Ne abbiamo avuto l’esperienza ma ci è sfuggito il significato
E avvicinarci al significato ci restituisce l’esperienza
In una forma differente, al di là di ogni significato.

(T.S. Eliot, da Quattro Quartetti)

 

Phi.mind 3. Gli antesignani: scienziati anti-riduzionisti nel primo ‘900 e il problema dei qualia

Il termine qualia indica le esperienze che si danno solo soggettivamente, i vissuti in prima persona: colori, sensazioni tattili, suoni, gusti, profumi, emozioni, umori. Le neuroscienze cercano di ridurli a scintille e scariche elettriche del cervello. Di fatto è indubbiamente necessaria una buona funzionalità del cervello perché si realizzino questi stati, ma l’attività nervosa non sembra sufficiente a spiegare interamente le sensazioni qualitative; o perlomeno nessuno è finora riuscito a dimostrarlo.

du Bois-RaymondI primi scienziati che hanno preso in considerazione i qualia hanno espresso in modo netto i loro dubbi. Du Bois-Reymond, fondatore dell’elettrofisiologia:

«La coscienza non può essere spiegata attraverso le sue condizioni materiali. Che determinato rapporto si può immaginare tra certi movimenti di determinati atomi del mio cervello da un lato, e dall’altro fatti per me originari, non meglio definibili, innegabili: sento dolore, desiderio, caldo, freddo; mi piace il dolce; sento profumo di rosa; odo suono d’organo; vedo rosso…?» [1]

Charles Sherrington

 

Charles Sherrington, il più importante neurofisiologo inglese:

«Il vedere? Quello è il punto in cui il modello dell’energia luminosa e bioelettrica finisce. Quel modello non ci dice nulla sul vedere, dice molte cose ma non quella.» [2]

 

Max PlanckMax Planck, fisico tedesco:

«C’è un solo punto nell’immenso, immensurabile mondo della natura che è inaccessibile ad ogni scienza, e perciò ad ogni guardare causale, non solo praticamente ma anche in modo logico, e che sarà per sempre inaccessibile. Questo punto è il proprio io.» [3]

Prima di concludere che queste affermazioni sono datate e superate, consideriamole attentamente. Sono state pronunciate dagli ultimi grandi scienziati che univano la massima competenza scientifica a un’educazione filosofica rigorosa, che dopo di loro si è andata sempre più perdendo. Oggi la specializzazione impone a che fa scienza di dedicarsi esclusivamente al suo campo, e suggerisce se vuole farsi domande più ampie deve usare lo stesso metodo che usa in laboratorio. Si va quindi a studiare i qualia armati di misuratori dell’attività del cervello, li catturano e li mettono nella gabbia dei tracciati e delle registrazioni. Peccato che la gabbia in realtà sia subito vuota: i qualia non si riducono a rappresentazioni e i loro tracciati nervosi non dicono nulla dell’effetto che fanno i qualia.

Le sensazioni sono un limite preciso per l’indagine scientifica. Come affermava Max Planck, esisterebbe quindi qualcosa di certo: il fatto che noi tutti abbiamo esperienze qualitative, che tuttavia appare inaccessibile alla concettualizzazione scientifica [4]. Un neurofisiologo può incontrare solo una sensazione sentita, quella che vive egli stesso. Tutte le altre sensazioni registrate dai suoi strumenti sui volontari nel suo laboratorio sono fenomeni fisici di cui misura dimensioni e meccanismi, ma come può catturarne il sapore?

Negli ultimi anni i migliori filosofi della mente occidentali hanno affrontato il problema dei qualia, portandolo come argomento forte contro la possibilità di ridurre la coscienza in termini fisico-chimici. Con risultati molto interessanti.

 

Riferimenti bibliografici

[1] E. du Bois-Reymond, 1872, I confini della conoscenza della natura, cit. da Bieri P. (1996), Il cervello e la coscienza, in Filosofia della Mente, Le Scienze Quaderni, n. 91, p.82-89.

[2] Sherrington C.S. (1951), Man on his nature, Cambridge University Press, Cambridge.

[3] Plank M. (1934), Wegen zur Phisycalischen Erkenntnislennbris, in Reden und Vorpräge von Max Plank, Hirzel 1965, Leipzig, p.120.

[4] Di Francesco M. (2000), La coscienza, Laterza, Roma-Bari, p.46

 

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