« Mi fanno male gli occhi…».
« Perchè non li hai mai usati ».

Ormai è il tema dei film di culto di fine secolo: cosa è la realtà del mondo? Esiste veramente? O è solo una simulazione collettiva, proiettata davanti ai nostri occhi?E, in fondo, cosa sono io? Solo un’immagine tra tante che percepisco?La sceneggiatura e la regia di The Matrix (il primo e il più significativo della trilogia) sono tutte giocate sul filo di queste domande, e sono opera dei fratelli Wachowski, due giovani americani provenienti dalla Marvel Comics: alla loro seconda opera, hanno ottenuto una megaproduzione per un film cyber-action di grande impatto, da realizzare con le più avanzate tecnologie.
Le inquadrature impossibili ed estranianti, i magnifici effetti digitali in flow motion , i ritmi mozzafiato ne fanno un film per i più giovani, ma le loro domande sono per tutti coloro che apprezzano il dubbio estremo.
Le dichiarazioni dei due giovani registi sono promettenti:

« Siamo interessati alla mitologia, alla teologia, e per alcuni versi alla matematica pura. Sono tutti modi con cui gli esseri umani cercano di rispondere alla Grande Domanda » ( Time Magazine ).

Quando gli americani producono uno show sanno puntare sulla suggestione, le sensazioni forti  e incalzanti, la sorpresa ad ogni minuto: il grande pregio di The Matrix   è di coniugare questi elementi a un contenuto significativo. Non è vuoto spettacolo. Al di là delle citazioni e dei simbolismi, è un film che traduce, in un linguaggio avvincente e comprensibile a tutti, questioni filosofiche fondamentali sul mondo e su se stessi.

Un film sulla grande domanda “ COSA È LA REALTÀ?

Neo (Keanu Reeves) è un esperto di computer dell’America 1999 che percepisce qualcosa di poco convincente nel mondo. Anzi di stridente, come il suono dei lavavetri mentre viene rimproverato dal suo capoufficio per ritardo al lavoro (la regia ci mostra parte della scena dall’esterno del grattacielo, attraverso i vetri e i pulitori, da un punto di vista inesistente e suggestivo). Cerca qualcosa di imprecisato, una persona che possa chiarire, perché è tutta la vita che ha la sensazione che qualcosa non quadri… un chiodo fisso, da diventarci matto. Viene contattato da una ragazza in nero, che gli rivela la natura del suo malessere:

« Noi siamo dominati dalla Domanda… La Domanda su Matrix ».
« Cosa è Matrix? », chiede Neo.
« La risposta è tutto intorno a te ».

Cosa è la realtà? Tutto ciò che ci appare davanti è illusione… Siamo immersi in un falso prodigioso. Neo viene contattato da un gruppo di hackers, i pirati informatici. Quando capisce che non ha dove tornare – « quella strada già la conosci, e non la vuoi » – è pronto per la loro Via, per uscire.
Una figura di maestro, Morpheus (Laurence Fishburne) gli offre “ solo la verità ”: che è nato in una prigione senza sbarre né mura, una prigione per la mente . Un sogno così realistico, da cui non ti svegli… come potremo distinguerlo dalla Realtà? Da dentro non  vedi, ti sembra di essere libero e vero. Per fortuna c’è l’inquietudine della domanda: un chiodo fisso, qualcosa che non torna.

