(Il) niente è l’ostacolo più duro sulla via della conoscenza – nel nostro caso filosofica.
È la barriera contro cui si infrange il pensiero incentrato sul logos greco.
È il nuovo inizio della filosofia che Heidegger ha spostato dal mero incedere logico a una tonalità emotiva non psicologica.

Consideriamo innanzitutto che nessuno può non sapere (il) niente.
Negare di saperne, infatti, significherebbe “del sapere de (il) niente se ne dà niente”.

Ma come si accede a (il) niente?

– Scrivo l’articolo tra parentesi perché non lo si entifichi –

È esso una pura negazione logica?
È mero concetto di pura e totale assenza?

(Il) niente – che essendo appunto niente, non esiste – non è neppure un concetto.
(Il) niente non è un prodotto del pensiero.

Infatti ogni prodotto del pensiero, ogni concetto, è altro-da-niente, è qualcosa
– e non niente.

Dunque di cosa ci occupiamo e, se non esiste, come ne sappiamo?

Ecco: pensarlo e saperne sono aspetti diversi della conoscenza.

(Il) niente non si pensa, ma lo si sa.

E non si può non saperne, come ho dimostrato sopra.

Chiunque mi contestasse, lo farebbe usando (il) niente.

È il nostro sapere fondamentale, siamo il sapere della Differenza tra niente e altro-da-niente.

Non possiamo non sapere tale Differenza.

Ma, ancor più, non possiamo non sentirla; perché il “miracolo” è ancor più profondo.

Che il tutto esista – e non niente – è inassumibile, seppur incontestabile.
Eccoci, infatti!
Che l’altro-da-niente sia essenzialmente SAPER d’esser altro-da-niente è fonte di abissale stupore.

Che ci si STUPISCA – e dunque si provi emozione secondo un significato esistenziale – lascia senza parole, talmente sgomenti che Heidegger non trovò miglior termine con cui definire tale nostro atteggiamento di fronte al mistero oltrepensabile che “ritegno”.

(Il) niente ci visita d’improvviso.

Martin Heidegger

Martin Heidegger

Come accadde a Heidegger sulla neve di Todnauberg in Foresta Nera – risolvendogli la questione del significato fondamentale di “essere” affrontata in Essere e Tempo – a Sartre, come descritto ne La Nausea che è certamente la sua autobiografia esistenziale e a tanti altri, soprattutto nell’ambito zen.

Heidegger dice che si ha accesso consapevole a (il) niente quando la epoché spontanea che accade nella Angst, la angoscia esistenziale (non psicologica),
mostra l’altro-da-niente nudo ed inconoscibile.

Poiché ogni saperne mondano si è dileguato, tale ultima nudità di ciò in cui ci si ritrova è incapace di altro che di una sola azione – determinante – ossia dell’ESTORSIONE del nostro stupore nella domanda fondamentale:

“Perché dunque si dà altro-da-niente (che chiamiamo “essente”) e non niente?”

Alcuni contestano il valore di tale domanda – o perché mai sono stati visitati dalla epoché spontanea o perché, se accaduto, mai vi si sono lasciati andare fino in fondo.

(Il) niente non può darsi, naturalmente, poiché sarebbe qualcosa.

E dunque come va pensata tale Differenza?

Non si può pensarla.

Ma si può – e non si può che – saperla.

Occorre dunque concentrasi su ciò che NON POSSIAMO NON SAPERE:

Non possiamo non sapere il significato di niente (vedi sopra) e non possiamo non sapere il significato di “altro”.

Dunque: sappiamo cosa significhi niente e sappiamo che siamo altro-da-niente.

O no?
Dunque sì.

Tale Differenza, frequentata e sempre più focalizzata, può darsi che accenda il calore essenziale al sapere fondamentale:

lo stranimento e lo stupore.

Se questo accadrà, le cose poi andranno da sé.

Occorre abbandono (Gelassenheit) perché ci si ritrovi, grazie ad un “salto” (Sprung), nel mistero del fatto che siamo – e non che non siamo.

Wittgenstein, che nutriva profonda stima per Heidegger, era d’accordo, avendolo scritto ancor prima, nel Tractatus:

“Non come il mondo è, ma il fatto che esso sia è il Mistico.”

Mai scrisse del niente perché, secondo lui, “di ciò di cui non si può parlare [perché (il) niente non esiste], è opportuno tacere”, ma l’affermazione sul mistero dell’esistenza del mondo trova senso solo in rapporto a (il) niente.

(È da escludere che Wittgenstein alludesse ad un Creatore)

Ma Heidegger, per nostra fortuna, trovò il modo di parlarne – e con impressionante efficacia.