Nel 1992 invitai a Bologna Michel Odent, il medico francese che per primo creò, nell’ospedale di Pithiviers, la “salle souvage”, la sala selvaggia, dove si poteva riprodurre, all’interno di un ospedale, un ambiente familiare, simile a una stanza di casa: una mediazione tra parto in casa e parto medicalizzato.
Trasferitosi poi a Londra, Odent si dedica attualmente ai parti a domicilio e al Centro di Ricerca della Salute Primale da lui fondato per riunire e divulgare gli studi che riguardano l’influenza dell’ambiente esterno sullo sviluppo dei sistemi della Salute Primale (sistemi di adattamento sottocorticali, che maturano precocemente durante la vita fetale, il periodo perinatale e il primo anno di vita) e i suoi effetti a lungo termine.
Durante una interessante chiacchierata proprio su questa ricerca, Odent concluse con stupore: “L’ostetricia è la branca scientifica meno scientifica che io conosca!”.

Esistono ormai numerosi studi sugli effetti negativi di alcune pratiche ospedaliere applicate di routine su mamma e bambino e, a seguito di ciò, nel 1985 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha reso nota una serie di raccomandazioni..
Nonostante ciò non si riescono a fermare le pratiche inutili, i medici sanno ma non fanno.
L’informazione scientifica, i famosi dati, non bastano; perché? Si chiedeva Odent.
Questo mi ha fatto molto pensare. Perché l’informazione non basta?
Frédérick Leboyer denunciò già nel 1974 col suo famosissimo “Per una nascita senza violenza”, l’assurdità di alcuni gesti del tutto inutili per non dire dannosi, che venivano compiuti regolarmente al momento della nascita: luci troppo alte, taglio precoce del cordone ombelicale ecc.
Sono passati 25 anni e i cambiamenti sono minimi rispetto al lungo periodo trascorso.
Ancora prima, nel 1938, Maria Montessori ne “Il segreto dell’infanzia” scrive:

“Quando nasce un bambino tutti si preoccupano della madre: si dice che la madre ha sofferto.
Ma il bambino non ha pure sofferto?
Si dice che la madre ha necessità di cure. Ma non avrà necessità di cure anche il bambino?
Si pensa di fare l’oscurità e il silenzio attorno alla madre perché è affaticata.
Ma non lo è il bambino, che arriva da un luogo dove non lo raggiunse mai il minimo barlume di luce, né il più lieve rumore?
E’ per lui dunque, che bisogna preparare l’oscurità e il silenzio.”

Allora si poteva contestare che non c’erano prove scientifiche di tutto ciò, mancavano i famosi dati, ma ora che, come dice Odent, i dati ci sono, perché la scienza non si comporta scientificamente? Cosa impedisce?
Dopo anni di pratica di meditazione e soprattutto dopo un’esperienza che grazie al maestro Franco Bertossa sono riuscita a vivere e a leggere, credo di essere in grado di rispondere alla domanda di Michel Odent.
Cosa c’entra la meditazione con la scienza? Si domanderà chi sta leggendo.
C’entra eccome.
La meditazione si occupa del soggetto cosciente il cui vissuto, più pertinente all’ambito filosofico, costituisce un limite all’indagine della scienza, di per se oggettiva, per cui l’informazione scientifica non è sufficiente.
Perché?
Per rispondere a questa domanda bisogna chiedersi cosa succede al momento del parto:
– viene evocato il mistero della vita e il timore della nullificazione ossia della morte
– non c’è controllo, la cosa sfugge, l’imprevisto è sempre possibile
– ci sono dei tempi “morti”, si deve attendere, senza sapere per quanto, non si possono fare programmi
– al momento della nascita, lo sguardo del bambino, soprattutto del bambino non disturbato, è uno sguardo unico: non ha motivo di piangere (se non glielo diamo noi) ma nello steso tempo non ha motivo di sorridere. E’ stupito, attento, tutto il suo corpo dice ciò che le labbra non sono ancora in grado di dire: cos’è questa storia? Cosa sta accadendo? Perché? C’è una risposta?

Il parto risveglia la coscienza: in pochi minuti, in poche ore, in chi assiste riemergono tutte le grandi domande che erano state messe a tacere per l’eccessiva intensità che suscitavano. Ma l’intensità si ripresenta e, se non sappiamo restarci, allora dobbiamo fare qualcosa per esorcizzarla. I dati scientifici ci dicono che è meglio non fare nulla, ma l’intensità è insopportabile, si deve fare qualcosa.
Questo è ciò che non prendono in considerazione Odent e tutti coloro che, coraggiosamente, stanno dedicando la vita all’informazione sulla nascita naturale.
C’è una coscienza che testimonia al parto, quella dell’operatore, perciò non è possibile parlare di assistenza al parto senza prendere in esame colui o colei che assiste al parto e la sua capacità o incapacità di stare nell’intensità senza necessariamente agire.
Se questa coscienza è stata educata a domandarsi di questa intensità, a visitarla e rivisitarla attraverso la meditazione, a leggerne completamente il significato, ad abitarla, allora assistere a una nascita sarà una celebrazione; altrimenti la coscienza continuerà a fuggire e farà di tutto, anche quello che sa di non dover fare.

La scienza, anche quando è applicata per criticare se stessa, i propri eccessi, come fa il Centro di Ricerca fondato da Odent, non basterà a risolvere il problema del parto, ossia dell’accoglienza delle nuove vite, perché per sua natura è oggettiva e quindi incompleta, non tenendo conto del soggetto, della coscienza e di ciò che la coscienza dell’operatore sente.
Ci si è occupati della sofferenza della madre e di quella del bambino; vorrei porre in evidenza che altrettanto cruciale per un parto non solo naturale, ma veramente umano, è preparare chi assiste alla destabilizzazione esistenziale che un evento intenso come il parto inevitabilmente evoca.