolescenziale.

Il Film Niente è come sembra viene presentato presso il cinema Lumière subito dopo il convegno. Il film ha riscosso da parte della critica non solo giudizi positivi, ma spesso anche commenti attoniti, interdetti, che – come Bertossa evidenzia in apertura – indicano la grande originalità dell’opera, nonché l’innovativa problematicità di cui essa è pregna.
Niente è come sembra, niente è come appare sembra essere la colonna sonora della serata, ma sembra esserlo pure di tutti e tre i lungometraggi finora realizzati dal Maestro siciliano, per quanto in Perduto amor (Nastro d’Argento come miglior regista esordiente nel 2003) prevalga la vena autobiografica, e in Musikanten (presentato alla Mostra del Cinema di Venezia del 2005) il personaggio di Ludwig van Beethoven proponga già una peculiare lettura della questione esistenziale a partire dalla creazione artistica, che si fa linfa di una vita che non può prescindere dalla ricerca interiore e di una ricerca interiore che si fa vita.

Per ammissione dell’autore stesso (in un’altra occasione Battiato ha precisato di non essere un regista, quanto piuttosto di realizzare film d’autore), in Niente è come sembra il tema dell’esistenza assume contorni più distinti: lo spettatore è immerso nella problematica lungo tutta la durata dell’opera, che rinuncia alla dimensione diegetica per approfondire concretamente la questione filosofica. Il successo del cofanetto distribuito da Bompiani -il film esce direttamente nei negozi di musica e in libreria-, che oltre al Dvd del film comprende anche il volume In fondo sono contento di aver fatto la mia conoscenza, è per Battiato “il segno di un bisogno profondo di risposte e di riflessione attorno ai temi della spiritualità”.

Compito degli educatori. Si entra nel vivo dell’incontro mettendo l’accento sullo sradicamento della nostra società dai valori tradizionali: valori svuotati di ogni significato, e quindi impotenti di fronte ad un’apoteosi tecnica che invece richiederebbe un solido argomentare sulla distinzione fra “essere umano” e “macchina biologica”, anche e soprattutto di fronte allo sguardo interrogativo di bambini e adolescenti. Tale vuoto di pensiero – interviene il presidente di ASIA – comporta attualmente l’incertezza di una ricerca interiore alla quale, se fosse proposta, non sapremmo quale valore dare. Per questo Bertossa propone alcune domande dalle quali (ri)partire: qual è il valore della domanda e del sentire? Se siamo solo organismi, macchine biologiche, come educare un ragazzo al mistero dell’esistenza?

Franco Battiato: La meditazione è uno stato semplice. Ma stare nella semplicità, asserisce Battiato, non è cosa facile: temiamo la solitudine; addirittura i pensieri sono rumorosi – ce ne accorgiamo tacendo. Occorre allora cercare lo spazio tra un pensiero e l’altro, con disciplina; un’esperienza che l’artista descrive come somigliante al trovarsi nel deserto (“una sorta di pace ti colma”), uno stato semplice che si raggiunge facilmente e che ‘incarna’ un’etica precisa, da cui Battiato ci lancia una sfida: “Come si fa, ad esempio, a non accorgersi della furbizia di questi politici?” Forse perché si vorrebbe essere al loro posto… Ebbene, la disciplina cambia il rapporto con noi stessi. L’arte, frequentata anche come fruizione, potrebbe essere una via per vivere una vita meravigliosa e, necessariamente, per uscire da una vita altrimenti “indecente”.

La domanda di senso è il vuoto. Il cammino verso il vuoto, afferma Don Arrigo Chieregatti, è difficile: significa svuotarsi della propria fede, delle proprie idee, della propria esperienza per incontrare l’altro. A questo proposito ringrazia l’Islam, che non gli ha dato la risposta ma gli ha dato il mistero, e ringrazia il Buddhismo, che gli ha dato il senso di vuoto. Ancora, Don Arrigo ricorda la risposta di un amico indiano, cui aveva confidato la propria paura di perdere la fede: “Non aver paura di perdere la fede, perché è come se temessi di perdere il mistero.”.

