Ne abbiamo avuto l’esperienza ma ci è sfuggito il significato
E avvicinarci al significato ci restituisce l’esperienza
In una forma differente, al di là di ogni significato.

(T.S. Eliot, da Quattro Quartetti)

 

Phi.mind 7. Hilary Putnam e i suoi divorzi. Gli esperimenti di Terra Gemella e di Cervello-nella-Vasca.

Tra i fondatori della corrente funzionalista della Filosofia della Mente, Hillary Putnam ha sempre avuto come tema di interesse più i significati (capiti) che le sensazioni e i qualia (sentiti). Non ha organizzato nessuna strana unione tra materialismo e dualismo, ma ha piuttosto sancito due divorzi che sono stati molto significativi per le posizioni anti-riduzioniste.
Il primo è il tipico divorzio da Funzionalista: soprattutto nella prima fase del suo lavoro quando la scienza dei computer sembrava offrire un modello anche di come funziona la mente umana, Putnam ha criticato l’importanza della base materiale della mente (hardware), considerando più importanti i programmi che esso permetteva di ‘far girare’ (software). Ha quindi proposto che vi sia una netta separazione tra cervello e gli stati funzionali della mente logica: i meccanismi biologici cerebrali e gli stati mentali non sono identici, perché la stessa funzione mentale – esempio ‘la voglia di pizza’ – si può realizzare in molti e diversi stati fisici, con altre basi materiali: per Putnam il materiale “giusto” era anche un computer o un groviglio di fili e lattine. In questo – come abbiamo visto in Phi.mind 6– fu criticato da John Searle per il quale solo il cervello è il substrato ‘giusto’ della mente, una mente che può davvero ‘capire i significati della lingua cinese’ solo se non è disincarnata in processi logici.

Negli anni Ottanta, poi, Putnam ha superato le posizioni delle scienze cognitive funzionaliste che aveva contribuito a fondare, e ha sentenziato un secondo clamoroso divorzio: ha separato gli stati mentali funzionali dai loro significati. Infatti gli stati mentali non sono identici ai significati perché non hanno dentro di sé il significato, ma il significato nasce dal rapporto tra l’organismo e l’ambiente, è un prodotto culturale, non solo non ha natura logica (e questo lo sostiene anche Searle) ma neppure neurale. Per dimostrarlo Putnam ha concepito due famosi esperimenti mentali.

Nel primo ipotizza una Terra Gemella, identica alla nostra ma su un’altra galassia. In essa vi è un liquido trasparente, fresco e potabile in tutto simile alla nostra acqua ma che i nostri gemelli chiamano xyz e si rappresentano nella mente come xyz. Questo fa concludere a Putnam che il significato ‘acqua’ o ‘xyz’ non è nella mente (stati funzionali), ma nasce dalle interazioni con un mondo[1].

La seconda storiella ci offre una immagine piuttosto cruenta, da Dottor Frankenstein: un cervello privato del corpo e mantenuto in vita dentro una vasca di liquido fisiologico; è scollegato dal mondo e non può interagire con nessun ambiente. Supponiamo che riceva informazioni e stati mentali da un computer: per il cervello-in-vasca, conclude Putnam, le informazioni non saranno certo significati, ma più simili a allucinazioni, percezioni senza senso. Il cervello isolato non le capisce perché, mancando un contesto ambientale e culturale, le informazioni che riceve e gli stati cerebrali che suscitano non formano alcun significato coerente. Il mondo simulato del film The Matrix (una finzione elettronica somministrata a cervelli/corpi immobilizzati in uteri artificiali) per Putnam non potrebbe quindi esistere.

Con questi ‘divorzi’ il filosofo americano si è portato decisamente su posizioni non riduzioniste della coscienza, ma con un approccio un poco diverso rispetto ai difensori dei qualia: il focus del suo lavoro si è concentrata sul problema del rapporto tra funzioni cognitive e significati. Per Putnam la coscienza non si può ridurre a funzioni logiche o neurali nella sua capacità più propria, che è la capacità di capire significati. Perché i significati non sono stati interni del cervello, innati e solitari, ma dipendono dalla rete di rapporti con il mondo, l’ambiente, la cultura. Per inciso, è interessante notare che anche Jerry Fodor, che è stato con Putnam tra i fondatori del funzionalismo, se ne è in un secondo tempo distaccato sostenendo la natura ‘olistica’ della mente cosciente e dichiarando fallito il programma di ridurla a moduli logici automatici e indipendenti gli uni dagli altri[2].

Putnam critica tutti i tentativi di ridurre i significati a stati logici, e la sua critica evidenzia l’importanza dei contesti, dell’uso, delle pratiche che donano significato al mondo. È possibile anche aggiungere, da parte nostra, una critica basata su un argomento autoreferenziale: il capire (coscienza) riduce tutti i significati a funzioni logiche, ma quel ‘ridurre’ è un significato; esso riduce tutti gli altri ma non riduce se stesso, in quanto atto originario e attuale che sempre si precede. Questo tipo di argomento, che qui solo accenniamo, non evidenzia l’importanza del contesto ma piuttosto quella dell’atto iniziale ed incancellabile che è l’esperienza cosciente – in questo caso ‘riduzionista’, ma anche ‘anti-riduzionista’.

Certamente nell’antiriduzionismo di Putnam si sente la mancanza dei qualia: questo ci spinge a chiederci se possiamo capire un significato senza prendere in considerazione i qualia fondamentali associati al momento in cui lo cogliamo. Esiste significato senza il sentire qualitativo?

 

Riferimenti bibliografici

[1] La posizione di Putnam è simile a quella di Wittgenstein, che diceva che il significato dipende dall’uso di una certa parola. Per sapere se il suo significato è corretto, dobbiamo verificarlo utilizzandola (cfr. Di Francesco M. (1996), Introduzione alla filosofia della mente, Nuova Italia Scientifica, Roma, p.141).
[2] Fodor J. (2001), La mente non funziona così: portata e limiti della psicologia computazionale, Laterza, Roma-Bari.

 

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