Ne abbiamo avuto l’esperienza ma ci è sfuggito il significato
E avvicinarci al significato ci restituisce l’esperienza
In una forma differente, al di là di ogni significato.

(T.S. Eliot, da Quattro Quartetti)

 

Phi.mind 9. David Chalmers e il dualismo scientifico, tra zombie e termostati. Tutto è cosciente?

David Chalmers

David Chalmers, giovane e brillante filosofo australiano che proviene dalla scuola del Funzionalismo, fa una accurata distinzione tra mente cognitiva (le funzioni logico astratte) e mente fenomenica (ovvero ‘quel che si prova a’, la capacità di fare esperienza di esse e dei qualia) e mette quest’ultima al centro della sua riflessione:

«Non c’è nessun mistero nel fatto che i sistemi dei cervelli possano elaborare informazione in modi complessi, reagire a stimoli producendo comportamenti sofisticati e manifestare proprietà raffinate come apprendimento, memoria e linguaggio. Tutto ciò è interessante ma non ha nulla di sconcertante. Al contrario l’esistenza della esperienza cosciente è una caratteristica nuova da questo punto di vista. Non è qualcosa che si può predire a partire da altre proprietà. È sorprendente.»[1]
«Propongo che l’esperienza della coscienza sia considerata un tratto fondamentale, irriducibile a niente di più semplice. Se le teorie fondamentali esistenti non possono spiegarla, allora si richiede qualcosa di nuovo»[2].

Con un’espressione fortunata, Chalmers ha chiamato quello dei qualia il “problema difficile” (the hard problem) degli studi sulla mente, e su di esso si concentra per cercare l’elemento nuovo che possa spiegarlo. Propone una teoria che sembra una tresca tra il funzionalismo dei computer e il dualismo. Fa incontrare queste due scuole di pensiero quasi di nascosto, come amanti clandestini, perché il dualismo è sempre stato antipatico alla scienza, e il Funzionalismo non è più tanto di moda a causa dei successi delle neuroscienze.

Il suo dualismo scientifico, o “naturalistico”, considera la coscienza come un elemento della natura non-materiale, un ‘elemento in più’ dotato di proprie leggi universali; il Funzionalismo, da cui Chalmers proviene, pone un accento anti-materialista (che mancava in Davidson, per il quale c’era solo materia con due proprietà diverse): la coscienza non è prodotto del cervello (di cui Chalmers non nega l’importanza ma che lascia in secondo piano) ma «nasce in virtù dell’organizzazione funzionale»[3]. Questa organizzazione è lo schema di cause ed effetti, le strutture materiali o logiche, il passaggio di informazioni; da essa nasce quel “nuovo elemento della natura” che è la mente fenomenica capace di sentire i qualia.

L’anello nuziale di Davidson va bene anche per Chalmers, e così anche lui parla di “sopravvenienza” per conciliare il Funzionalismo con il dualismo: così come sul mondo fisico si stratifica (“sopravviene”) la vita, allo stesso modo sul cervello vivo si stratifica una mente non materiale; l’uomo ha la possibilità di scoprire le leggi e le regolarità di questa “coscienza naturale” (quelle leggi che Davidson afferma non si potranno mai trovare) e conoscendole potrà prevederne i comportamenti.

Chalmers usa una storiella di zombie per dimostrare che la coscienza non è un fenomeno necessario, intrinseco alla materia, ma “un elemento in più”[4]. È una storiella intricata, basata sul fatto che è possibile immaginare che esista un essere simile ad un uomo, identico cellula per cellula e atomo per atomo, ma privo di coscienza fenomenica (che l’Uomo Palude di Davidson invece aveva) quindi insensibile come uno zombie. Questo per mostrare che anche se spiegheremo completamente un uomo in termini biofisici, atomo per atomo, non ne troveremo la coscienza, né i qualia. Anche se, come nel caso dell’Uomo Palude, desta qualche perplessità un argomento filosofico basato su un’ipotesi immaginifica, si tratta di una riflessione stimolante: perché su questo pianeta le scariche bioelettriche dei tessuti nervosi sono accompagnate da una ‘esperienza interiore’?
C’è una connessione necessaria tra il biomeccanismo cognitivo e il farne esperienza? Forse no. Per questo alcuni ricercatori[5], giungono a porre domande radicali sui qualia: perché ci sono, invece che no? E perché sono proprio così e non in un altro modo? In pratica, che bisogno c’era della coscienza?

Il dualismo di Chalmers è in ‘terza persona’. In esso la coscienza è un “elemento in più”, un fatto naturale come l’elettrone e il protone: possiamo chiamarlo il ‘coscienzione’. Ma se la sua natura non è materiale, di cosa si tratta? Per Chalmers la sua vera natura è quella informazionale. In questo svela le sue basi filosofiche da funzionalista, per le quali l’informazione ha sempre sia un sostrato fisico – inchiostro e carta, onde sonore, elettroni di un computer – sia un aspetto fenomenico. Grazie all’informazione che contiene, l’ ‘organizzazione funzionale’ (cervello o computer) origina la coscienza che fa esperienza fenomenica.