“Come sei riuscito a restare te stesso?”. La musica di Battiato è riuscita a mantenere la rotta sul tema della ricerca interiore in anni difficili come i Settanta e gli Ottanta, durante i quali sarebbe stato facile diluire l’indagine su se stessi nei problemi della società, rimanendo invischiati unicamente in questi ultimi – pure tanto importanti.
Battiato, rispondendo alla domanda di Bertossa, espone il proprio pensiero: tutti sappiamo che la rosa sboccia per motivi assolutamente spiegabili dalla fisica; “ma la rosa che sboccia è lì per te”, e inoltre: chi si occupa di metereologia può assicurarci che una nuvola non è altro che un insieme di tante gocce d’acqua… “ma che esperienza è vedere una nuvola?! E’ certo qualcosa di più”. L’artista mette così l’accento sulla necessità di tornare alla propria esperienza, riconducendovi ogni tipo di sapere intellettuale. Ormai, continua Battiato, fisica quantistica e Buddhismo sembrano parlare la stessa lingua; la nostra esistenza è solo un passaggio nel mondo materiale. A tale proposito, afferma che studio e disciplina – doni che solo l’Uomo sembra potersi permettere – costituiscono la stella polare della sua vita, naturalmente senza dimenticare che ci si deve sostentare, che dobbiamo dormire, che abbiamo un’attività sessuale, ma sempre tenendo presente che questo non ci può bastare.

L’esempio di Francisco Varela, -citato nel suo ultimo film, ricorda Battiato- pioniere della fenomenologia applicata alle neuroscienze e praticante di meditazione, è indicativo. Bertossa riporta un aneddoto che Varela stesso gli raccontò: negli anni più bui della sua vita, mentre era in America per studiare, in cerca di risposte aveva interrogato un grande monaco buddihista tibetano; questi, quando Varela confuso gli disse: “Non so più cosa fare della mia vita!” rispose: “Bene! Se non hai nient’altro, parti dal tuo non sapere: ascoltalo”. Il non sapere non è semplice ignoranza, bensì qualcosa da coltivare.

La fenomenologia di Husserl ha costituito per la Prof.ssa Cavana, insegnante di Educazione degli adulti a Pedagogia, una fonte d’ispirazione importante all’interno del suo percorso formativo, in particolare attraverso le indicazioni del Prof. Piero Bertolini, grande pedagogo del secolo scorso che ha a sua volta attinto a questa disciplina filosofica. La coscienza individuale, che Husserl chiama “Io puro”, costituisce secondo la fenomenologia la parte autentica del soggetto; la Prof.ssa Cavana spiega che questo le è ora profondamente chiaro, e che a tale chiarezza ha potuto accedere attraverso pratiche come lo yoga e la meditazione: la coscienza, dice, è un ponte tra la dimensione interiore e il mondo esterno. L’esperienza personale ha un senso, ha un significato nel mondo. La pedagogia dovrebbe quindi provvedere allo sviluppo intenzionale del soggetto, che vive uno stato di disagio e disadattamento – è importante sottolinearlo – quando accade il mancato sviluppo di questa caratteristica. Se i nostri tempi sono quelli della morte di Dio, la Prof.ssa Cavana tenta comunque di portare a termine il proprio compito rimanendo ancorata a due punti di riferimento: l’esperienza “occidentale” – attraverso la fenomenologia e il contatto professionale e umano con Bertolini – e le vie orientali – che le sono state indicate con competenza e rigore dal Maestro Franco Bertossa. Perché il vuoto, comunemente vissuto come un’esperienza corrosiva, talvolta spaventosa, attraverso una ricerca a trecentosessanta gradi possa diventare un valore.

Approfondiamo dunque il tema del vuoto: fra momenti di intenso silenzio e applausi partecipati, Bertossa propone di esplorare il cuore stesso del tema scelto. E’ Don Arrigo a porre la domanda fondamentale: perché siamo? La risposta, dice, è: non lo so… ma siamo ed è utile quindi partire proprio da questo “posto che dobbiamo avere ma anche che possiamo avere”: il vuoto e l’impermanenza sono esperienza viva; perdersi è scoprire il limite che ognuno ha e che non può oltrepassare, come insegna la tradizione orientale. In Occidente un grosso scoglio è la mancanza di un’educazione all’esperienza del vuoto: basti notare con quanto frettoloso zelo ci si affretti, oggi, a riempire i momenti di vuoto dei giovani. Non siamo più in grado di dare loro indicazioni utili affinché possano vivere quel vuoto in senso non negativo. Eppure, ricorda Don Arrigo, in Vietnam i deboli hanno vinto proprio attraverso il loro limite, e in Afghanistan come in Iraq si sta ripresentando una situazione simile. Forse per questo i poveri, i deboli cominciano a farci paura: non hanno nulla da perdere. Impariamo allora da loro che la forza che ci sostiene è il nostro niente, il nostro limite.