Un film sulla relazione con la verità

Neo è sottoposto ad uno spettacolare risveglio cibernetico che lo libera dal doppio sacco amniotico in cui è sempre vissuto, fisico – un utero meccanico – e mentale – un programma connesso direttamente al cervello –, che simula la sua vita nel 1999. Egli si ritrova nella “ desertica realtà ”: un freddo e oscuro anno futuro (forse il 2199) in cui l’umanità è crudelmente dominata dalle macchine. Ma la verità non è necessariamente una buona sensazione : questa rivelazione ha per lui il sapore della solitudine estrema e del vomito atterrito, perché Neo è adulto e la sua mente, ormai strutturata, ha superato l’età in cui si accetta di veder crollare tutto il proprio mondo. I ribelli di Morpheus in genere preferivano risvegliare giovani e bambini, perchè «la maggior parte degli uomini non è pronta per essere “scollegata”…».
La relazione con la verità sul mondo è difficile anche per Cypher (Joe Pantoliano), uno dei componenti del gruppo di hackers. Non regge il freddo della realtà a cui si è risvegliato:

« Dopo nove anni ho capito che l’ignoranza è un bene ».

Logorato, senza calore e soddisfazioni, si vende al nemico, alle macchine.
In cambio non vuole più ricordare nulla, vuole tornare in Matrix ed essere connesso solo a sensazioni piacevoli, anche se illusorie. Ma si può dimenticare il deserto?

Un film sull’illusione

Matrix è un programma, una neurosimulazione , connessa alla corteccia celebrale di tutti gli uomini:

« È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità».

La proiezione di Matrix serve a controllare gli umani del 2199, da generazioni prigionieri delle macchine che li usano come fonti di energia. Li mantengono sprofondati in un sogno collettivo di normalità, passioni, dolori e gioie generato al computer e datato 1999.

« Cosa definiamo per realtà? Se ti riferisci a toccare, vedere, sentire – dice Morpheus – è una serie di segnali elettrici che arrivano e vengono interpretati dal cervello ».

Quando questi segnali – che siamo convinti provengano da un cervello, ma non possiamo esimerci dal pensare che anche il cervello potrebbe essere una simulazione – sono molto coinvolgenti, proiettiamo un senso di realtà sul nostro sentire, e diciamo che è reale .
Un particolare interessante: le macchine avevano provato  a costruire un mondo-matrice in cui tutti erano sempre felici, ma gli uomini non lo gradivano e rapidamente morivano, come se il dolore fosse un elemento irrinunciabile.
Un’illusione, per quanto perfetta, non può eliminare la sofferenza, l’inquietudine, perchè ogni spazio di controllo totale, normalizzato, deve fare i conti con l’intrinseca instabilità di tutto il sistema. Sotto la guida del maestro che lo ha risvegliato dall’inganno, ora Neo deve imparare a muoversi in Matrix a un altro livello.

La consapevolezza della simulazione dà enormi poteri ai pirati informatici che vi rientrano. Si entra in Matrix con la mente, mentre il corpo resta immobile connesso al computer: in questa versione cyber della meditazione , la mente deve muoversi in modo attento, rapido e preciso perché, anche se non esistono veramente, le illusioni feriscono e uccidono.

Se l’immagine mentale di sé viene colpita dagli “agenti”, gli indistruttibili programmi di controllo di Matrix, anche il corpo muore. Superata l’illusione del mondo, Neo deve affrontare le tante illusioni interne, legate ai suoi vecchi meccanismi mentali che danno credito a Matrix, non più adeguati ma ancora funzionanti.
Sono inerzie che traducono gli avvenimenti virtuali in realtà e sofferenza. La maturazione progressiva di Neo consiste proprio nel riordinare e disciplinare la mente, per fidarsi di sé e non di ciò che appare. Allora può arrivare a eludere e infrangere le regole di Matrix (gravità, velocità, consistenza, fino alle pallottole).
È un addestramento al  combattimento  mentale, in cui Morpheus gli ripete che  è tutto mente :

« Credi che io sia più veloce per i miei muscoli? Credi che sia aria quella che respiriamo? ».

Gradualmente la realtà diventa sempre più videogame, con i cattivi che non muoiono mai, salti e corse sulle pareti, personaggi come bersagli, approvvigionamenti di armi e mezzi di trasporto… non è una realtà “umana”, è gelida e artificiale, spietata come un gioco elettronico.
La spettacolarità è stupefacente, con purtroppo i soliti alti livelli di violenza.