Questo ha una importante conseguenza: siccome c’è esperienza laddove ci sia informazione, e c’è informazione ovunque ci siano interazioni causa-effetto, in linea di principio ogni evento fisico (non solo un computer) potrà essere cosciente. Chalmers afferma che ci può essere esperienza dappertutto ovunque ci sia scambio di informazione: una forma di panpsichismo scientifico, che ha avuto illustri sostenitori – gli esponenti della scuola della Gnosi di Princeton, tra gli altri – e nel quale materia e coscienza sono unificate come forme di informazione. Allora anche in un banale meccanismo come un termostato ci sono dei qualia? Si prova qualcosa ad essere un termostato? Chalmers lascia ai suoi avversari filosofici l’onere della prova: potete dimostrare che un termostato non sente nulla?

Da un punto di vista fisico certamente un termostato – che regola l’accensione della caldaia in base alla temperatura che ‘sente’ nella stanza – solamente ‘reagisce’: il metallo del meccanismo si dilata o si contrae a seconda della temperatura e il movimento fa scattare l’interruttore di accensione. Dal punto di vista ‘soggettivo’, se ha senso parlare di soggettività, non sembra proprio che vi sia un assaporare caldo o freddo, non si prova nulla ad essere un termostato. Sembra che l’esperienza sentita ci sia solo nel vivente, e forse questa è davvero la caratteristica di base della vita. Vita e sentire sono inestricabilmente legati: in prima persona, sentire è vivere, e viceversa. Ma in terza persona non ci sono argomenti definitivi, dei qualia altrui non possiamo comunque parlare. se un cane si comporta in modo simile a noi ci fidiamo dell’impressione e diciamo ‘fa esperienze, sente come noi’; ma per animali formati da una sola cellula? Batteri o parameci hanno la sensazione qualitativa del gradiente salino dell’acqua, o c’è solo una reazione chimica che dà un comportamento riflesso e automatico di attrazione o repulsione? Dove si passa dalla reazione chimica complessa – o dalla reazione fisica del metallo del termostato – al sentire? Attenzione, forse non è un passaggio, non c’è una continuità: forse stiamo solo cambiando argomento.

Possiamo però cambiare l’impostazione del problema: che si tratti di zombie, di uomini, animali o di termostati, per parlare di esperienze coscienti occorre prima di tutto – in questo momento! – un aprirsi a priori, un ‘che’ a monte, che prenda in considerazione lo scenario e le teorie di Chalmers o altri. Se la coscienza fosse informazione, sarebbe sempre, in questo istante, informazione per una coscienza. E questo sapere delle informazioni non è informazione, ma la condizione di possibilità di ogni informazione. Anche se ipotizziamo mondi e civiltà prive di coscienza come fanno alcuni autori[6], li immagineremo sempre da una coscienza. Materia e informazione sono oggetti fisici e mentali, mentre sentirli e sapere di essi è un atto a priori, non oggettivabile.
Chalmers si chiede quale sia la forma più semplice di esperienza. Bella domanda, ma invece di cercarla in oggetti come zombie, termostati, e computer possiamo provare a cercarla in noi stessi, nell’atto di farci la domanda in questo istante?

 

Riferimenti bibliografici

[1] Chalmers D.J. (1999), La mente cosciente, McGraw-Hill Libri Italia, Milano, pp.4-5
[2] Chalmers D.J. (1995), The puzzle of conscious experience, in “Scientific American”, 273, pp. 80-86.
[3] D. Chalmers, 1999, p. 248. Da notare che tutti i dualisti hanno qualche problema a dire esplicitamente che il cervello, o l’organizzazione o altri meccanismi causano la coscienza, perché dovrebbero spiegare chiaramente come fanno.
[4] In linguaggio filosofico stretto si dice “sopravviene naturalmente ma non sopravviene logicamente” (Chalmers, 1999, p. 35-38).
[5] Bieri P. (1996), Il cervello e la coscienza, in Filosofia della Mente, Le Scienze Quaderni, n. 91, p.82-89. Cfr. anche Pacherie E. (2002), Les consciences, in “Pour la Science”, n. 302/dec. 2002, pp.22-25.
[6] Jaynes J.(1984), Il crollo della mente bicamerale e la nascita della coscienza, Adelphi, Milano. Jaynes, uno ‘psico-archeologo’ ha proposto una ardita ipotesi che – fortunatamente – non ha ricevuto molto credito, secondo la quale la coscienza umana che oggi conosciamo è un fenomeno recentissimo, di cui erano ad esempio privi gli eroi della Iliade di Omero.

 

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