L’ospite inquietante
Il nichilismo e i giovani
Umberto Galimberti
2007, 180 pg.
Feltrinelli , Serie Bianca

Interrogato sulle motivazioni che hanno guidato la stesura di questo testo, Galimberti risponde: “Ho scritto un libro sui giovani, perché i giovani, anche se non lo sanno, stanno male”. La sofferenza, allora, come punto di partenza. La sofferenza che chiede di essere guardata, analizzata, interrogata e, se possibile, compresa. La sofferenza che in ultimo chiede ragione di sé.

Tanto più dal momento che gli adulti, genitori e insegnanti in primo luogo, si dimostrano spesso in rapporto a questo disagio disorientati e impotenti. E che i rimedi adottati comunemente, come gli psicofarmaci o più semplicemente l’aumento delle cure e delle attenzioni nei loro confronti, non sembrano avere una vera efficacia, lasciando adito al sospetto che non arrivino al nucleo del problema. Infatti, secondo Galimberti, il disagio non è di tipo psicologico, ma culturale; la causa non va quindi ricercata nel contesto di vita individuale, ma nella società: solo guardando ad essa possiamo cogliere ciò che desertifica l’animo dei giovani, vale a dire il nichilismo, l’ospite inquietante che Nietzsche aveva annunciato alla fine dell’Ottocento e descritto come la svalutazione di tutti i valori, seguita dalla conseguente perdita di ogni riferimento. Dunque, la «diffusa mancanza di prospettive e di progetti, se non addirittura di sensi e di legami affettivi» (p. 12) che il giovane (solo lui?!) sente lacerante in se stesso, non è altro che il bagaglio di conseguenze che tale ospite porta con sé.

Come può la scuola aspettarsi dai giovani un impegno e un investimento sul futuro se quest’ultimo non è per loro una promessa, ma piuttosto una minaccia o perlomeno una sorta di inquietudine? La prospettiva rimasta ai giovani sembra essere quella di raccogliersi esclusivamente nel presente: «I loro progetti hanno il respiro di un giorno, l’interesse la durata di un’emozione, il gesto non diventa stile di vita e l’azione si esaurisce nel gesto» (p. 127). Tutto ciò, secondo il filosofo, è aggravato dal diffuso analfabetismo emotivo, ossia dal fatto che, oltre ad un’educazione intellettuale e fisica, la società moderna non si preoccupa di educare a riconoscere e nominare le sensazioni. «Il cuore non è in sintonia con il pensiero e il pensiero con il gesto» (p. 51).

L’analisi procede nel far luce sulle mille sfaccettature attraverso cui si esprime il disagio giovanile anche grazie alle testimonianze riportate, come il colloquio con un ragazzino accusato di aver ucciso una ragazza lanciando sassi sulle automobili da un cavalcavia, o il messaggio lasciato da Teri, una quindicenne suicida: «A che serve tutto questo? Mi guardo intorno e tutto quello che riesco a vedere è una scuola e un mondo che possono andare avanti senza di me. Sono venuta al mondo per caso. La morte, ne sono sicura, non tarderà. Ho cercato tutti i giorni di capire il senso di tutto questo, ma non c’è senso» (p. 105).

I «gesti senza movente» (p. 107) dei “ragazzi del cavalcavia”, come anche queste parole agghiaccianti, mettono in evidenza un nodo cruciale della riflessione di Galimberti: la questione del senso o, più precisamente, «dell’insensatezza che l’atmosfera nichilista del nostro tempo diffonde» (p. 12). Egli afferma che il rimedio al nichilismo non si trova «nella ricerca esasperata di senso come vuole la tradizione giudaico-cristiana, ma nel riconoscimento di quello che ciascuno di noi propriamente è, quindi della propria virtù» (p. 14). Per questo l’autore invita gli educatori a far incuriosire questi giovani delle loro capacità, facendo provare loro il gusto di vederle fiorire. Allora potrebbero appassionarsi e innamorarsi di sé, e imparare quella che per i Greci era l’arte del vivere. Non tanto una ricerca di senso, quindi, ma un investimento su di sé: solo così la loro espansività potrebbe trovare espressione.

Tuttavia, perché un giovane intraprenda un percorso alla ricerca di se stesso – come l’autore stesso afferma – deve prima «trovar senso in questa scoperta» (p. 14). La domanda di senso appare dunque imprescindibile, inevitabile: ritorna prepotente a mettere in discussione ogni tentativo di risoluzione della domanda stessa. Ed è forse questo il contributo maggiore che ci fornisce la riflessione di Galimberti: ci aiuta a capire più profondamente i giovani lasciandoci con la loro più cocente domanda.