Lo zen e l’arte di disporre i fiori
Gusty Herrigel
2009, 112 pg.
Piccola Enciclopedia, SE
Lo zen e il tiro con l’arco [1]
Eugen Herrigel
2007, 100 pg.
Adelphi

Il fascino esercitato dalle pratiche e dalle arti orientali nel nostro panorama culturale occidentale è sempre più palpabile. Quello che però ci interessa sottolineare in questa doppia recensione, al di là delle mode e delle tendenze momentanee, è il significato che possiamo ritrovare in tali tipologie espressive.
Prendiamo ad esempio il Kadō, la Via dei Fiori, meglio conosciuta in Occidente come Ikebana (vivente-fiore). Una Via (Dō) capace di suscitare il vero significato della vita e della morte.
L’origine del Kadō è legata all’antica usanza giapponese “di offrire fiori all’anima dei defunti” [2], successivamente trasformata in una Via praticabile in ambito zenista.

Quando il buddhismo zen fu introdotto dalla Cina (Buddhismo Ch’an), divenendo zenbukkyō (buddhismo zen giapponese), oltrepassò “i confini della religione, si unì strettamente all’attività artistica”  [3].

Questa unione segna una differenza tra il nostro modo di intendere l’arte e quello giapponese di ambito zen. L’Ikebana, il Sadō (chanoyu, ovvero la cerimonia del tè), il Kyudō (la Via del tiro con l’arco) e altre discipline sono considerate delle possibilità in questa vita per penetrare l’essenziale, per toccare la Verità che pone fine alla sofferenza esistenziale. L’esperienza artistica, attraverso l’imprescindibile guida di un Maestro, diviene così il medium per spogliarsi di tutti i convincimenti che nutriamo riguardo al fatto di ritrovarci ad esistere, per dar spazio a ciò che sentiamo e alle sue implicazioni, per farci guidare dalla ragione fino al limite di se stessa e della discorsività, “luogo” dove lo zen individua la possibilità del risveglio (satori, ovvero rendersi conto del dharma [4]).

Due preziose letture che ci aiutano ad intuire il valore dell’arte giapponese e il significato al quale queste arti si rivolgono sono senz’altro Lo zen e l’arte di disporre i fiori e Lo zen e il tiro con l’arco, scritti rispettivamente da Gusty Herrigel e dal marito Eugen Herrigel. La loro particolarità consiste nel raccontare in maniera genuina l’esperienza di incontro con la tradizione zen giapponese di due menti cresciute nella cultura occidentale. Entrambi i libri infatti prendono corpo a seguito di un soggiorno in Giappone durato 6 anni, nel quale i due autori si cimentano in un’arte che li condurrà a mettere in discussione innanzitutto la loro idea di apprendimento e insegnamento.
Secondo quanto si legge ne Lo zen e il tiro con l’arco:

“Un grande maestro deve essere allo stesso tempo anche un grande educatore, da noi [giapponesi, n.d.a.] l’una cosa non va senza l’altra. (…) Egli legge nelle anime dei suoi allievi più di quanto essi vorrebbero ammettere”.

Recensione a Lo zen e l’arte di disporre i fiori

“In Giappone non si studia un’arte per amore dell’arte, ma per ricevere l’illuminazione spirituale che essa può donare.
Se l’arte si limita alla dimensione esteriore, se non conduce
a ciò che è più profondo e più essenziale,
in altre parole se non diventa una forma di spiritualità,
il giapponese non la ritiene degna di essere studiata”
Daisetz Teitaro Suzuki  [5]

Quando si prende in mano per la prima volta il testo di Gusty Herrigel non si è pronti a cogliere la profondità del tema toccato, sulle prime si fatica addirittura a considerarlo un testo importante, dato il carattere tipicamente orientale, e a noi poco familiare, dell’argomento esposto.
Il libro della Herrigel però, una volta avviata la lettura, spinge ad un naturale approfondimento, non ci lascia indifferenti e sembra voler inoltrare il nostro pensiero in una dimensione diversa, dove pratica e riflessione profonda si fondono. Per questo merita almeno due letture: la prima per entrare nell’argomento e la seconda per cogliere il profumo del significato di tale argomento.
“Lo zen e l’arte di disporre i fiori” è una vera e timida occasione per accostarsi a quel sapore tutto giapponese di interrogare la vita e il mistero del nostro stesso esistere.
Nella preziosa introduzione di Daisetz Teitaro Suzuki troviamo una chiave di lettura per approcciare l’intera esposizione della Herrigel e per avvicinarsi alla dimensione artistica giapponese di cui fa parte l’Ikebana:

In ogni tentativo di espressione artistica giunge un momento in cui è necessario prendere coscienza della duplice dimensione dell’arte: l’aspetto metafisico e quello pratico, il significato irrazionale e quello accessibile al ragionamento o, secondo la terminologia della filosofia indiana, prajna e vijnana. L’aspetto positivo e razionale della pittura, il suo vijnana, è l’uso del pennello, la mescolanza dei colori, il tracciato delle linee: in una parola: la tecnica.
Tuttavia, l’artista non può limitarsi a dominare la tecnica; noi sentiamo nel profondo della nostra coscienza che c’è dell’altro da raggiungere e da scoprire. L’insegnamento e l’esercizio non bastano e non possono rivelarci il segreto dell’arte; sin quando il suo mistero ci rimane nascosto, essa non è autentica arte. Questo mistero è l’ordine metafisico, è al di là della comprensione logica; proviene dalla prajna, la saggezza trascendentale. Lo spirito occidentale è ossessionato dalla tecnica e dalla precisione delle proprie strutture; lo spirito orientale, invece, ha una tensione mistica e il suo fine è soprattutto ciò che può venir definito il segreto dell’essere.