Un film sul destino e sulla libertà di decidere

Forse il tema più inquietante. Lo stesso Reeves in un’intervista alla rivista americana SFX , lo ha espresso bene:

« Il film parla della scelta: cosa accade nel momento in cui scegliamo?
Il mio personaggio è convinto di controllare la sua vita.
Voi la controllate? Sempre?
».

Neo e compagni non sono liberi, ma condizionati, costretti a fare le loro parti di Eletto, Maestro, Traditore. Parti già scritte e che un originale Oracolo – in veste di una simpatica massaia di colore – conosce e rivela loro in modo oculato, funzionale a far accadere tutto come deve accadere (l’Oracolo è quindi costretto dallo stesso destino a dire e non dire…). Anche conoscere il gioco o se stessi non permette di uscire dal gioco: si è sempre prigionieri, di una neurosimulazione o di un accadere che ci appare davanti… o che siamo.
In questo modo ai personaggi viene tolto ogni spazio per il capriccio; anche il tradimento è condizionato e funzionale al Tutto, qualcosa di più grande si muove.
È una vertigine di perplessità, fredda perché ogni gesto del film appare congelato dal destino.
Neo non crede nel destino perché «non gli piace l’idea di non poter gestire la sua vita»: e la illogicità della sua affermazione, basata su un gradimento piuttosto che su un valido argomento, viene smentita da una catena di avvenimenti – oggettivi e soggettivi – preordinati, anche se imprevedibili.
Ogni scelta potrà essere solo “gettata” nella sua mente, se la ritrova addosso; effettua scelte tra varie possibilità, ma non è una scelta libera, bensì un evento gratuito di cui potrebbe solo impossessarsi a posteriori.

Un film sulla domanda su se stessi

Quando Neo ritorna dentro Matrix, chiede:

« Qui nessuna sensazione, nessun ricordo è autentico; che significa? ».
« Significa che Matrix non può dirti chi sei » .


Se il mondo è finzione, il corpo una proiezione dell’immagine di sé, il cervello un computer su cui caricare ricordi, tecniche di kung-fu, corsi di pilotaggio di elicotteri….  io non sono nulla di tutto ciò! Mondo, corpo, ricordi, pensieri (quindi sia la materia che la mente umana) non esistono veramente, sono illusioni.
Allora io cosa sono?
Per questo il motto dell’oracolo è, nella più pura tradizione filosofica, “conosci te stesso”; per farlo occorre partire dal sé più semplice, non dalle sue qualità esoteriche:

« Non perdere tempo a cercare di piegare un cucchiaio, ma cerca la verità: che il cucchiaio non esiste.
Allora capirai che non è il cucchiaio a piegarsi, ma te stesso
».