L’album Fleurs del Maestro siciliano diventa uno spunto per il dibattito: “questo album è un continuo rimembrare nostalgico, un continuo ritorno al tema della morte e di ciò che passa”. Questo diventa un appello che è una nuova sfida alla giovane platea: “ragazzi, non siamo un macchina che smette di funzionare! Io ho visto morire, occhi negli occhi, e vi assicuro che c’è qualcosa di più. A questo non sapere ultimo che è la morte occorre dare dignità. Partite da questo mistero che ci parla, sempre. Qualcosa chiede senso. Qualcosa in noi sente il vuoto. Questo non è un sentire che viene da una macchina”.

Ora è il pubblico a intervenire, con domande puntuali ed evidentemente molto sentite. La prima riprende il grande tema accennato dall’ultimo intervento: “Un giorno, racconta una ragazza, ho realizzato che si muore. E stato letteralmente un pugno nello stomaco, prima era solo un pensiero. Come si affronta?”.

Battiato racconta di aver vissuto fasi critiche nel corso della sua vita: la seconda di queste arrivò anche per lui come un pugno nello stomaco. La morte. La fine di tutto. Quell’esistenza felice sbocciata dal superamento di una prima, forte crisi sarebbe finita. Ma lo aspettava un’ulteriore trasformazione, e ci assicura che la paura di perdere tutto è illusoria: non si può perdere alcunché. Rivolto alla ragazza aggiunge: “Devi spingerti oltre questo. Questa trasformazione può accadere in qualunque momento. Ti assicuro che la vita è meravigliosa.”.

Don Arrigo risponde che la meditazione può servire e non servire: se guardiamo all’esperienza della meditazione come esperienza del gratuito questo non ci scoraggia, perché la nostra aspettativa è sempre quella di ricevere una spiegazione.

Franco Bertossa mette a fuoco l’esperienza che può cambiare la vita: racconta di aver conosciuto Karlfried Graf Dürckheim, grande studioso e praticante Zen dell’inizio del secolo scorso. Data l’età ormai molto avanzata, il conte non riceveva più nessuno, tuttavia fece un’eccezione per Bertossa, che gli aveva fatto pervenire un biglietto di saluti con poche parole. Vecchio, malato, quasi senza forze, il conte viveva ancora per la verità: per quell’esperienza di illuminazione che aveva vissuto tanti anni prima.

Cos’ha l’Occidente che all’Oriente manca, e cosa invece può imparare l’Occidente dall’Oriente? Nel rispondere a questa seconda domanda, Don Arrigo ci mette in guardia dalla tendenza tutta occidentale di “colonizzare il pensiero altrui”: l’intercultura è dialogo, e come tale deve essere gratuita. Non aspettiamoci un ritorno, un guadagno: gli uccelli del cielo che cantano senza chiedere ricompensa.

Battiato parla del cammino che l’ha portato dall’Induismo al Sufismo, per giungere infine al Buddhismo tibetano. Ma, aggiunge, anche la musica classica occidentale è stata per lui una grande maestra: un’aria di Bach serve a ricordare che “esistono mondi superiori al nostro”.

Franco Bertossa racconta la propria esperienza giovanile: dopo anni di ricerche in ambito cattolico, ambito che non aveva accolto la sua domanda di senso, arrivò a Monte Athos, luogo in cui eremiti di tradizione ortodossa praticano quella religione rigorosamente a partire dalla propria esperienzialità. Racconta Bertossa che un monaco eremita, dopo un dibattito su cosa fosse la teologia, lo condusse in una cella scavata nella roccia: dentro c’erano ancora i resti di un esicasta morto molto tempo prima e lasciato disseppellito, come è ancora uso a Monte Athos. Col dito puntato verso la tunica vuota, il monaco eremita gli disse semplicemente: “theologìa”.

Forse è proprio questo tipo di insegnamento che sta venendo meno in Occidente e che invece è ancora vivo in Oriente: tramandare una via esperienziale, una pratica del viversi ogni comprensione addosso ed in prima persona.

(3 Gennaio 2008)

di Linda Altomonte e Paolo Ferrante
Redazione Asia.it