La Herrigel ci consegna una sorta di diario della sua esperienza giapponese, la delicatezza espositiva, la cura nella descrizione delle lezioni con il Maestro Bokuyo Takeda esaltano quell’intelligenza e sensibilità dell’autrice nel non voler negare alla mente occidentale una lettura tecnica del Kadō, pur non smettendo di sottolineare la dimensione sacrale della “dottrina non scritta” trasmessa da Maestro ad allievo.
Leggere Lo zen e l’arte di disporre i fiori si rivela un’esperienza importante per tutti quelli che vogliono conoscere meglio la cultura giapponese e il suo legame con lo zen:
nelle sue pagine ritroviamo il rapporto Maestro-allievo, la ricerca, la dedizione, la bellezza e la poesia intrise di intangibile sacralità che grazie a Gusty Herrigel ritroviamo intatta nelle sue Ikebana [6]. Un testo che non vuole dire tutto, che non può dire tutto nemmeno sull’arte della disposizione dei fiori, ma che tenta di avvicinare il lettore, con parole semplici e sincere, ad una dimensione dove arte e ricerca della verità si compenetrano, trovando la propria forza l’uno nell’altra.

Lasciamo le ultime parole alla Herrigel:

Ma l’apprendimento di quest’arte non è sufficiente di per se stesso. Come si è detto, il Maestro veglia continuamente sull’allievo affinché possa accedere alla “dottrina non-scritta” con tutte le forze del suo essere, sin quando questa sia divenuta la regola naturale della sua vita, sin quando abbia modellato il suo carattere e “la via dei fiori” sia ormai per lui un modo di esistenza, il suo cammino di ogni giorno. Allora tutte le esitazioni e le incertezze scompaiono. La via è divenuta una realtà viva e creatrice.
(…)
Lo ripetiamo ancora una volta dietro alla manifestazione concreta e visibile si cela l’intangibile, l’intangibile, il “mistero primo” che invano si tenta di penetrare, ma che può svelarsi all’improvviso

Recensione a Lo zen e il tiro con l’arco

«Che debbo dunque fare?» chiesi pensieroso.
«Imparare la giusta attesa».
«E come si impara?».
«Staccandosi da se stesso, lasciandosi dietro tanto decisamente se stesso e tutto ciò che è suo, che di lei non rimanga altro che una tensione senza intenzione».

Un professore tedesco di filosofia, Eugen Herrigel, accetta un incarico di insegnamento da parte dell’Università imperiale dei Tohōku, a Sendai, perchè vuole conoscere il buddhismo. Per esservi introdotto gli viene consigliato di imparare una delle arti a cui lo zen da secoli si rivolge: il tiro con l’arco. Comincia così un emozionante e impegnativo tirocinio, nel corso del quale Herrigel si trova costretto a capovolgere le sue idee e, di conseguenza, il suo modo di vivere.
All’inizio deve riconoscere che i suoi gesti sono sbagliati, poi che sono sbagliate le sue intenzioni, infine che proprio le cose su cui fa affidamento sono i più grandi ostacoli: la volontà, la chiara distinzione fra mezzo e fine, il desiderio di riuscire. Ma il tocco sapiente del Maestro aiuterà Herrigel a scrollarsi tutto di dosso, a restare ‘vuoto’ per accogliere, quasi senza accorgersene, l’unico gesto giusto che fa centro: quello di cui gli arcieri zen dicono: “Un colpo – una vita”.
In un tale colpo, arco, freccia, bersaglio e Io si intrecciano in modo tale che non è possibile separarli: la freccia scoccata mette in gioco tutta la vita dell’arciere e il bersaglio da colpire è l’arciere stesso.

“Il tiro con l’arco ora come allora è una faccenda di vita e di morte, in quanto è lotta dell’arciere con se stesso […] La lotta consiste nel fatto che il tiratore mira a se stesso – eppure non a se stesso – e ciò facendo forse coglie se stesso – e anche qui non se stesso – e così è insieme miratore e bersaglio, colui che colpisce e colui che è colpito. […] E allora aviene la cosa suprema e ultima: l’arte diventa senz’arte, il tiro un non-tiro, un tiro senz’arco né freccia; l’insegnante ridiventa allievo, il maestro un principiante, la fine un principio e il principio un compimento”.

di Silvia Siberini e Elisa Subini
Centro Studi ASIA

Note:

[1] L’introduzione è opera di Daisetz Teitaro Suzuki (1869-1966), uno dei più importanti studiosi del buddhismo e della cultura giapponese, impegnato nella diffusione della conoscenza dello zen nella cultura occidentale attraverso numerosi libri, tra cui i classici Saggi sul buddhismo zen (Essays in Zen Buddhism).
[2] Takeshita Toshiaki, Il Giappone e la sua civiltà: profilo storico, CLUEB, Bologna, 2005 (II edizione), pag.182.
[3] Takeshita Toshiaki, ibidem, pag.157.
[4] Takeshita Toshiaki, ibidem, pag. 158-159.
[5] L’introduzione è opera di Daisetz Teitaro Suzuki (1869-1966), uno dei più importanti studiosi del buddhismo e della cultura giapponese, impegnato nella diffusione della conoscenza dello zen nella cultura occidentale attraverso numerosi libri, tra cui i classici Saggi sul buddhismo zen (“Essays in Zen Buddhism”).
[6] L’opera è ricca di disegni dell’autrice che illustrano i vari schemi di composizione dei fiori, i materiali, e le composizioni stesse.