Ad ogni scontro Neo realizza che può affrontare il mondo delle illusioni, senza paura e senza fuggire.  Morpheus, osservandolo, coglie il momento: « Ecco, si sta convincendo ».
Il se stesso – che cerca, si domanda e conosce – si evidenzierà davanti a una pistola puntata, che uccide la vecchia mente di Neo. Resta il principio che sa , che non appartiene alla simulazione (ricordi, mente, mondo reale o matrice), ma è ciò che la guarda e la precede. Lo sguardo su Matrix .
Il finale rievoca in versione iper-tecnologica il Piccolo Buddha di Bertolucci: l’attacco degli eserciti di demoni che vogliono impedire l’illuminazione del Buddha termina in una pioggia di petali.
Cadono le più minacciose illusioni, e Neo contempla ad occhio nudo la natura digitale di Matrix, una cascata di codici sugli oggetti e sui suoi nemici. Un secondo risveglio. La Grande Domanda sul mondo ha una risposta, quando si ripiega su se stessa: la realtà , ciò che è vero e indubitabile, è chi si pone la domanda.
Ma – e questo è il grande tema non affrontato dal film –  perché esiste? Chi ha costruito la Matrice? Le macchine, certo, ma chi ha costruito loro? L’uomo, certo, ma cosa lo ha prodotto? L’evoluzione, certo, ma cosa la spinge? Alla fine di questa ordinatissima catena di cause ed effetti, si evidenzia l’abisso ontologico del senza causa , l’assoluta e stupefacente – perché si dà in ogni istante e proprio con questa simulazione – inesplicabilità dell’esistenza .
Il piano ontologico si pone in una dimesione più originaria della domanda se il mondo – o io – siano reali o illusori: il problema è il fatto che  sono e non c’è spiegazione per questo, perché su ogni spiegazione o volontà a monte potremmo porci la stessa domanda. L’abisso che ancora chiede di essere interrogato.
Il potere estraniante di The Matrix   è straordinario, induce a guardare gli altri spettatori, le poltrone, con occhi perplessi.
Accosta molti temi di scienze cognitive, che stimolano un approccio teorico, a una valenza etica e trasformativa che invita al coinvolgimento esperienziale.
Ed è un film molto denso: vorrete rivederlo per tutti gli aspetti che avete perso alla prima visione, solo perché eravate troppo bombardati di sensazioni e citazioni per apprezzarli.
Resta da chiedersi come mai  siano stati prodotti di recente almeno tre importanti film sullo stesso tema: oltre a The Matrix , è uscito The Truman Show (la realtà è un costrutto televisivo prodotto da un network) e Dark City .
Quest’ultimo è meno noto, ma molto interessante per la radicale questione: tolte TUTTE le memorie a un uomo, cosa resta di lui? Si parafrasa il koan zen «Cos’è che porta in giro questo cadavere?».
Nel film, i cattivi di turno svuotano e riempiono i corpi di memorie sempre diverse, per capire cosa li anima.

Ormai senza un fondamento stabile che dia credibilità e direzione a questo mondo-matrice, non ci restano che le grandi domande – il chiodo fisso – che  propone The Matrix :

  • Il mondo esiste realmente o è una proiezione davanti a me?
  • Come togliere le illusioni e riportare ordine nella mente?
  • Chi sono? Chi guarda la mente, i suoi ricordi, i suoi pensieri?
  • Siamo destinati (ovvero totalmente condizionati) e prigionieri per sempre?

Non ci sono possibilità alternative alla domanda, a parte dormire (che non dura…).
In fondo, per cosa altro stiamo qui a tirare un giorno dopo l’altro? Per la pensione?

Se ne cogli l’essenza, Matrix non è né un rifugio durevole, né una  pericolosa realtà, è una soglia da attraversare:

« Io posso portarti fino alla soglia – ripete Morpheus – tocca a te oltrepassarla ».

COSÌ LA CRITICAMetafisica popolare: un capolavoro della realtà virtuale (Time Magazine 19/06/99).

È un film killer: non potrete mai più vedere il mondo come prima (Film Rewiew, July 1999).
La più provocatoria storia di science-fiction mai prodotta a Hollywood (SFX-Science fiction Magazine, June 1999).
Film sul limite nella percezione di ciò che è reale, […] ci invade di vuoto e di vertigine (Duel, giugno 1999).
Superati i 100 milioni di dollari di incasso al primo mese di programmazione, The Matrix si avvia a diventare un successo di dimensioni sbalorditive (Ciak, maggio 1999).

Frullato misto di tecnologia, metafisica, Bibbia, Kung Fu […].
Chi ha oltre quarant’anni dovrebbe astenersi da questo film, perché  provoca una incontenibile irrequietezza […].
Nei quindici anni che ci separano da Blade Runner si è perso l’elemento umano
(La Repubblica 08/05/99).

Prodotto particolarmente irritante […] mancano elementi fondamentali del sentire umano come il dolore, la solitudine, il senso dell’onore […], un film unidimensionale in cui umanità e divinità sono ridotte a un fumetto (La Rivista dei Libri, giugno 1999).